La cura della dispnea nelle malattie respiratorie croniche
Abstract
Ad oggi sono disponibili trattamenti efficaci per la dispnea cronica e acuta. Tali interventi sono differenti dalle terapie rivolte alla patologia di base, che causa la dispnea. Alcuni, come la riabilitazione pneumologica, sono stati ormai accettati dalla comunità medica e sono indicati come interventi mandatori nell’approccio al paziente con patologie respiratorie croniche, o almeno nei pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva. Altri, come le cliniche e gli ambulatori dedicati alla dispnea, sono meno conosciuti, ma supportati da solide evidenze scientifiche. Una migliore conoscenza dei metodi disponibili per trattare la dispnea cronica in maniera integrata, oltre ai farmaci rivolti alla patologia di base, deve fornire il punto di partenza per ulteriori ricerche ed approfondimenti: l’utilizzo, ad esempio, della morfina a bassa dose e lento rilascio è supportato da crescenti evidenze scientifiche, che documentano un netto beneficio. Tuttavia non tutti i pazienti tollerano gli oppioidi, pertanto ulteriori approfondimenti sul ruolo di differenti farmaci e presidi è necessario per fornire ai pazienti un maggior controllo su questo debilitante sintomo.
Quando un paziente riferisce o presenta una cronica carenza di fiato, definita dagli Autori anglosassoni breathlessness, è indicata una accurata ricerca delle patologie che ne possono essere causa; una volta stabilita una diagnosi, le terapie vanno rivolte a trattarne l’eziologia con monitoraggio regolare a distanza di tempo onde verificare che il sintomo regredisca. Ciononostante, alcuni pazienti continueranno a riferire dispnea, in maniera sia accessionale che persistente, in particolar modo laddove la patologia progredisca. Qualora la dispnea non venisse percepita come una condizione tale da essere riferita al clinico, o non venisse riconosciuta come un potenziale target terapeutico, il paziente potrebbe non beneficiare di utili terapie, fondate e sostenute da evidenze scientifiche. La riabilitazione pneumologica è una di queste: basata su forti evidenze ma che sovente non viene suggerita o valutata. Oltre ad essa, vi sono diverse terapie che possono essere d’aiuto, ma spesso i clinici tendono a non proporle a causa di una scarsa preparazione sull’argomento.
Interventi non farmacologici
Gli interventi di carattere non farmacologico forniscono opzioni terapeutiche, che agiscono sulla modalità respiratoria del paziente (dominio sensoriale-percettivo), sulla sua maniera di pensare (dominio attivo) e sulla sua capacità funzionale (dominio dell’impatto sulle attività quotidiane) 1-3.
La dispnea dei portatori di Malattia Respiratoria Cronica (MRC) è un sintomo ad eziologia multipla, che tipicamente esordisce con lo sforzo e con caratteristiche ingravescenti al peggioramento del quadro funzionale respiratorio. La presenza di questo sintomo porta discomfort con una riduzione della capacità di autogestione della vita quotidiana, incremento della disabilità e riduzione progressiva della tolleranza allo sforzo.
Gli interventi di carattere non farmacologico forniscono opzioni terapeutiche che agiscono sulla modalità respiratoria del paziente, sulla sua maniera di pensare e sulla sua capacità funzionale.
Il progressivo decondizionamento dall’attività fisica, fino all’inattività totale, è una delle principali conseguenze della dispnea che può tradursi in un circolo vizioso di peggioramento della patologia di base e di ridotta capacità funzionale 4: un approccio volto alla riabilitazione è raccomandato per spezzare questa spirale. La riabilitazione pneumologica rappresenta un gold standard 5 6 e dovrebbe essere consigliata a tutti i pazienti a rischio di sviluppare o che già presentino disabilità respiratoria; comprende l’esercizio fisico ed è un intervento raccomandato dalle linee guida di gestione della Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) e delle MRC. L’impatto dei programmi strutturati di riabilitazione respiratoria sulla dispnea da sforzo è stato ampiamente descritto negli studi fino ad ora eseguiti e per tutti i livelli di ostruzione funzionale, anche per quelli più gravi, e sembra mostrare risultati significativi, concordanti con l’incremento della tolleranza allo sforzo, il miglioramento della qualità di vita e dell’assetto psicologico con minore depressione e ansia.
Relativamente alla durata del programma di riabilitazione la maggioranza dei lavori evidenzia come siano efficaci anche programmi di lavoro relativamente corti di 8-12 settimane.
I programmi di riabilitazione respiratoria più indicati sono multidisciplinari e includono in modo imprescindibile un programma di allenamento allo sforzo strutturato e attentamente dosato. Il numero di sessioni settimanali supervisionate dal fisioterapista variano nei vari studi da 1 a 6 con tipologia di esercizio diversificata. Tuttavia la maggioranza dei lavori evidenzia un miglioramento della dispnea con almeno 3 sedute controllate settimanali e con una tipologia di lavoro che comprenda esercizi di tipo aerobico.
I programmi di riabilitazione con interventi educazionali possono fornire sollievo, migliorare la capacità di controllo dei sintomi, oltre a mettere il paziente al centro di un sistema di supporto.
I programmi di riabilitazione con interventi educazionali possono fornire sollievo, migliorare la capacità di controllo dei sintomi e dei costi ad essi legati, oltre a mettere il paziente al centro di un sistema di supporto 5 e possono fornire un termine di paragone per testare l’efficacia di altri trattamenti. I punteggi volti a valutare la dispnea e la capacità di controllo sul sintomo del Chronic Respiratory Questionnaire (CRQ) possono migliorare di 0,79 (95% CI 0,56-1,03) e 0,71 (95% CI 0,47-0,95) punti rispettivamente, e nella maggior parte dei casi migliora anche la capacità di esercizio in termini superiori al miglioramento clinicamente significativo (MCID) in qualsiasi test eseguito 6. Il dominio affettivo e dell’impatto sulle attività quotidiane può migliorare anche in assenza di cambiamenti registrati dai test fisiologici 7; l’incapacità percepita dal paziente a sostenere una sessione di riallenamento non dovrebbe costituire una controindicazione. Può essere difficile il sostegno e l’incoraggiamento ad iniziare un programma di riabilitazione, in particolar modo in presenza di patologie in stadio avanzato dove la prognosi è incerta: rassicurare il paziente sul fatto che la dispnea non è pericolosa di per sé e che, spesso, regredisce con il riposo è un prerequisito fondamentale per spingere a svolgere esercizio fisico anche ad una soglia sub-massimale di dispnea perché regredisce rapidamente (< 5 min) 8.
L’attività fisica va promossa e incentivata, anche con l’ausilio di tecniche alternative di allenamento, con strategie per limitare i sintomi ed ausili specifici per la mobilizzazione.
L’attività fisica va promossa e incentivata, anche con l’ausilio di tecniche alternative di allenamento (es. pedana vibrante, allenamento in acqua), con strategie per limitare i sintomi (ottimizzazione della broncodilatazione, utilizzo dell’ossigeno o di miscele di gas, ventilazione meccanica non invasiva, elettrostimolazione) ed ausili specifici per la mobilizzazione 9 10 che possono condurre ad una aumentata capacità di esercizio attraverso l’incremento della ventilazione e/o dell’efficienza nella deambulazione 11. Quando anche le attività quotidiane svolte con gli arti superiori, come vestirsi o lavarsi, sono limitate dal sintomo dispnea, un training della muscolatura degli arti superiori può garantire risultati efficaci 12 13. Scopo fondamentale di ogni programma riabilitativo è la valutazione dei bisogni individuali e delle caratteristiche funzionali del singolo secondo i principi della tailored therapy. Una recente revisione descrive l’impatto significativo della riabilitazione respiratoria nel breve periodo sulla dispnea e sottolinea anche che mancano dati diffusi sull’effetto nel lungo periodo e sull’individuazione dei migliori programmi di mantenimento da attuare nei pazienti con patologie respiratorie croniche.
Anche i portatori di patologie neoplastiche che non sono in grado di tollerare un programma di riabilitazione pneumologica a causa dello stadio avanzato di malattia, possono comunque trarre beneficio da una buona capacità di management del sintomo dispnea 14-17. Un trial ha studiato se vi fossero, nei pazienti affetti da patologia neoplastica polmonare, maggiori benefici da un approccio di riabilitazione respiratoria vs un approccio combinato (riabilitazione polmonare, management dell’ansia, tecniche di rilassamento, di respirazione) svoltosi in tre sessioni piuttosto che in un’unica sessione: in entrambi i gruppi vi è stato un miglioramento statisticamente significativo negli score della dispnea senza differenza tra i due gruppi 18. Questo suggerisce che una singola sessione di training può già garantire un miglioramento dei sintomi. Va segnalato, inoltre, che la dispnea aveva un impatto sulla qualità di vita peggiore nel gruppo che ha condotto le tre sessioni, rispetto a chi ha svolto solo un incontro (p = 0,01): questa è una considerazione importante per i portatori di un grande carico di sintomi ed un performance status scadente come i pazienti con patologia oncologica, dove la dispnea ingravescente è spesso un indice di prognosi infausta.
Le tecniche di coordinazione respiratoria, respirazione a labbra socchiuse e diaframmatica, possono essere insegnate allo scopo di controllare la dispnea sia come intervento singolo sia nell’ambito di un approccio multi-dimensionale.
Le tecniche di coordinazione respiratoria, respirazione a labbra socchiuse e diaframmatica, possono essere insegnate allo scopo di controllare la dispnea sia come intervento singolo sia nell’ambito di un approccio multi-dimensionale. La respirazione a labbra socchiuse può ridurre la frequenza respiratoria e l’iperinflazione dinamica ed essere efficace in patologie come la BPCO, piuttosto che nella UIP (Usual Interstitial Pneumonia) dove le revisioni sistematiche riportano evidenze di qualità moderata per raccomandare la respirazione a labbra socchiuse come tecnica per ridurre la dispnea 2 3. La respirazione diaframmatica viene utilizzata allo scopo di migliorare il movimento della gabbia toracica e la distribuzione della ventilazione, riducendo il lavoro respiratorio, ma influenza negativamente la coordinazione e l’efficienza meccanica nei pazienti con BPCO severa sia stabili che in fase di recupero da una riacutizzazione.
Associati all’esercizio sono stati studiati anche approcci psicologici comportamentali quali counseling, meditazione, yoga, esercizi di auto-gestione della dispnea. Tali interventi avrebbero il compito di agire sulla componente psico-cognitiva della dispnea potenziando l’effetto fisiologico dell’esercizio nel miglioramento della sintomatologia. Alcuni lavori dimostrano che l’associazione di questi programmi con l’esercizio fisico migliora la sintomatologia rispetto al solo esercizio fisico. Tuttavia la tipologia di intervento comportamentale più idonea deve essere ulteriormente studiata.
Altri interventi di carattere non farmacologico forniscono un beneficio sul sintomo: piccoli ventilatori portatili (hand held fans) e stimolatori della parete toracica con vibrazioni (CWV).
I ventilatori portatili (hand held fans) sono stati oggetto di crescente attenzione negli ultimi anni perché costituiscono un metodo semplice ed economico per il trattamento della dispnea cronica con un flusso di aria fresca verso la faccia 19-24.
La stimolazione con vibrazioni della parete toracica (CWV) nei pazienti affetti da BPCO è basata su forti evidenze scientifiche di cinque trial che hanno reclutato pazienti con patologia neuro-muscolare e BPCO 2 verosimilmente per l’attivazione recettoriale dei muscoli intercostali 3.
Terapie farmacologiche per il trattamento della dispnea
Una vasta gamma di farmaci è stata ad oggi utilizzata, anche in maniera empirica, in differenti contesti di pratica clinica. Lo scopo che ha animato studi e tentativi è stato quello di modulare la percezione centrale e la genesi periferica del sintomo. Gli oppioidi mostrano ad oggi un ruolo documentato da evidenze scientifiche; altri invece fanno parte di interventi più complessi e confermano la necessità di uno studio sistematico della dispnea cronica, anche alla luce del fatto che una quota maggiore di popolazione si troverà a subire questo drammatico sintomo 25.
Ossigenoterapia standard
L’ossigenoterapia a lungo termine è usata nella gestione dei pazienti con BPCO con documentata ipossiemia e ne è raccomandato l’uso nel paziente BPCO ipossiemico in quanto impatta direttamente sulla sopravvivenza e può portare benefici sintomatologici sulla dispnea.
Non ci sono evidenze che supportino l’uso dell’ossigenoterapia nel paziente con BPCO non ipossiemico per la terapia della dispnea.
Non ci sono invece evidenze che supportino l’uso dell’ossigenoterapia nel paziente con BPCO non ipossiemico per la terapia della dispnea.
Ansiolitici
Esiste una stretta relazione tra dispnea, ansia, panico e distress respiratorio. Le benzodiazepine, sotto forma di molecole a diversa emivita, somministrate sia per via sistemica (per os, ev e im) che per via nasale, sono state studiate ed utilizzate per il trattamento della dispnea, ma le evidenze scientifiche ad oggi disponibili non ne supportano un ruolo, se non come agenti di seconda o terza linea, nei pazienti che non tollerano gli oppioidi. I risultati dei trial volti a valutare l’utilizzo delle benzodiazepine sono stati oggetto di una metanalisi Cochrane recentemente aggiornata 26. Uno studio longitudinale su 2.249 pazienti affetti da BPCO in ossigenoterapia a lungo termine ha evidenziato che l’utilizzo di benzodiazepine era associato con un incremento della mortalità, con un trend legato alla dose crescente (HR 1,21, 95% CI 1,05-1,39), sia in uso singolo che in associazione ad oppiacei 27.
Il ricorso alle benzodiazepine per il trattamento della dispnea andrebbe limitato a pazienti selezionati.
Il ricorso alle benzodiazepine per il trattamento della dispnea andrebbe, pertanto, limitato a pazienti selezionati.
Il buspirone, della famiglia degli azapironi, è stato valutato nel trattamento della dispnea per le sue capacità ansiolitiche, ma un recente studio di fase 3 non ha mostrato evidenze che ne supportino l’uso 28-30.
Antidepressivi
Gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI) e gli antidepressivi triciclici sono stati studiati per il trattamento della dispnea. La serotonina è in grado di modulare a livello centrale il drive respiratorio e la sensibilità alla CO2 31 e c’è un’associazione indipendente tra dispnea e depressione 32 33. Uno studio prospettico di coorte non ha evidenziato associazione tra dispnea e depressione al momento del reclutamento, ma tale rapporto è emerso durante il follow-up suggerendo che la dispnea è in grado di condurre i pazienti ad un circolo vizioso con progressivo aumento degli indici di depressione 34. Studi preliminari su campioni ristretti di soggetti 35-40 hanno mostrato un potenziale ruolo di questi farmaci nel trattamento di dispnea e ansia con un miglioramento della qualità di vita. Una revisione sistematica della letteratura tuttavia non è stata in grado di dimostrare un netto beneficio sulla dispnea nei pazienti affetti da BPCO, anche se sono stati riportati miglioramenti su altri outcome utilizzando paroxetina 41. Va segnalato che la maggior parte di questi studi è stata condotta in pazienti che erano stati reclutati in programmi di riabilitazione respiratoria e il miglioramento della dispnea potrebbe essere conseguenza del beneficio dell’associazione antidepressivi e riabilitazione 42 43.
La depressione è un sintomo frequente nella BPCO, specie negli stadi avanzati della patologia; pertanto i pazienti andrebbero attivamente sottoposti a screening e conseguentemente trattati.
La depressione è un sintomo frequente nella BPCO, specie negli stadi avanzati della patologia; pertanto i pazienti andrebbero attivamente sottoposti a screening e conseguentemente trattati 44. L’utilizzo della sertralina è attualmente oggetto di studio di un trial di fase 3, ma i risultati fino ad ora non hanno mostrato un significativo beneficio rispetto al placebo.
Antistaminici
Gli antagonisti dell’istamina (antagonisti H1), come la prometazina o la clorpromazina, sono stati studiati singolarmente o in associazione a benzodiazepine e morfina; tuttavia non sono stati ancora condotti trial clinici di fase 3 45-47. Dotati di effetto antimuscarinico ed antiserotoninergico sono in grado, pertanto, di mediare un’azione sedativa e antipsicotica 48. La prometazina ha mostrato un effetto positivo nel migliorare la tolleranza all’esercizio 49-51, ma solo in associazione a morfina a dosi superiori a quelle comunemente utilizzate nella pratica clinica 52. Non ci sono ad oggi dati disponibili su un loro utilizzo nel lungo termine. Considerando i non secondari effetti collaterali legati all’utilizzo della prometazina e della clorpromazina, un loro utilizzo non è routinariamente raccomandato.
Furosemide nebulizzata
Una serie di piccoli studi ha mostrato un potenziale ruolo della furosemide somministrata per via inalatoria 53-64. Uno dei possibili effetti potrebbe essere la modulazione dell’attività delle fibre C e dei recettori irritativi vagali, come i recettori di stiramento polmonari 62. La riduzione della dispnea non sembra essere correlata ad una diversa modulazione del drive respiratorio responsivo alla CO2 54 o secondaria ad un effetto cardiovascolare, sebbene alcuni studi abbiano documentato un aumento della diuresi 63. Nei pazienti BPCO, 40 mg di furosemide nebulizzata ed inalata hanno ridotto l’intensità della dispnea, migliorando i volumi polmonari ed i livelli di SpO2 senza un apparente effetto diuretico 56 57. Un trial condotto su un maggior numero di pazienti ne evidenzia un potenziale ruolo nel trattamento delle riacutizzazioni di BPCO come terapia aggiuntiva rispetto ai tradizionali corticosteroidi e broncodilatatori inalatori 55. Una serie di trial con numeri ristretti di pazienti non ha documentato un beneficio sulla dispnea nei soggetti con neoplasia polmonare 59-61. Va tuttavia segnalato che questi studi hanno utilizzato come comparatore placebo soluzione salina fisiologica nebulizzata. Ciononostante un trial, che ha confrontato la soluzione salina nebulizzata in maniera efficace, rispetto alla soluzione salina nebulizzata attraverso inalatori non adeguati, ha mostrato un miglioramento degli score di dispnea e della clearance del muco nel gruppo che ha utilizzato un device adatto. La soluzione salina fisiologica potrebbe, pertanto, non essere un appropriato mezzo di confronto per stabilire l’efficacia della furosemide rispetto al placebo 65. Studi futuri permetteranno di valutare se la furosemide nebulizzata potrà avere un ruolo nel miglioramento dei sintomi in pazienti selezionati.
Cannabis e rimedi erboristici
Un’analisi di sottogruppo condotta su 136 pazienti affetti da BPCO e over 65 di uno studio open-label condotto in Cina ha dimostrato un’attività dei granuli di Bui-Fen Jian Pi, Bui Fei Yi-Shen e Yi-Qi Zi-Shen, in aggiunta alle terapie consigliate dalle linee guida GOLD, nella modulazione della dispnea e di altri sintomi 66 67.
In uno studio open-label condotto in Cina è stata dimostrata un’attività dei granuli di Bui-Fen Jian Pi, Bui Fei Yi-Shen e Yi-Qi Zi-Shen, in aggiunta alle terapie consigliate dalle linee guida GOLD, nella modulazione della dispnea e di altri sintomi.
I prodotti erboristici e le preparazioni “naturali” costituiscono un imponente mercato al quale i pazienti hanno un libero accesso senza alcun controllo del medico curante o dello specialista 68 69. Vi è dunque la necessità di condurre studi clinici randomizzati per confermare l’efficacia di alcune preparazioni e smentire l’effetto di presidi inutili e potenzialmente dannosi. Ad oggi cannabis e suoi derivati non hanno dimostrato efficacia nel ridurre la dispnea in nessun trial 70 71.
Oppioidi
La dispnea cronica e refrattaria, che persiste nonostante l’ottimizzazione dei trattamenti volti a trattare le cause fisiopatologiche sottostanti, richiede un approccio personalizzato e graduale. Ciò presuppone che ogni potenziale condizione reversibile deve essere adeguatamente trattata e che tutti i presidi farmacologici e non farmacologici siano stati ottimizzati prima di introdurre terapie con oppioidi 3 che comunque hanno un ruolo sicuro ed un comportamento prevedibile volto a ridurre la dispnea in pazienti affetti da patologia respiratoria ostruttiva cronica 3 61 72 73. Gli studi clinici ad oggi condotti hanno valutato l’efficacia e la sicurezza della morfina somministrata per os, con formulazioni a lento rilascio 73 74. La correlazione tra oppiacei e depressione dell’attività respiratoria è emersa precocemente, fin dai primi esperimenti nei quali Sertürner isolò la morfina da una preparazione di oppio in un esperimento di auto-somministrazione 75. Queste molecole sono patrimonio della medicina da centinaia (forse migliaia) di anni, ma la quantificazione della loro attività inibente la respirazione è emersa solo a metà del XX secolo, e da allora considerata una quasi assoluta controindicazione all’uso 76. Ad oggi è noto che l’effetto sulla respirazione è modulato dall’interazione degli oppioidi con il recettore μ 77.
Studi di risonanza magnetica cerebrale funzionale hanno mostrato che le percezioni associate con la dispnea sono modulate dalle stesse aree coinvolte nella percezione del dolore.
Studi di risonanza magnetica cerebrale funzionale hanno mostrato che le percezioni associate con la dispnea sono modulate dalla corteccia insulare, dalla corteccia dell’area cingolata dorsale anteriore, dall’amigdala e dalle aree talamiche mediali; queste aree sono le medesime utilizzate durante la percezione del dolore 78. Recettori per gli oppioidi sono stati riscontrati in tutte queste aree cerebrali 79. Inizialmente il ruolo degli oppiacei nel trattamento della dispnea è stato esaminato con studi che valutavano l’incremento di tolleranza allo sforzo. La maggior parte di questi studi ha tuttavia valutato gli oppioidi come somministrazione in singola dose, senza fornire pertanto indicazioni sul lungo termine. Negli ultimi 35 anni il ruolo degli oppioidi è stato oggetto di studi condotti con maggior rigore ed il loro utilizzo è oggi avvalorato dalla medicina basata sulle evidenze.
Antagonisti specifici come il naloxone, che agisce sui recettori per gli oppioidi sia a livello centrale che periferico, sono stati in grado di modulare la percezione della dispnea nei pazienti con BPCO di grado moderato-severo durante un test su treadmill 80. Questi risultati sono stati confermati in un analogo esperimento nel quale si incrementava il carico di resistenza alla respirazione 81: la somministrazione di oppioidi esogeni a volontari sani ha permesso di ridurre la percezione della dispnea 82. Uno studio di genetica molecolare, eseguito sulla popolazione arruolata che valutava gli oppioidi per il trattamento del dolore, ha mostrato che il polimorfismo di un singolo nucleotide, quando presente, richiede un dosaggio di morfina maggiore per ottenere il medesimo effetto di riduzione della dispnea 83; la stessa condizione non è stata riscontrata quando veniva somministrato ossicodone o fentanyl.
Nel 2002 è stata pubblicata la prima metanalisi, valutando 116 pazienti arruolati in 9 studi 84: è emerso un chiaro ruolo degli oppioidi nel ridurre la dispnea. Nel 2003 in uno studio condotto su 48 pazienti, 88% BPCO ed il 71% in ossigenoterapia a lungo termine, tutti con dispnea cronica ai quali venivano somministrati 20 mg di morfina a rilascio modificato, era documentato un netto miglioramento degli indici di dispnea sia al mattino che alla sera. Questi dati hanno dimostrato la sicurezza e l’efficacia delle formulazioni a lento rilascio nel trattamento della dispnea. La maggior parte dei pazienti ha tollerato senza problemi la terapia e la stipsi è stata prevenuta e trattata attivamente dal momento della prima somministrazione. Solo un piccolo gruppo ha riferito un temporaneo aumento della sonnolenza al momento dell’inizio della terapia.
Una revisione sistematica della letteratura ha nuovamente confermato l’efficacia della morfina, in assenza di depressione respiratoria anche nei molti pazienti affetti da BPCO.
Una revisione sistematica della letteratura, dove la dispnea è stata valutata come outcome primario, ha nuovamente confermato l’efficacia della morfina 73, non sono stati riportati episodi di depressione respiratoria e va inoltre segnalato che molti pazienti studiati erano affetti da BPCO. Il maggior effetto sulla riduzione della dispnea è stato riscontrato dopo il raggiungimento dello steady-state farmacologico. Tuttora il ruolo degli oppioidi per il management della dispnea è oggetto di studio con trial finalizzati a valutare una possibile somministrazione per aerosol 85. La revisione Cochrane pubblicata nel 2016 è stata oggetto di critiche perché segnala che vi sono oggi poche evidenze sull’uso degli oppioidi per via orale nel trattamento della dispnea e nell’analisi sono stati valutati studi di disegno eterogeneo, senza sottolineare i sottogruppi di pazienti che possono trarre un netto beneficio da questa terapia 86 87.
Per quanto riguarda la prescrizione e la titolazione degli oppioidi, uno studio di fase 2 ha valutato il progressivo incremento della dose di morfina a lento rilascio, da 10 mg/die fino a 20 o 30 se non veniva raggiunta una riduzione di almeno il 10% della dispnea rispetto al basale 88. Il 70% della popolazione valutata riferiva un beneficio con la dose di 10 mg/die, il 20% con una dose di 20 mg/die e l’8% con una dose di 30 mg/die. Lo studio ha valutato i pazienti per un totale di 22 mesi senza riportare episodi di tachifilassi, depressione respiratoria o ospedalizzazioni per obnubilamento. La maggior parte dei pazienti valutati era affetta da BPCO.
Solo uno studio, ad oggi, ha descritto come gli oppioidi andrebbero titolati al fine di trattare la dispnea in pazienti che li stanno già assumendo per altri motivi 89. I risultati suggeriscono che un incremento della dose di oppioidi del 25%, rispetto a quanto assunto per il management del dolore, garantisce un buon risultato.
Non è stato riscontrato un aumento delle ospedalizzazioni o della mortalità da oppiodi in un’ampia coorte di pazienti affetti da BPCO in ossigenoterapia a lungo termine.
Le maggiori indicazioni sulla sicurezza degli oppioidi provengono dallo studio condotto da Ekstrom et al. 27 dove non è stato riscontrato un aumento delle ospedalizzazioni o della mortalità in un’ampia coorte di pazienti affetti da BPCO in ossigenoterapia a lungo termine.
Un recente studio retrospettivo consiglia cautela nell’utilizzo di oppioidi nei pazienti affetti da BPCO in quanto correlati con maggiore incidenza di eventi avversi respiratori 90; anche tale studio è stato tuttavia fortemente criticato poiché erano stati esclusi i pazienti che ricevevano oppioidi a scopo palliativo poiché lo scopo degli oppioidi è quello di “palliare” il sintomo negli affetti da patologia ostruttiva cronica. Un loro utilizzo al di fuori di questa indicazione può essere considerato un indice di basso performance status e/o di patologia più avanzata rispetto al gruppo di controllo e sorprende che possano aver avuto outcome peggiori 91 92.
L’utilizzo degli oppioidi come premedicazione volta a favorire il successivo esercizio fisico è stato valutato da Jensen et al. nel 2012 93. La somministrazione di fentanyl (agonista selettivo dei recettori μ) ha dimostrato un effetto positivo sulla dispnea in corso di esercizio fisico; gli stessi Autori hanno recentemente pubblicato un interessante trial dove hanno valutato l’utilità della morfina nel ridurre la dispnea da sforzo in BPCO con cronica dispnea; l’utilizzo di morfina prima dell’esercizio fisico si è rivelato efficace nel ridurre la dispnea percepita e nell’incrementare la tolleranza allo sforzo in esercizio fisico simulato 94. Pur trattandosi di trial eseguiti in modalità crossover il numero dei soggetti studiati (32 in totale) resta di modesta entità ed ulteriori studi saranno necessari per valutare l’eventuale utilizzo di oppioidi come premedicazione nella riabilitazione e al domicilio.
Conclusioni
Si raccomanda uno screening sistematico della dispnea nei pazienti affetti da patologie croniche onde migliorarne la qualità di vita. Ad oggi sono disponibili interventi dotati di efficacia dimostrata e validati da trial clinici. Alcuni, come la riabilitazione pneumologica, sono ormai comunemente accettati e riconosciuti quali gold standard, ma talvolta scarsamente utilizzati nei pazienti affetti da BPCO.
Gli oppioidi somministrati per os in formulazioni a rilascio modificato sono sostenuti da una solida base scientifica che ne dimostra efficacia e sicurezza.
Gli oppioidi somministrati per os in formulazioni a rilascio modificato sono sostenuti da una solida base scientifica che ne dimostra efficacia e sicurezza. La ricerca di nuovi farmaci e strumenti efficaci per il trattamento della dispnea costituisce un’area di interesse scientifico per futura ricerca e sviluppo 59.
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