Bronchiectasie e sindromi bronchiectasiche: rivisitazione e aggiornamento in tema di immunopatogenesi, imaging e terapia
Abstract
Un rinnovato interesse per le bronchiectasie e le sindromi bronchiectasiche, soprattutto le forme non legate alla fibrosi cistica, trova la sua ragion d’essere nel reale incremento di questa patologia, sia nei bambini che negli adulti e nelle attuali, migliori possibilità diagnostiche, prima fra tutte, nell’ambito dell’imaging, l’HRCT (High-Resolution Computed Tomography). Diverse sono le condizioni morbose e i meccanismi patogenetici che possono provocare dilatazione, ad ogni livello, dell’albero bronchiale e il ben noto quadro sintomatologico caratterizzato da tosse cronica, espettorazione purulenta e dispnea più o meno intensa, talora corredato da una vera sindrome asmatiforme.
Questa nuova situazione epidemiologica ha incoraggiato ulteriori studi riguardo l’eziologia, gli approcci diagnostici, gli aspetti clinici, ma soprattutto alcuni eventi patogenetici, quali le implicazioni immunologiche e genetiche, il ruolo del microbiota, le complicanze infettive, in sintesi la lunga e complessa “marcia” che conduce al danno tessutale. La gestione terapeutica di questi pazienti richiede un complesso approccio multidisciplinare fra pneumologo, fisioterapista e, talora, chirurgo; cardine della terapia medica è la somministrazione, anche per via aerosolica, di antibiotici, preventivi delle complicanze infettive e curativi delle stesse, soprattutto macrolidi e cefalosporine di nuova generazione. Le complicanze infettive di maggior impegno terapeutico rimangono quelle da Pseudomonas aeruginosa ed Haemophilus influenzae: diversi trial sono stati approntati al riguardo e nella nostra presentazione ne illustriamo tanto i risultati quanto le problematiche tuttora in discussione.
Il termine bronchiectasia (dal greco “broncos” = trachea e “ektasis” = dilatazione) probabilmente si deve a Laennec, che nel 1819 ne fece le prime descrizioni; s’intende una dilatazione che può essere presente ad ogni livello dell’albero tracheo-bronchiale, di tipo irreversibile, dovuta a difetti congeniti o a fattori che, attraverso una flogosi cronica, determinano la distruzione della componente elastica e muscolare della parete bronchiale. Dal punto di vista clinico le bronchiectasie sono caratterizzate da tosse cronica con espettorazione spesso mucopurulenta e un corteo sintomatologico (infezioni ricorrenti, asma, dispnea) che provoca un progressivo peggioramento della qualità di vita fino a configurare la sindrome bronchiectasica.
Per bronchiectasia s’intende una dilatazione irreversibile dell’albero tracheo-bronchiale dovuta a difetti congeniti o a fattori che determinano la distruzione della componente elastica e muscolare della parete bronchiale.
Da alcuni anni assistiamo ad un ritorno di interesse per questa patologia, come si evince dalla recente, ponderosa bibliografia consultabile al riguardo. In trattati sia recenti che datati, soprattutto italiani ed europei, le bronchiectasie sono state considerate di volta in volta come patologie, stati, alterazioni o condizioni morbose, affezioni primarie ma più spesso secondarie, solo in rari casi hanno assunto il rango e la considerazione di malattie; non è solo una questione di nomenclatura o un cavillo classificativo, ma rispecchia la considerazione, l’interesse e dunque la ricerca in un ambito che si vuole recuperare pienamente. Seguendo le indicazioni dei maggiori studiosi americani, parliamo finalmente delle bronchiectasie come di “diseases” 1.
Sempre seguendo il modello americano e anglosassone, distinguiamo le bronchiectasie in due grandi gruppi, a seconda se sia presente e concomitante o no la malattia fibrocistica (Cystic Fibrosis e non-Cystic Fibrosis Bronchiectasis, CF-Br e nCF-Br), in relazione alla particolarità e alle caratteristiche peculiari, rispetto a tutte le altre forme, della fibrosi cistica come malattia primaria e delle inevitabili conseguenze bronchiectasiche 2. In questa trattazione faremo riferimento solo al secondo gruppo. Ancora in trattati recenti, gli eventi fondamentali che determinano l’insorgenza di bronchiectasie sono ricondotti a meccanismi di trazione dall’esterno e di pulsione interna, con particolare enfasi da un lato a fenomeni fibrotici idiopatici o più spesso secondari, dall’altra a tutto ciò che gravita attorno alla cosiddetta bronco-ostruzione. Ma oggi l’attenzione si è rivolta in particolare alla stessa parete bronchiale e a quel complesso sistema di interazioni dettate dall’infiammazione, dalle infezioni, dal danno tessutale alle diverse modalità riparative, in cui rientrano di certo la trazione e la distorsione fibrotica e l’obliterazione del lume, ma non più come fenomenologie isolate, bensì in un ambito assai complesso e variegato che esita nella lesione d’organo della parete bronchiale e dei tessuti limitrofi. Queste considerazioni nascono da osservazioni istopatologiche e cliniche tradizionali, rivisitate, e innovative, che comunque giustificano a pieno titolo la considerazione delle bronchiectasie come malattia d’organo, in cui l’evento centrale è il danno della parete talora tradotto in un vero e proprio collasso anatomico e funzionale; il concetto patogenetico di collasso bronchiale deve essere affiancato, conseguentemente, a quelli convenzionali di trazione e pulsione bronchiale.
Le alterazioni istopatologiche, talora presenti già alla nascita, descritte concordemente da numerosi Autori come “alterazioni dell’impalcatura di sostegno della parete bronchiale” e responsabili della conseguente meiopragia funzionale, sono: a) ipoplasia delle placche cartilaginee; b) ipoplasia, displasia e/o atrofia delle strutture mioelastiche; c) assenza di tessuto broncopolmonare intorno alle ectasie bronchiali. Il quadro istologico consequenziale e di più frequente osservazione consiste nel danneggiamento dell’epitelio ciliato e delle ghiandole mucipare, nel successivo deterioramento dell’apparato elastico-muscolare della parete, amplificato dai colpi di tosse cronica, in progressive dilatazioni, infine in fibrosi e ispessimento della parete bronchiale con deformazioni morfologicamente cilindriche varicoso-cistiche. Come verrà illustrato in seguito più estesamente, l’infiltrazione dei tessuti bronchiali e parenchimali peri-bronchiali è precoce, in relazione alla risposta immunitaria a stimoli meccanici e polimicrobici: inizialmente a prevalenza neutrofila, evolve con il progredire e con la cronicizzazione della patologia e il persistere di ripetuti episodi infettivi per il reclutamento soprattutto di linfociti, plasmacellule, monociti e macrofagi, con discreta componente eosinofila nelle sindromi asmatiformi concomitanti.
Questo nuovo e diverso “point of view” scaturisce da ricerche e dimostrazioni in campo genetico, con l’individuazione di geni, alleli e aplotipi correlabili non tanto con l’eziopatogenesi o la predisposizione alla malattia, bensì con alcune manifestazioni patologiche e ricorrenze sintomatologiche e con la diversità della risposta dell’ospite a stimoli microbici, ma non solo; in campo immunitario e nella reazione infiammatoria, ove sono emerse interessantissime novità nell’armamentario cellulare, citochinico e recettoriale innato presente nei tessuti bronco-polmonari; nell’impatto con le infezioni batteriche, virali e fungine che condizionano sia l’origine che l’evoluzione delle lesioni bronchiali.
Ci muoveremo pertanto su queste linee di ricerca per illustrare i risultati degli studi più recenti in grado di dimostrare ruolo e peso effettivo della genetica, della risposta immunitaria e infiammatoria e dell’interazione microrganismi-ospite nelle diverse fasi della storia naturale della malattia bronchiectasica. Non dimentichiamo comunque che notevoli progressi sono stati compiuti anche nel programma terapeutico, soprattutto nell’ottimizzazione delle nostre risorse, perché la patologia richiede una sorveglianza continua e interventi su più fronti. Una più razionale linea di intervento scaturisce anche dai dati forniti dalla ricerca di base: molti dati emersi di recente si stanno traducendo in nuovi farmaci o nel più corretto uso di quanto già impiegato.
Ci sembra doveroso, innanzitutto, rivedere le cause della malattia bronchiectasica, aumentata sì negli ultimi decenni, ma soprattutto diversificatasi da un punto di vista eziopatogenetico.
nCF-Br: differenze eziopatogenetiche fra giovani e adulti 3 4
Negli ultimi due decenni il numero di forme etichettate come idiopatiche o non identificabili è diminuito, passando da un 36-40% all’attuale 16-18% in età pediatrica, dal 40-43% all’odierno 26-34% fra gli adulti. Il miglioramento delle procedure diagnostiche e l’applicazione di protocolli anamnestici maggiormente mirati e precisi, specie per i bambini e i loro genitori, ha ridotto la quota di nCF-Br da lasciare “sine causa”.
Nella Tabella I riportiamo le frequenze minime e massime, per ciascuna forma, dalla letteratura degli ultimi cinque anni, distinguendo sempre fra bambini e adulti. A commento di questi dati va segnalata, in molti casi, l’ampia variabilità delle frequenze riportate non solo fra i due gruppi, ma anche all’interno dei giovani o degli adulti: rimangono difficoltà obiettive a raccogliere i dati anamnestici e a ripercorrere la storia naturale della malattia in numerosi pazienti.
Inoltre, in età pediatrica segnaliamo tre ulteriori dati: il riscontro in almeno il 20% dei casi di asma secondario associato trasversalmente a tutte le altre condizioni; lo sviluppo quasi ineluttabile di bronchiectasie in almeno il 2% dei bambini con broncopolmoniti severe e ricorrenti (più episodi/anno), sia normo- che immunodepressi; le segnalazioni sempre più numerose di nCF-Br in bambini nati prematuri, sottopeso, mal alimentati o denutriti, specie se appartenenti a strati sociali meno fortunati o da paesi del sud del mondo: tutto questo ha indotto ad approfondire i rapporti tra fattori genetici e influenze dell’ambiente, in altre parole ad intraprendere una complessa e ardua ricerca epigenetica, che in parte inizia a dare risposte incoraggianti.
Nuove acquisizioni immuno-genetiche riguardo l’origine e l’evoluzione delle nCF-Br
Oltre le ben note caratteristiche genetiche della fibrosi cistica e le varianti geniche che determinano la diminuzione o l’assenza dell’alfa-1-antitripsina, acquisite e ben note da tempo, condizioni ambedue complicate da gravi manifestazioni bronchiectasiche, sono emersi di recente dati che permettono di correlare mutazioni, polimorfismi (Single Nucleotide Polymorphism, SNPs) e varianti geniche a diversi aspetti della reazione immune, soprattutto innata, che attraverso una serie di meccanismi mediati da cellule, recettori e fattori umorali o biochimici esitano in danno d’organo parietale, inadeguata difesa locale da parte dell’ospite, fenomeni infiammatori persistenti e frequenti infezioni.
Sono emersi di recente dati che permettono di correlare mutazioni, polimorfismi e varianti geniche a diversi aspetti della reazione immune che esitano in danno d’organo parietale, inadeguata difesa locale da parte dell’ospite, fenomeni infiammatori persistenti e frequenti infezioni.
Alla fine di questo lungo e variegato percorso non è raro riscontrare l’insorgenza di nCF-Br. Riportiamo alcune di queste interessanti osservazioni.
Carenza di lectina legante il mannosio (Mannose Binding Lectine, MBL) 5. È un componente chiave dell’immunità innata; il 10-30% della popolazione ne è carente o totalmente priva, la sua espressione è inversamente correlata con la progressione e la gravità delle nCF-Br. L’assenza è ereditata in omozigosi, genotipo YO/YO, la riduzione in eterozigosi, genotipo XA/YO; la variazione genetica consiste nella mutazione di 1 esone. I soggetti normali presentano tassi di MBL superiori a 500 ng/mL, gli eterozigoti fra 200 e 500, gli omozigoti per la mutazione inferiori a 200. Bassi valori del fattore correlano con la frequenza di episodi infettivi, specie da Pseudomonas aeruginosa, il numero di ospedalizzazioni, la gravità del quadro radiologico. Caratteristica, in questa condizione, è anche la frequenza di infezioni da parte di un patogeno altrimenti raro, Burkholderia multivorans. Normalmente MBL è implicata nella promozione della fagocitosi e nel successivo killing di batteri. Di recente questi dati e la correlazione della carenza di MBL con la gravità di un quadro bronchiectasico non sono stati confermati, per cui necessitano ulteriori osservazioni per giungere a conclusioni definitive.
Polimorfismi di MMP1 (Matrix Metalloproteinase-1). Sul ruolo di questi importanti enzimi presenti nel connettivo e nei fibroblasti, nel determinismo del danno tissutale, torneremo più avanti; qui sottolineiamo come polimorfismi e SNPs possono alterare la trascrizione dell’enzima e la sua attività, modulando di conseguenza diversi gradi di distruzione bronchiale e conseguente fibrosi. I pazienti con il polimorfismo MMP1 (1607G) sono più vulnerabili all’attività dell’enzima, maggiormente espresso, al conseguente danneggiamento delle vie aeree che esita in una fibrosi polmonare più estesa; l’azione di MMP1 è rafforzata dal fattore di crescita TGFβ1 con cui agisce in sinergia 6. Pertanto l’upregolazione dell’attività dell’enzima, nei portatori di questo SNP, provoca la distruzione proteolitica della matrice e conseguente fibrosi peri-bronchiale. In definitiva, la mutazione e l’espressione di MMP1 correlano con l’insorgenza e l’estensione delle bronchiectasie e il declino dei parametri funzionali; infine, sia la forma inattiva (PRO-MMP1) che attiva dell’enzima sono strettamente correlate a TGFβ1 e IL1β. Per quanto riguarda i genotipi in relazione con la sintesi di MMP1, 1G/1G determina un’espressione massima dell’attività enzimatica, 1G/2G una forma intermedia, 2G/2G un’attività minima.
Secrezione e varianti di mucine. Hanno un ruolo importante nella difesa locale antibatterica; i diversi tipi, la cui componente proteica si diversifica in relazione a varianti geniche talora note, talaltra imprevedibili e casuali, così come l’espressione degli stessi geni che ne determina la quantità presente negli epiteli bronchiali, possono essere in relazione con patogeni specifici che colonizzano le vie aeree. La forma più nota, MUC2, aumenta fortemente nei pazienti colonizzati, rispetto ai negativi, soprattutto da P. aeruginosa; altre mucine, MUC5AC e MUC5 invece non presentano correlazioni e variazioni significative con microrganismi specifici. MUC2 è sempre aumentata in pazienti con storia di infezioni croniche e ripetute a livello bronchiale e con una flora batterica saprofitica e/o patogena persistente, ma i valori maggiormente marcati si riscontrano proprio in nCF-Br 7.
Disfunzione dei canali regolatori della conduttanza transmembrana (CFTR). Una serie di mutazioni caratterizza i geni che codificano per proteine presenti in canali delle membrane che regolano conduttanza e trasporto attraverso le membrane stesse; la più frequente è F508del, tipica, in omozigosi, della fibrosi cistica, ma segnalata anche in eterozigosi in diversi pazienti affetti da nCF-Br, con ruolo e conseguenze ancora da dimostrare pienamente, anche se vi sono segnalazioni di un’associazione con aumento di suscettibilità alle sovrainfezioni bronchiali da P. aeruginosa, Haemophilus influenzae e Aspergillus spp 8. Le mutazioni si traducono in anomalie funzionali delle proteine presenti nei canali regolatori della conduttanza transmembrana. Sono state riscontrate ulteriori alterazioni, varianti delle proteine CARRIERS W493R-EmaC, che causano differenze di potenziale transmembrana.
STREM-1, Soluble Triggering Receptor Expressed on Myeloid cells-1. È un ulteriore fattore dell’immunità innata e marker d’infiammazione, aumenta in diverse condizioni infettive polmonari, come CAP, VAP e micobatteriosi 9. Nella fibrosi cistica non presenta valori anomali, né correla con gli altri marker d’infiammazione; al contrario, nelle nCF-Br manifesta valori elevati che ben correlano con gli altri indici di flogosi, specie IL8 ed elastasi. Questa situazione è particolarmente accentuata in bambini affetti da immunodeficienze congenite e acquisite, complicate da malattia bronchiectasica, nei quali STREM-1, IL8 ed elastasi sono segnalati su livelli elevatissimi.
Genotipo (secretore) FUT2. È stato riscontrato frequentemente nelle nCF-Br; gli omozigoti, rispetto agli eterozigoti e ai FUT2-, manifestano una malattia più grave e complicata, come dimostra il maggior numero di eventi infettivi, specie da P. aeruginosa, le ripetute ospedalizzazioni, il precoce e ingravescente decremento della funzionalità respiratoria, la rapida progressione di tutto il complesso patologico 10.
Mutazioni di STAT1 e conseguenze nella risposta cellulare. I pazienti nCF-Br+, in cui riscontriamo frequenti infezioni a livello delle ectasie bronchiali a evoluzione suppurativa, presentano un pattern immunologico peculiare, con numero di cellule Cd4+, Cd8+, NK e B nella norma, ma cospicua riduzione delle B-memory cells, soprattutto il subset “Class Switched Memory B Cells”, in seguito ad una mutazione, trasmessa come carattere autosomico dominante, detta AD-GOF, del fattore di trascrizione STAT-1. La conseguenza è una riduzione numerica e funzionale del fenotipo cellulare citato, che ai saggi in vitro evidenzia un netto decremento della risposta agli stimoli con γ-interferon. A livello clinico, come detto, questi pazienti manifestano frequenti infezioni bronchiectasiche da batteri piogeni 11.
Nel paragrafo dedicato alle implicazioni microbiologiche riporteremo alcuni esempi di mutazioni osservate nei batteri di più frequente riscontro in nCF-Br, P. aeruginosa e H. influenzae, o rari ma caratteristici, come Mycobacterium abscessus complex, che determinano una variazione (di solito accresciuta) della virulenza o l’acquisizione di resistenze agli antibiotici.
Sviluppo ed evoluzione del danno tissutale, in relazione alla risposta infiammatoria e immuno-mediata
Nell’iter patogenetico delle bronchiectasie si instaura precocemente un circolo vizioso tra infiammazione della parete bronchiale protratta e/o cronicizzata, con robusta risposta delle componenti umorali e cellulari dell’immunità, colonizzazione batterica perlopiù multispecie, infezioni, inadeguata clearance del muco, danno strutturale; qualora la situazione imbocchi un percorso irreversibile, ogni step di questo circolo diviene fattore determinante per quelli successivi ed è scatenato da quelli a monte.
Nell’iter patogenetico delle bronchiectasie si instaura precocemente un circolo vizioso tra infiammazione della parete bronchiale protratta e/o cronicizzata, colonizzazione batterica, infezioni, inadeguata clearance del muco, danno strutturale.
In ogni caso vi è la combinazione di due meccanismi base parimenti determinanti: una difesa dell’ospite deficitaria o inadeguata e una sequela di infezioni persistenti e ripetute da parte di microrganismi a virulenza crescente. Entrambe le condizioni contribuiscono al danno della parete bronchiale e dei tessuti limitrofi, ogni ciclo infettivo amplifica l’evoluzione del danno stesso e il collasso morfo-funzionale della parete. Soprattutto a livello delle piccole vie aeree, costante ed estesa è l’infiltrazione di cellule infiammatorie, che causano ostruzione, mentre i mediatori (proteasi ed elastasi rilasciate dai neutrofili, metalloproteasi liberate a seguito della lesione tissutale) danneggiano le vie aeree maggiori, provocandone la dilatazione; a questo livello evolutivo, infiammazione, episodi infettivi, reazione immune possono estendersi e coinvolgere il parenchima peri-bronchiale.
Parliamo in definitiva di una condizione eterogenea, caratterizzata da dilatazione irreversibile delle vie aeree e stato infiammatorio-infettivo permanente delle stesse, da cui deriva il corredo sintomatologico tipico di tosse produttiva, perdite ematiche, insufficienza respiratoria ingravescente, dispnea.
L’infiammazione è prevalentemente neutrofila, sia nelle fasi prodromiche e iniziali, che evolutive e conclamate; le cellule sono reclutate e migrano su azione delle citochine pro infiammatorie (IL8, IL1β, TNFα), tutte incrementate in sede di lesione e nel sangue periferico. Più le infezioni sono ripetute e protratte, più neutrofili sono mobilizzati, per fagocitare e uccidere i batteri. È stato dimostrato che la fagocitosi attuata dai neutrofili e altre cellule diviene inefficiente a seguito di numerosi meccanismi inibitori, tra cui il clivaggio dei recettori presenti sulle cellule fagocitarie, ad opera dell’elastasi liberata dagli stessi neutrofili e per opposizione diretta da parte di peptidi neutrofilici.
In questi pazienti, sin dalle fasi precoci di malattia, può essere alterata l’attivazione del complemento e l’elastasi dei neutrofili clivare i fattori attivati del complemento stesso, dopo interazione con i patogeni, inibendo un’opsonizzazione efficace. I batteri, formando un biofilm, riducono la motilità e stazionano nei bronchi, ove possono incrementare la propria virulenza (per trasmissione laterale di geni o infezione progressiva della colonia da parte di fagi) che sovverte i meccanismi dell’immunità innata dell’ospite con una vera e propria strategia di gruppo.
Nelle bronchiectasie e nel deficit di α-1-antitripsina l’attività dei neutrofili è talora carente e questo comporta lo sviluppo di frequenti eventi infettivi acuti che alla lunga evolvono in cronicizzazione degli stessi e nel danno d’organo irreversibile.
Nelle bronchiectasie (CF e nCF) e nel deficit di α-1-antitripsina l’attività dei neutrofili è talora carente, anche in presenza di un numero di cellule normale o persino aumentato e questo comporta lo sviluppo di frequenti eventi infettivi acuti che alla lunga evolvono in cronicizzazione degli stessi e nel danno d’organo irreversibile. Nei pazienti bronchiectasici con efficiente reazione neutrofila, nell’espettorato e nel Lavaggio Broncoalveolare (BAL) IL8 è aumentata e fra i linfociti predomina il fenotipo Th1; nei soggetti con neutropenia si può avere un quadro opposto, caratterizzato da incremento di IL13, eosinofilia e associata sindrome asmatiforme.
Anche in fase precoce, nelle secrezioni bronchiali e nel BAL la conta cellulare evidenzia una prevalenza di neutrofili ed un incremento di marker d’infiammazione quali IL8, TNFα ed elastasi: quest’ultima, rilasciata dagli stessi neutrofili, è uno dei principali fattori del danno d’organo, soprattutto dei tessuti connettivi.
Oggi tuttavia l’elemento molecolare cui viene assegnato un ruolo determinante nel danneggiamento dei tessuti è costituito dal sistema enzimatico delle MMP zinco-dipendenti: alterano la lamina basale e degradano la matrice extracellulare; MMP2 e MMP9 agiscono specificamente sul collagene. L’attività di questi enzimi è massima nelle forme colonizzate da P. aeruginosa.
L’iperattività delle MMP correla con l’entità del danno tissutale e l’estensione delle bronchiectasie, la tipologia di batteri colonizzanti, l’incremento degli altri marker d’infiammazione, nonché con il remodelling delle vie aeree.
L’iperattività delle MMP correla con l’entità del danno tissutale a seguito della degradazione del collageno da proteasi e l’estensione delle bronchiectasie, la tipologia di batteri colonizzanti, l’incremento degli altri marker d’infiammazione, nonché con il remodelling delle vie aeree 12.
Nei tessuti bronco-polmonari vi sono 9 tipi di MMP e 4 inibitori tissutali (Tissue Inhibitor of Metalloproteinases, TIMP) che possono essere valutati mediante ibridazione in situ di ciascun mRNA quali indicatori dell’espressione genica. Nell’evoluzione delle lesioni bronchiectasiche sono stati evidenziati diversi profili a seconda del microrganismo prevalente; se questi è P. aeruginosa, vi è aumento di MMP1-3-7-8-9, TIMP2-4 e ratio MMP9/TIMP1; se predomina H. influenzae, sono incrementati MMP2-8 e ratio MMP8/TIMP1; il prevalere delle proteasi rispetto agli inibitori è marker di danno tissutale e accompagna sempre le forme colonizzate o infettate da P. aeruginosa e/o H. influenzae 13. Pertanto i diversi profili possono predire il tipo di patogeno, oltreché correlare, come già accennato, con il decremento della funzionalità polmonare, modalità e tipologia di remodelling, in accordo con le indicazioni microbiologiche. Correlazioni sono state evidenziate anche con gli altri marker di flogosi: nelle nCF-Br, nel BAL, i livelli di MMP2-9 sono fortemente aumentati rispetto a soggetti sani di controllo, mentre i CF-Br+ presentano valori intermedi; in entrambe le forme, allo stesso tempo, nel BAL e nel sangue sono elevate IL8, IL10 e IL4, mentre IL18 è assente o ridotta. Un altro dato emerso di recente è, nei pazienti con nCF-Br, la frequente carenza di vitamina D, i cui livelli sono inversamente proporzionali alla severità dell’infiammazione. La vitamina D sviluppa e modula diversi meccanismi dell’immunità innata e riduce i processi infiammatori legati all’attivazione della risposta adattativa: pertanto ha un ruolo nelle riacutizzazioni infiammatorie delle bronchiectasie e, di conseguenza, interferisce con i meccanismi di perpetuazione dell’infiammazione. La vitamina D è stata sperimentata come anti-infiammatorio nelle bronchiectasie, anche se sono da puntualizzare i meccanismi d’azione molecolare in tal senso, le dosi da impiegare e come monitorare qualità di vita e ricorrenza di esacerbazioni infettive D-dipendenti in questi pazienti. Sappiamo comunque che la vitamina D è un immunomodulante, in quanto downregola citochine e chemochine pro-infiammatorie. Le cellule dell’epitelio bronchiale esprimono 1-α-idrossilasi, che attiva localmente 25(OH)-vitamina D inattiva in 1,25(OH)2vitamina D attiva; nelle cellule epiteliali vi sono geni D-dipendenti che, attraverso funzioni auto e paracrine, controllano l’immunità locale del polmone. Deficit di vitamina D sono correlati con lo sviluppo di bronchiectasie attraverso condizioni di immunodeficit locale: ciò spiega in parte la frequenza della patologia in popolazioni povere e sottoalimentate, a partire da un incremento degli episodi infettivi broncopolmonari. L’apporto di vitamina D può rappresentare un presidio anti-infiammatorio supplementare 14. Infine, la vitamina D è risultata essere un importante cofattore di cellule regolatorie (Cd25high+, Cd127dim/low, FOXp3+), con un ruolo peraltro ancora da definire.
Ulteriori studi riguardano le cellule Th17+, che assumono un ruolo cruciale nell’infiammazione neutrofila e nel danno tissutale, nelle nCF-Br 15. IL17 può essere dosata, oltreché nel sangue periferico, persino nell’aria espirata e i valori confrontati; i livelli di cellule Cd4+Th17+ decrescono significativamente nel sangue e in sede di lesione (tramite BAL) dopo trattamento con macrolidi, così come i valori rilevati della citochina.
Stesse indicazioni provengono da studi recenti, condotti con tecniche più sofisticate: ricerca di mRNA (espressione genica) nel BAL e nelle biopsie endobronchiali per IL17, ma anche IL1β, IL8 e IL23 per un confronto. Nelle forme “naïve”, mai trattate con macrolidi, in presenza di estesa colonizzazione da P. aeruginosa, le quattro citochine sono assai elevate, con valori tanto più marcati quanto maggiore è la virulenza e l’antibioticoresistenza del ceppo batterico presente; IL1β e IL8 correlano con gli altri marker d’infiammazione, IL17 e IL23 presentano un comportamento più anarchico 16.
Un ultimo filone di ricerca riguarda l’importanza dei fenomeni apoptotici nella patologia bronchiectasica; la risoluzione dell’infiammazione è associata anche alla rimozione di cellule morte della stessa infiammazione mediante apoptosi, basata sulla ricognizione da parte di recettori attivati quali il recettore per la fosfatidilserina mediata dall’elastasi (PTDS), Cd36 e α-integrine. Se il processo di rimozione non si attua, la flogosi persiste, come ben dimostrato nella fibrosi cistica complicata; in ogni caso, nell’espettorato aumentano le cellule infiammatorie apoptotiche, sia nelle CF-Br che nelle nCF-Br.
In vitro, il supernatante del BAL di pazienti affetti da nCF-Br inibisce la rimozione delle cellule apoptotiche da parte dei macrofagi alveolari, in un sistema dipendente dall’elastasi neutrofila, suggerendo che l’elastasi potrebbe avere un ruolo importante anche nella clearance apoptotica in vivo. Mediante citometria è stato dimostrato che l’elastasi neutrofila taglia il recettore PTDS, ma non Cd36 e Cd32 (FcγRII); il clivaggio del recettore PTDS ad opera dell’elastasi interrompe specificamente la fagocitosi delle cellule apoptotiche, cioè un potenziale meccanismo per una clearance continuata delle cellule apoptotiche in vivo. Pertanto, in entrambe le forme, CF e n-CF-Br, la difettosa clearance delle cellule apoptotiche nelle vie aeree può essere dovuta al clivaggio del recettore PTDS, ad opera dell’elastasi neutrofila, e contribuisce al persistere dell’infiammazione 17.
Ricordiamo infine la sindrome di Williams-Campbell, caratterizzata da assenza di cartilagine nei bronchi sub-segmentali e sviluppo di bronchiectasie nei bronchi distali alla lesione: pur rara, si presta bene come modello per lo studio dell’evoluzione delle ectasie bronchiali 18.
Evoluzione e implicazioni microbiologiche
Origine ed evoluzione delle bronchiectasie si intersecano quasi inevitabilmente con lo sviluppo di colonie microbiche, spesso multispecie, che possono causare episodi infettivi la cui gravità, frequenza e tendenza alla cronicizzazione variano da individuo a individuo, in relazione a molteplici fattori locali e sistemici legati all’interazione fra microrganismi stessi e reazione immune dell’ospite.
Origine ed evoluzione delle bronchiectasie si intersecano quasi inevitabilmente con lo sviluppo di colonie microbiche, spesso multispecie, che possono causare episodi infettivi.
Pertanto nell’esaminare la storia naturale di una malattia bronchiectasica non possiamo trascurare l’impatto e il ruolo assunto, in ogni caso, dalle implicazioni microbiologiche, che talora e precocemente vanno al di là di un semplicistico evento etichettabile quale concausa, rappresentando bensì un substrato eziologico di primaria importanza. In questo paragrafo vediamo alcuni aspetti dell’interazione fra ospite e colonie microbiche, la cui rilevanza è stata ben rimarcata dagli studi più recenti.
Le due forme più complesse, difficili da eradicare e maggiormente interferenti con la patologia bronchiectasica sono quelle da P. aeruginosa ed H. influenzae.
Nella Tabella II riportiamo i principali microrganismi colonizzanti lesioni ectasiche dei bronchi, con alcune caratteristiche salienti. Le due forme più complesse, difficili da eradicare e maggiormente interferenti con la patologia bronchiectasica sono quelle da P. aeruginosa ed H. influenzae, delle quali riportiamo alcuni dati recenti e significativi.
Infezioni da P. aeruginosa. Infezioni serie, da ceppi virulenti e multiresistenti, sono caratterizzate da robusto reclutamento di neutrofili e rilascio di aliquote consistenti di elastasi, altre proteasi e lipasi; i batteri interferiscono con la motilità ciliare, anche in relazione ai fenotipi di mucine (vedi sopra) dell’ospite e, persistendo nel tempo o cronicizzandosi l’infezione, tendono a formare biofilm. Ci troviamo pertanto di fronte ad un ampio ventaglio di situazioni, a veri e propri quadri fenotipici di malattia, relativamente ai parametri citati, scatenati da ceppi differenti di P. aeruginosa, che variano sensibilmente tra CF e n-CF-Br, nelle diverse età e in relazione alla risposta immune.
Nelle infezioni da P. aeruginosa, ma anche da H. influenzae, sono elevate PCR, IL8 e IL1β; le due citochine, incrementate sia nel sangue periferico che nelle secrezioni bronchiali, indicano una mobilitazione dei neutrofili e i livelli correlano con l’estensione dei distretti bronchiali interessati dalla flogosi e dalla sovrainfezione e con il decadimento degli indici spirometrici 24.
Durante le infezioni protratte e croniche da P. aeruginosa nei bronchiectasici, i batteri sono colonizzati da fagi che interferiscono con numerosi geni, ora riducendo ma più spesso incrementandone la virulenza: in particolare condizionano l’adesività dei batteri alle cellule dell’ospite e il legame con recettori glucidici. Soprattutto nei bambini con fibrosi cistica, ma anche nelle nCF-Br, si possono formare biofilm, documentabili mediante BAL, contenenti batteri vivi e morti in diverse percentuali e in rapporto al precedente uso di antibiotici. In un biofilm colonizzante le ectasie bronchiali è più facile e frequente lo scambio laterale di informazioni geniche e l’infezione da parte di fagi 25.
Durante la storia naturale della malattia, diverse popolazioni, genomicamente differenti, di P. aeruginosa possono accumularsi, mutare e cambiare caratteristiche fenotipiche, sovrapponendosi qualora si verifichino più eventi infettivi: i diversi ceppi coesistono e convivono o entrano tra loro in competizione; alcuni possono essere sensibili, altri resistenti agli antibiotici, ma tutti contribuiscono a formare un biofilm multivariato, con diverse modalità di acquisizione di fattori nutritivi e danneggiamento dell’ospite 26.
La terapia endovena o aerosolica di antibiotici quali cefalosporine o gentamicina riduce diversi indici di flogosi batterica, rilevati nel sangue periferico e nel BAL, incrementati in fase acuta, quali: molecole di adesione intercellulare (SIAM-1), E-selectine, Vascular Cell Adhesion Molecule (VCAM-1).
In tutte le infezioni severe delle bronchiectasie, può essere utile valutare la PCR ad alta sensibilità (hs-PCR) i cui valori correlano bene con l’entità dei danni rilevabili all’HRCT (High-Resolution Computed Tomography); la terapia antibiotica e il miglioramento delle condizioni generali e respiratorie del paziente determinano una riduzione della hs-PCR 27.
P. aeruginosa produce specificamente acido cianidrico, un potente inibitore della respirazione cellulare: è particolarmente elevato nell’espettorato e nell’aria espirata (esalato condensato) dei pazienti con bronchiectasie infette e i livelli correlano con il grado di decremento degli indici spirometrici; il fenomeno è stato evidenziato in tutte le età, giovani e anziani e in ambedue i sessi.
Infezioni da H. influenzae. Nei pazienti portatori di bronchiectasie, infezioni da emofili possono ripetersi con frequenza, protrarsi e persino cronicizzare; in questi casi notiamo la comparsa di resistenze acquisite a più antibiotici, segnalate dalla presenza di geni della famiglia erm (A-B-C) e mef (A e E), legati a sequenze mobili come i trasposoni o portati da vettori plasmidici 28. La resistenza è frequente nei confronti dei macrolidi e soprattutto verso l’azitromicina, è un fenomeno segnalato in costante aumento. Ricordiamo che i macrolidi, nelle bronchiectasie, sono antibiotici di prima scelta, preventivi e curativi e dimostrano azione antinfiammatoria oltreché antimicrobica, il cui effetto può protrarsi nel tempo.
Nelle bronchiectasie sovrainfettate da questo batterio, i marker di stress ossidativo, valutati nell’aria espirata, sono significativamente incrementati: ossido nitrico, 8-isoprostano, nitriti e nitrati, acidità; è stato dimostrato che anche nelle forme che rispondono bene alla terapia aerosolica con antibiotici quali l’azitromicina, questi indici permangono elevati a lungo, anche nelle fasi di convalescenza e guarigione, dunque i chemioterapici non riescono a limitare eventuali danni ossidativi che possono protrarsi nel tempo.
Da segnalare infine la cosiddetta “Cepacia syndrome”, caratterizzata da polmonite necrotizzante, ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) e sepsi; dovuta a batteri del genere Burkholderia, opportunisti, si verifica in soggetti con immunodeficit, bronchiectasie, pneumotorace, pregresse lesioni cavitarie, mentre è rarissima fra gli immunocompetenti nCF-Br-. Data la resistenza di questi batteri agli antibiotici, è particolarmente impegnativa da debellare 29.
Imaging
È affidato alla HRCT, essendo le bronchiectasie difficilmente riconoscibili alla radiografia standard, salvo casi particolarmente vistosi. Tuttavia la radiografia del torace può quantomeno far sospettare le bronchiectasie per il reperto di densità tubulari, ispessimento a binario, noduli “ad anello”.
L’imaging è affidato alla HRCT, essendo le bronchiectasie difficilmente riconoscibili alla radiografia standard, salvo casi particolarmente vistosi.
L’acquisizione delle immagini mediante HRCT prevede spessori molto sottili, dell’ordine di 1 mm, condotta in continuità in apnea inspiratoria e, in casi selezionati, integrata da acquisizioni in espirazione per la enfatizzazione di eventuali aree di air trapping. La tecnica di ricostruzione delle immagini prevede la possibilità di documentazione sui piani assiale-coronale-sagittale consentendo un’accuratezza diagnostica molto elevata sia nella documentazione diretta dell’albero bronchiale sia nelle frequenti ricadute funzionali e nelle complicanze flogistiche. Queste ultime costituiscono spesso la ragione clinica che porta all’effettuazione dell’esame. Le bronchiectasie molto periferiche, che colpiscono diramazioni di calibro ≤ 2 mm, definite bronchioloectasie, meritano una particolare tecnica di ricostruzione nota con l’acronimo “MinIP” (Minimum Intensity Projection). Le acquisizioni in espirazione vengono effettuate su casi selezionati, generalmente per valutare la localizzazione topografica e il volume di polmone ostruito, nei pazienti con flogosi bronchiale e bronchiolare cronica o nel sospetto di broncomalacia.
Il segno diretto classico delle bronchiectasie in HRCT è costituito dall’immagine di “anello con castone”.
Il segno diretto classico delle bronchiectasie in HRCT è costituito dall’immagine di “anello con castone”: riproduce la sezione trasversale di un bronco dilatato e ispessito con accanto il vaso che lo accompagna, il ramo dell’arteria polmonare, di dimensioni normali. Di solito, nei giovani adulti, il rapporto fra i diametri delle due formazioni è approssimativamente di 1:1, negli anziani è considerato ancora normale fino a valori di 1,3:1, senza segni clinici di patologia bronchiale 30 (Figure 1, 2).
Terapia
Sintomi cardine sono tosse, emoftoe, dispnea ed espettorazione purulenta, quest’ultima espressione della fase in cui si passa dallo “stato bronchiectasico”, peraltro spesso asintomatico e talora perdurante anche per anni, al processo patologico della “malattia bronchiectasica”. Dal momento che ci troviamo di fronte ad un corredo di sintomi, nessuno dei quali è patognomonico per la patologia considerata, le bronchiectasie devono essere sospettate in qualsiasi paziente con tosse cronica, produzione di espettorato e infezioni respiratorie ricorrenti; sintomi addizionali che possono suggerire la diagnosi sono rinosinusite, affaticamento, emottisi, asma di difficile trattamento, nonché pazienti non fumatori con Broncopneumopatia Cronico Ostruttiva (BPCO) e con un espettorato ripetutamente positivo per P. aeruginosa o Micobatteri non tubercolari (NMT).
Le vie aeree dei pazienti bronchiectasici albergano una varietà enorme di microrganismi: H. influenzae, P. aeruginosa, S. aureus, M. catarrhalis, S. pneumoniae, Enterobacteriaceae e NMT; sono presenti complesse comunità polimicrobiche che difficilmente emergono con la sorveglianza diagnostica standard. Mediante pirosequencing 16S rDNA è stata rilevata anche la presenza di aerobi come Achromobacter, Stenotrophomonas e S. milleri (SMG), responsabili di riacutizzazioni in pazienti con fibrosi cistica 31.
È stato osservato che caratteristiche cliniche e funzionalità polmonare sono peggiori nei pazienti con P. aeruginosa, patogeno chiave ritenuto un marker di gravità e progressione della malattia, mentre sono meno compromesse in pazienti con H. influenzae e meno ancora nei pazienti con normale flora o nessun microrganismo, suggerendo una correlazione fra progressione di malattia, presenza di questi patogeni e parametri quali FEV1, conteggio dei neutrofili e punteggio della tosse di Leicester. Poco si conosce sul rischio di infezione nei pazienti con malattia più lieve o se esista una possibilità di eradicazione definitiva dei batteri.
I batteri Gram+ sono meno comuni e comprendono S. pyogenes e S. aureus, quest’ultimo nella forma resistente alla meticillina (MRSA) può coesistere in modo intermittente con lo Pseudomonas, o essere in un piccolo numero di pazienti l’unica presenza.
Le infezioni da NTM sono abbastanza comuni, anche se non c’è certezza sulla reale prevalenza; vi sono però prove che i tassi di infezione siano in aumento, legati sia ai progressi delle tecniche diagnostiche che all’uso più frequente della HRCT. Il pattern più comune è quello di piccoli noduli multipli, occasionalmente associati ad una o più cavità, combinati con bronchiectasie diffuse. È probabile che i cambiamenti strutturali delle vie aeree che causano alterazioni nella clearance mucociliare con un aumento della produzione di muco predispongano i pazienti con bronchiectasie alla colonizzazione di NTM e successiva infezione. Tuttavia, è anche plausibile che alterazioni nella risposta immunitaria dei pazienti con nCF-Br possano anche svolgere un ruolo chiave nello sviluppo delle infezioni. Il riscontro più frequente si ha nei soggetti più anziani, prevalentemente donne con basso BMI (Body Mass Index) che hanno una malattia diagnosticata in età avanzata rispetto a quelli senza NTM; nei primi è comune anche la concomitanza di malattia da reflusso gastroesofageo (GERD), mentre l’asma, l’immunodeficienza primaria e la discinesia ciliare primaria sono più comuni nei pazienti NTM. Il Mycobacterium avium complex è l’isolato più frequente 32.
La maggior parte dei batteri coinvolti, compresi i micobatteri, forma biofilm che rendono meno efficace la terapia antimicrobica in quanto la loro matrice idratata di polisaccaridi e proteine extracellulari racchiude cluster di batteri e li protegge dall’ambiente ospite rafforzandone la capacità di sopravvivere nell’ospite stesso.
Prevenire le riacutizzazioni, ridurre i sintomi, migliorare la qualità della vita e arrestare la progressione della malattia comportano l’intervento del clinico, del microbiologo, del fisioterapista, del radiologo interventista ed eventualmente del chirurgo toracico.
La gestione della “sindrome bronchiectasica” è multimodale indipendentemente dall’estensione della patologia, in quanto prevenire le riacutizzazioni, ridurre i sintomi, migliorare la qualità della vita e arrestare la progressione della malattia comportano l’intervento del clinico, del microbiologo, del fisioterapista, del radiologo interventista ed eventualmente del chirurgo toracico. Il piano terapeutico prevede infatti terapia medica per le riacutizzazioni infettive e per la sindrome restrittiva/ostruttiva, vaccinazione e strategie di profilassi; fisioterapia per migliorare la clearance delle vie aeree; infine anche l’intervento chirurgico per le forme localizzate fino al trapianto polmonare per quelle più gravi. È indispensabile predisporre anche un’attività educazionale nei confronti del paziente, che deve avere una chiara comprensione della propria patologia e ricevere consigli in merito a corretti stili di vita come smettere di fumare, effettuare regolare esercizio fisico e seguire congruo stato nutrizionale, in particolare per quelli con basso indice di massa corporea.
Sebbene gli antibiotici sistemici siano considerati il trattamento principale, la somministrazione per via inalatoria può rappresentare un approccio ottimale per il trattamento e la prevenzione delle riacutizzazioni 33.
Pietra angolare è il controllo delle riacutizzazioni infettive in quanto comportano un progressivo peggioramento della funzione polmonare e maggiore probabilità di ricovero ospedaliero.
Pietra angolare è il controllo delle riacutizzazioni infettive in quanto comportano un progressivo peggioramento della funzione polmonare e maggiore probabilità di ricovero ospedaliero: rimandiamo alla prima parte della rassegna per le premesse eziopatogenetiche delle complicanze infettive e ripercussioni nella storia naturale della malattia. La terapia antibiotica riduce il carico batterico e migliora l’infiammazione delle vie aeree e l’outcome clinico nei confronti dei germi più comunemente isolati. È stata dimostrata una relazione diretta tra carica batterica e infiammazione sia delle vie aeree che sistemica: i pazienti con più alta carica presentano una maggiore frequenza di riacutizzazioni e di ricovero in ospedale, indipendente dalla gravità delle bronchiectasie, la carica batterica più elevata è sempre associata a sintomi respiratori più gravi.
La terapia antibiotica costituisce il cardine del trattamento sia nelle riacutizzazioni che come profilassi per prevenirle.
La terapia antibiotica costituisce quindi il cardine del trattamento sia nelle riacutizzazioni che come profilassi per prevenirle. I campioni di espettorato per colture microbiologiche devono essere raccolti in tempi diversi per facilitare una terapia mirata. La colonizzazione con un particolare microrganismo viene classificata come cronica qualora lo stesso microrganismo sia rilevato in tre o più colture consecutive separate da almeno 1 mese per un periodo di 6 mesi 34-37.
Vi sono pochi studi randomizzati che valutano l’efficacia del trattamento antibiotico nelle esacerbazioni infettive. Le linee guida BTS (British Thoracic Society) 38 raccomandano un pronto trattamento antibiotico per tutti i pazienti che presentano una riacutizzazione, se si osserva un aumento della dispnea e del volume o del colore dell’espettorato. Se è noto che il paziente ha una colonizzazione cronica o qualora non fossero disponibili risultati microbiologici, è necessario selezionare, per il trattamento iniziale, un antibiotico ad ampio spettro che comunque dovrebbe essere attivo sui ceppi di Pseudomonas, visto il rapporto che questi hanno con la gravità della malattia e la sua prognosi. La terapia antibiotica orale deve essere utilizzata in prima linea per 10-14 giorni. I fluorochinoloni (levofloxacina o ciprofloxacina) sono le opzioni migliori ma occorre tuttavia tenere presente che la ciprofloxacina non è sufficientemente efficace contro i pneumococchi. Gli antibiotici per via endovenosa (IV) possono essere necessari se non c’è stata nessuna risposta agli antimicrobici orali o in presenza di un peggioramento del quadro clinico o se i batteri isolati sono sensibili solo ad agenti IV. In questo caso la gamma di molecole efficaci contro Pseudomonas spp. è più ampia (carbapenemici, cefalosporine ad attività contro Pseudomonas, ureidopenicilline). Al momento attuale è oggetto di dibattito se nei confronti dello Pseudomonas la terapia di associazione che utilizza un beta-lattamico con un aminoglicoside o un fluorochinolone sia superiore alla monoterapia. Le infezioni da Pseudomonas devono essere trattate per 10-14 giorni. Per i pazienti non a rischio di Pseudomonas, si raccomanda un trattamento con aminopenicillina/inibitore o cefalosporine di terza generazione. Tuttavia la scelta degli antibiotici dovrebbe sempre tener conto anche delle linee guida locali o nazionali basate sulla sensibilità antimicrobica e sui modelli di resistenza. Si è anche visto con la tecnica di sequenziamento 16S rDNA che talora non ci sono cambiamenti significativi nella densità della carica batterica dell’espettorato e nella diversità dei gruppi batterici prima e dopo il trattamento delle riacutizzazioni, suggerendo che spesso i cambiamenti nella composizione del microbiota del polmone non dipendono dalle esacerbazioni 39 40.
È stato dimostrato che la colonizzazione batterica cronica, le esacerbazioni gravi e l’infiammazione sistemica sono tutte associate a un più rapido declino della funzionalità polmonare nell’arco di 24 mesi. Il trattamento a breve termine con antibiotici IV o a lungo termine per 12 mesi di gentamicina nebulizzata determina un significativo miglioramento dei marcatori d’infiammazione delle vie aeree aprendo una via per migliorare i sintomi clinici e la prognosi della malattia. La somministrazione a lungo termine di macrolidi ha determinato un miglioramento dell’infiammazione nelle malattie delle vie aeree, ma non si è certi se esso porti a cambiamenti effettivi nella composizione del microbiota respiratorio.
Nello studio BLESS, di 12 mesi, in doppio cieco, controllato con somministrazione di eritromicina etilsuccinato due volte/dì (400 mg) vs placebo in pazienti adulti bronchiectasici con almeno due esacerbazioni infettive nell’anno precedente, la composizione del microbiota è stata determinata dal sequenziamento del gene rRNA 16S nei campioni di espettorato. L’outcome primario era il cambiamento della composizione del microbiota respiratorio confrontando eritromicina e placebo. Il cambiamento tra inizio e 48° settimana era significativamente maggiore con l’eritromicina rispetto al placebo. In pazienti con infezione delle vie aeree dominata da P. aeruginosa, l’eritromicina non ha modificato in modo significativo la composizione del microbiota, mentre in quelli con infezione da organismi diversi dallo Pseudomonas, l’eritromicina ha causato un cambiamento significativo e un viraggio consistente in una ridotta quantità di H. influenzae a favore dello Pseudomonas. Questi risultati depongono per un approccio cauto all’utilizzo cronico di macrolidi in pazienti senza infezione delle vie aeree da P. aeruginosa.
Otto studi controllati randomizzati che hanno reclutato 539 pazienti sono stati inclusi in una meta-analisi. Gli antibiotici inalatori a lungo termine hanno determinato un’evidente riduzione della densità batterica dell’espettorato [differenza media ponderata = 2,85, intervallo di confidenza al 95% (IC): 1,6-4,09, P < 0,00001] ed eradicazione dall’espettorato di P. aeruginosa [rapporto di probabilità (OR) = 6,6, IC 95%: 2,93-14,86, P < 0,00001]. Nessuna evidenza ha mostrato un rischio più elevato di resistenza a P. aeruginosa dopo terapia inalatoria. Inoltre, la terapia nebulizzata ha ridotto la quantità di pazienti con esacerbazioni (OR = 0,46, IC 95%: 0,21-1,00, P = 0,05). Tuttavia, i pazienti con antibiotici per via inalatoria hanno maggiori probabilità di soffrire di respiro sibilante (OR = 6,74, IC 95%: 2,22-20,52, P = 0,0008) e broncospasmo (OR = 2,84, IC 95%: 1,11-7,25, P = 0,03).
Non vi sono studi randomizzati che hanno convalidato l’utilità della terapia con broncodilatatori come β-agonisti a breve o lunga durata d’azione, anticolinergici, teofillina o antagonisti dei leucotrieni; tuttavia, molti pazienti ricevono questi trattamenti in quanto alle bronchiectasie si associa la BPCO e sviluppano ostruzione del flusso aereo e iperreattività bronchiale.
I mucolitici per inalazione hanno mostrato, anche in combinazione con la fisioterapia, un buon miglioramento di FEV1. Sono stati anche proposti agenti iperosmolari per aerosol come mannitolo in polvere secca e soluzione salina ipertonica. Nonostante la mancanza di prove definitive, vari agenti sono sempre più usati nella pratica clinica di routine, ma senza evidenze scientifiche di supporto.
Generalmente le terapie antinfiammatorie mancano di evidenza e necessitano di prove consistenti per giustificarne l’uso; non vi sono evidenze controllate circa la terapia corticosteroidea orale, mentre alcuni studi suggeriscono che gli steroidi per via inalatoria riducono il volume di escreato e migliorano i risultati del St. George’s Respiratory Questionnaire (SGRQ), ma non hanno alcun effetto su FEV1 e sulla frequenza di riacutizzazioni, anche se al momento attuale è possibile una similitudine con alcuni fenotipi della BPCO, estrapolando i risultati dei trattamenti con LAMA (Long-Acting Muscarinic Antagonists), LABA (Long-Acting Beta-Agonists) e ICS (Inhaled Corticosteroids). L’indometacina riduce la chemiotassi dei neutrofili periferici, anche se non è stato dimostrato alcun cambiamento nella frequenza delle riacutizzazioni o variazioni di elastasi, mieloperossidasi e albumina nell’espettorato.
I pazienti con episodi ricorrenti di polmonite e bronchite affetti da malattie infiammatorie croniche devono essere valutati nel sospetto di una patologia bronchiectasica sottostante, prima di un trattamento con farmaci biologici.
L’aumento nella produzione di muco, insieme alla compromissione del sistema mucociliare, porta all’accumulo di secrezioni, tosse e infezioni ricorrenti che richiedono una fisioterapia mirata, drenaggio posturale e tecniche di respirazione a ciclo attivo. Numerosi dispositivi meccanici (oscillazione della parete toracica ad alta frequenza, dispositivi di pressione espiratoria positiva oscillatoria, dispositivo flutter, dispositivo a capsula, maschera di pressione espiratoria positiva) sono considerati come trattamento standard, ma solo un limitato numero di studi ne ha valutato il loro uso. In uno studio randomizzato sono stati valutati 3 mesi di fisioterapia due volte/dì utilizzando un dispositivo di pressione espiratoria positiva oscillatoria vs 3 mesi di fisioterapia toracica: vi è stato un miglioramento significativo di LCQ (Leicester Cough Questionnaire), produzione di espettorato, capacità di esercizio e punteggio totale SGRQ, ma nessuna differenza significativa nella batteriologia dell’espettorato e nei parametri di funzionalità polmonare. Sebbene non esista un consenso sul suo impiego nelle nCF-Br, la fisioterapia toracica può avere piccoli, ma significativi benefici.
La chirurgia entra in gioco solo in caso di fallimento della terapia medica, in presenza di infezioni respiratorie ricorrenti e produzione persistente di espettorato, emottisi recidivanti, tosse cronica o ascesso polmonare cronico.
La chirurgia, fino alla soluzione estrema del trapianto del polmone, entra in gioco solo in caso di fallimento della terapia medica, in presenza di infezioni respiratorie ricorrenti e produzione persistente di espettorato, emottisi recidivanti, tosse cronica o ascesso polmonare cronico. Non sono presenti tuttavia in letteratura studi controllati che definiscono il preciso ruolo della chirurgia: è evidente che la resezione delle bronchiectasie deve essere effettuata dopo averne ben definito localizzazione ed estensione. La chirurgia è la procedura di scelta per l’emottisi massiva refrattaria all’embolizzazione dell’arteria bronchiale; tuttavia la chirurgia d’urgenza in pazienti instabili è associata ad alta morbilità e mortalità. Controindicazioni assolute non sembrano esserci, se non la presenza di una malattia non localizzata. Sono segnalati tassi di miglioramento dopo chirurgia del 50-80%, ma non ci sono studi di controllo con il gruppo che riceve la sola terapia medica.
Considerazioni su alcune situazioni locali
Associazione fra bronchiectasie, ernia iatale e/o reflusso gastro-esofageo 41. Un incremento di H+ e dunque dell’acidità, in seguito a reflusso nei bronchiectasici, determina un aggravamento delle lesioni preesistenti e della sintomatologia collegata, pertanto è da ritenere una concausa ed elemento di comorbilità. Altro fattore di aggravamento di forme preesistenti è la presenza di Helicobacter pylori, per il quale è invece da escludere un’azione di scatenamento primario e diretto di danneggiamento sulla parete dei bronchi 42.
Nei pazienti con reflusso, alti livelli di IL8, TNFα, mieloperossidasi ed elastasi neutrofila, nel sangue, nell’espettorato e nel BAL, accompagnati da persistenti segni di flogosi, possono predire l’insorgenza di bronchiectasie o l’aggravamento di forme preesistenti. Allo stesso tempo, nei pazienti con bronchiectasie, un aumento di pepsina nell’aria espirata può essere un segno indicatore di reflusso.
Impiego di inalanti. La somministrazione di farmaci mediante inalazione, compresi i β2-agonisti e gli steroidi, in pazienti bronchiectasici, deve sempre essere valutata e attuata con attenzione, dal momento che aumenta il rischio di emottisi qualora le lesioni parietali siano caratterizzate da accentuato danneggiamento e fragilità della componente vascolare, particolare importante ma che ovviamente può sfuggire alle indagini di routine del paziente.
Considerazioni conclusive
Le numerose, recenti acquisizioni riguardo la patogenesi delle bronchiectasie, soprattutto le forme non legate alla fibrosi cistica, di cui abbiamo riportato i dati salienti, ci inducono a pensare che siamo di fronte ad una “riscoperta” di questa patologia, ad un ritorno d’interesse che del resto ben si allinea con l’aumento dei casi riscontrati, tanto in età pediatrica, quanto fra gli adulti, segnalati un po’ ovunque, pur con variazioni significative, rispetto a qualche decennio fa, esaminando e raffrontando le malattie correlate o causali. Oggi disponiamo di elementi ora già conosciuti, ma rivisitati anche mediante l’utilizzo di tecnologie d’indagine più sofisticate, ora totalmente innovativi, che permettono di comprendere meglio la marcia verso la lesione d’organo e il danneggiamento, alfine irreversibile, della parete bronchiale con esito in ectasie permanenti. Il complesso intreccio tra fattori genetici predisponenti, infiammazione protratta o cronica, risposta immune, sistemica e d’organo, innata e adattativa, interferenza multispecie di microrganismi talora virulenti e a forte impatto patogenetico, crea un circolo vizioso ben noto, ma che oggi si palesa particolarmente variegato, capace comunque, come detto, di incidere pesantemente sull’anatomia e le funzioni delle vie aeree. I fattori studiati raramente agiscono da soli, per cui la malattia bronchiectasica si instaura qualora una convergenza di input eziopatogenetici spezzi il delicato equilibrio morfo-funzionale dei tessuti bronchiali, peri-bronchiali e del parenchima circostante.
A questa considerazione ne segue un’altra d’ordine clinico-pratico; la molteplicità dei fattori eziologici, delle modalità di progressione patogenetica, di concause determinanti con pesi e ruoli differenti, si traduce inevitabilmente in quadri clinici assai differenziati, veri e propri “fenotipi” di malattia 43, al pari di quanto rilevato per l’asma e le sindromi asmatiformi e la BPCO. Senza dover ricorrere al termine nosografico di “sindrome”, deve essere ben chiaro che la patologia bronchiectasica è tra le più variegate e pleomorfe nel panorama della broncopneumologia; l’impegno pluridisciplinare necessario e da tempo praticato nel percorso diagnostico e ancor più terapeutico sarà sempre più personalizzato nelle scelte fondamentali della terapia antibiotica, tipologia di farmaco e modalità di somministrazione, trattamenti mucolitici, espettoranti, coadiuvanti per la respirazione, steroidei, programma fisioterapico, fino alle scelte estreme della chirurgia, soprattutto se risolutiva.
La personalizzazione nella gestione del malato bronchiectasico è, a ben vedere, un approccio non solo di più figure di specialisti, ma anche tale da coinvolgerle totalmente da un punto di vista professionale, culturale e assistenziale.
Figure e tabelle
Cause | Bambini | Adulti |
---|---|---|
• Post-infettive | 17-24% | 17-30% |
• Discinesia ciliare primitiva | 9-26% | / |
• Immunodeficit congeniti | 12-21% | 5,8% |
• Aspergillosi e altre micosi | 6-8% | Non valutato |
• Aspirazioni endobronchiali infette ricorrenti | 3-16% | / |
• Reflusso gastroesofageo | 4-11% | Non valutato |
• Aspirazione corpi estranei non infetti | 2,7% | / |
• Bronchiolite obliterante | 1-9% | / |
• Altre malformazioni congenite | 2-5% | / |
• Post-tubercolari | 2,7% | (TBC + NMT) 20-22% |
• Tracheomalacia | 2% | / |
• Esofagite eosinofila | 2% | / |
• Asma primario | 1,8% | 3-4% |
• Malattie del connettivo (AR e SSC) | / | 3-10% |
• COPD related | / | 13-15% |
• Neoplasie | / | 2% |
• Sindrome del lobo medio | 1% | / |
Microrganismo | Caratteristiche nelle patologie bronchiectasiche |
---|---|
Batteri 19 | |
• P. aeruginosa | Il più frequente negli anziani, spesso multi-resistente |
• S. aureus | Frequente nei giovani |
• H. influenzae | Il più frequente nei bambini e nei giovani |
• S. pneumoniae | Il più frequente tra i non vaccinati |
• Enterobacteriaceae | Frequenti negli anziani defedati e immunodepressi |
• M. catharralis | Quasi esclusiva dei giovani |
• Mycoplasma e Chlamidia pneumoniae | Rari, quasi esclusivi nei giovani |
• Achromobacter | Opportunista, nelle immunodeficienze, spesso resistente |
• Nocardie | Riscontrabile negli anziani immunocompromessi |
• Mycobacterium avium complex 20 | Riscontrabile di solito solo negli adulti e anziani |
• Mycobacterium abscessus complex | Subspecies abscessus, negli anziani; il 50% dei ceppi è resistente ai macrolidi e altri antibiotici, proprietà legata a mutazioni e all’iperespressione di geni erm |
Miceti 21 | |
• Aspergillus (fumigatus) | Frequente qualora prevalga un fenotipo Th2 e nei deficit dell’immunità umorale |
• Candida (albicans) | Frequente nei deficit dell’immunità umorale |
Virus 22 23 | |
• Rinovirus, enterovirus, bocavirus, adenovirus, metapneumovirus, influenza A, RSV, parainfluenze 1-2-3-4, coronavirus | La frequenza con cui colonizzano le vie aeree nelle bronchiectasie è inferiore e meno significativa rispetto alle forme batteriche. I seguenti parametri di laboratorio sono alterati e indicativi, presi nel loro complesso, di una sovra- infezione virale: PCR, IL6, procalcitonina, fibrinogeno nel sangue periferico IL6 e amiloide A nelle secrezioni e nel BAL |
Riferimenti bibliografici
- Martinez-Garcia MA, Vendrell M, Giròn R. The multiple faces of non-cystic fibrosis bronchiectasis. A cluster analysis approach. Ann Am Thorac Soc. 2016; 13:1468-75.
- Jones AM. Cystic fibrosis and non-cystic fibrosis bronchiectasis. Semin Respir Crit Care Med. 2015; 36:167-8.
- Brower KS, Del Vecchio MT, Aronoff SC. The etiologies of non-CF bronchiectasis in childhood: a systematic review of 989 subjects. BMC Pediatr. 2014; 14:4.
- Lonni S, Chalmers JD, Goeminne PC. Etiology of non-cystic fibrosis bronchiectasis in adults and its correlation to disease severity. Ann Am Thorac Soc. 2015; 12:1764-70.
- Chalmers JD, McHugh BJ, Doherty C. Mannose-binding lectin deficiency and disease severity in non-cystic fibrosis bronchiectasis: a prospective study. Lancet Respir Med. 2013; 1:224-32.
- Hsieh MH, Chou PC, Chou CL. Matrix metalloproteinase-1 polymorphism (-1607G) and disease severity in non-cystic fibrosis bronchiectasis in Taiwan. PLoS One. 2013; 8:e66265.
- Sibila O, Suarez-Cuartin G, Rodrigo-Troyano A. Secreted mucins and airway bacterial colonization in non-CF bronchiectasis. Respirology. 2015; 20:1082-8.
- Gamaletsou MN, Hayes G, Harris C. F508del CFTR gene mutation in patients with allergic bronchopulmonary aspergillosis. J Asthma. 2017; 16:1-7.
- Polverino E, Cilloniz C, Menendez R. Microbiology and outcomes of community acquired pneumonia in non cystic-fibrosis bronchiectasis patients. J Infect. 2015; 71:28-36.
- Taylor SL, Woodman RJ, Chen AC. FUT2 genotype influences lung function, exacerbation frequency and airway microbiota in non-CF bronchiectasis. Thorax. 2017; 72:304-10.
- Redding GJ, Singleton RJ, Valery PC. Respiratory exacerbations in indigenous children from two countries with non-cystic fibrosis chronic suppurative lung disease/bronchiectasis. Chest. 2014; 146:762-74.
- Brill SE, Patel AR, Singh R. Lung function, symptoms and inflammation during exacerbations of non-cystic fibrosis bronchiectasis: a prospective observational cohort study. Respir Res. 2015; 16:16.
- Guan WJ, Gao YH, Xu G. Sputum matrix metalloproteinase-8 and -9 and tissue inhibitor of metalloproteinase-1 in bronchiectasis: clinical correlates and prognostic implications. Respirology. 2015; 20:1073-81.
- Singleton RJ, Valery PC, Morris P. Indigenous children from three countries with non-cystic fibrosis chronic suppurative lung disease/bronchiectasis. Pediatr Pulmonol. 2014; 49:189-200.
- Fouka E, Lamprianidou E, Arvanitidis K. Low-dose clarithromycin therapy modulates Th17 response in non-cystic fibrosis bronchiectasis patients. Lung. 2014; 192:849-55.
- Chen AC, Martin ML, Lourie R. Adult non-cystic fibrosis bronchiectasis is characterised by airway luminal Th17 pathway activation. PLoS One. 2015; 10:e0119325.
- Vandivier RW, Fadok VA, Hoffmann PR. Elastase-mediated phosphatidylserine receptor cleavage impairs apoptotic cell clearance in cystic fibrosis and bronchiectasis. J Clin Invest. 2002; 109:661-70.
- Noriega-Aldave AP, Saliski WD. The clinical manifestations, diagnosis and management of Williams-Campbell syndrome. N Am J Med Sci. 2014; 6:429-32.
- Zoumot Z, Wilson R.. Respiratory infection in non-cystic fibrosis bronchiectasis. Curr Opin Infect Dis. 2010; 23:165-70.
- Mirsaeidi M, Hadid W, Ericsoussi B. Non-tuberculous mycobacterial disease is common in patients with non-cystic fibrosis bronchiectasis. Int J Infect Dis. 2013; 17:e1000-4.
- Maiz L, Vendrell M, Olveira C. Prevalence and factors associated with isolation of Aspergillus and Candida from sputum in patients with non-cystic fibrosis bronchiectasis. Respiration. 2015; 89:396-403.
- Gao YH, Guan WJ, Xu G. The role of viral infection in pulmonary exacerbations of bronchiectasis in adults: a prospective study. Chest. 2015; 147:1635-43.
- Kapur N, MacKay IM, Sloots TP. Respiratory viruses in exacerbations of non-cystic fibrosis bronchiectasis in children. Arch Dis Child. 2014; 99:749-53.
- Bergin DA, Hurley K, Mehta A. Airway inflammatory markers in individuals with cystic fibrosis and non-cystic fibrosis bronchiectasis. J Inflamm Res. 2013; 6:1-11.
- McDonnell MJ, Jary HR, Perry A. Non cystic fibrosis bronchiectasis: a longitudinal retrospective observational cohort study of Pseudomonas persistence and resistance. Respir Med. 2015; 109:716-26.
- Eusebio N, Amorim AA, Gamboa F. Molecular identification and genotyping of Pseudomonas aeruginosa isolated from cystic fibrosis and non-cystic fibrosis patients with bronchiectasis. Pathog Dis. 2015; 73:1-7.
- Hsieh MH, Fang YF, Chen GY. The role of the high-sensitivity C-reactive protein in patients with stable non-cystic fibrosis bronchiectasis. Pulm Med. 2013; 2013:795140.
- Atkinson CT, Kunde DA, Tristam SG. Acquired macrolide resistance genes in Haemophilus influenzae?. J Antimicrob Chemother. 2015; 70:2234-6.
- Hauser N, Orsini J.. Cepacia syndrome in a non-cystic fibrosis patient. Case Rep Infect Dis. 2015; 2015:537627.
- Dimakou K, Triantafillidou C, Toumbis M. Non CF-bronchiectasis: aetiologic approach, clinical, radiological, microbiological and functional profile in 277 patients. Respir Med. 2016; 116:1-7.
- McShane PJ, Naureckas ET, Tino G. Non-cystic fibrosis bronchiectasis. Am J Respir Crit Care Med. 2013; 188:647-56.
- Bilton D, Loebinger MR, Wilson R.. Non-cystic fibrosis bronchiectasis: an evidence-base for new therapies. Lancet Respir Med. 2014; 2:958-60.
- Yang JW, Fan LC, Lu HW. Efficacy and safety of long-term invale antibiotic for patients with non-cystic fibrosis bronchiectasis: a meta-analysis. Clin Resp J. 2016; 10:731-9.
- Miravitlles M, Anzueto A.. Antibiotics for acute and chronic respiratory infection in patients with chronic obstructive pulmonary disease. Am J Resp Crit Care Med. 2013; 188:1052-7.
- Kelly C, Chalmers JD, Crossingham I. Macrolide antibiotics for bronchiectasis. Cochrane Database Sist Rev. 2018; 3:CD012406.
- Wong C, Jayaram L, Karalus N. Azithromycin for prevention of exacerbations in non-cystic fibrosis bronchiectasis (EMBRACE): a randomized, double blind, placebo-controlled trial. Lancet. 2012; 380:660-7.
- Naeem M, Nourain K, Reddy R.. Effect of long term azithromycin on exacerbations in non CF bronchiectasis. Eur Resp J. 2014; 44:P4695.
- Pasteur MC, Bilton D, Hill AT. British Thoracic Society bronchiectasis non-CF guideline group. Thorax. 2010; 65:i1-i58.
- Tunney MM, Einarsson GG, Wei L. Lung microbiota and bacterial abundance in patients with bronchiectasis when clinically stable and during exacerbation. Am J Respir Crit Care. 2013; 187:1118-26.
- Rogers GB, Bruce KD, Martin ML. The effect of long-term macrolide treatment on respiratory microbiota composition in non-cystic fibrosis bronchiectasis: an analysis from the randomised, double blind, placebo-controlled BLESS trial. Lancet Respir Med. 2014; 2:988-96.
- McDonnell MJ, Ahmed M, Das J. Hiatal hernias are correlated with increased severity of non-cystic fibrosis bronchiectasis. Respirology. 2015; 20:749-57.
- Aydin Teke T, Akyön Y, Yalcin E. Does Helicobacter pylori play a role in the pathogenesis of non-cystic fibrosis bronchiectasis?. Pediatr Int. 2016; 58:894-8.
- Anwar GA, McDonnell MJ, Worthy SA. Phenotyping adults with non-cystic fibrosis bronchiectasis: a prospective observational cohort study. Respir Med. 2013; 107:1001-7.
Licenza
Questo lavoro è fornito con la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Copyright
© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2018
Come citare
- Abstract visualizzazioni - 859 volte
- PDF downloaded - 5132 volte