Pneumopatie Infiltrative Diffuse e Patologia del Circolo Polmonare
Abstract
Nell’ambito delle Pneumopatie Infiltrative Diffuse e della Sarcoidosi, nel 2023 ci sono state importanti novità provenienti dalla letteratura scientifica, che hanno contribuito ad arricchire le nostre conoscenze, modificare il nostro punto di vista e orientare il nostro operato nella pratica quotidiana, mediante la stesura di documenti ufficiali. Gli articoli pubblicati nel 2023 selezionati e qui commentati riguardano: 1) il trattamento della fibrosi polmonare idiopatica (IPF) e di altre interstiziopatie polmonari fibrosanti progressive (PPF) secondo il position paper della società scientifica australiana e neozelandese (TSANZ), perché fornisce importanti spunti di riflessione in contrasto con le attuali linee guida ATS/ERS; 2) l’integrazione, nella realtà, dei pattern radiologici proposti dalle linee guida per la diagnosi di IPF e polmonite da ipersensibilità fibrosante (fHP); 3) il trattamento con steroidi nei pazienti con diagnosi di sarcoidosi polmonare ad un dosaggio inferiore a quello che è stato spesso utilizzato fino ad ora.
Articolo
Nell’ambito delle Pneumopatie Infiltrative Diffuse e della Sarcoidosi, nel 2023 ci sono state importanti novità provenienti dalla letteratura scientifica, che hanno contribuito ad arricchire le nostre conoscenze, modificare il nostro punto di vista e orientare il nostro operato nella pratica quotidiana, mediante la stesura di documenti ufficiali. Gli articoli pubblicati nel 2023 selezionati e qui commentati riguardano: 1) il trattamento della fibrosi polmonare idiopatica (IPF) e di altre interstiziopatie polmonari fibrosanti progressive (PPF) secondo il position paper della società scientifica australiana e neozelandese (TSANZ), perché fornisce importanti spunti di riflessione in contrasto con le attuali linee guida ATS/ERS; 2) l’integrazione, nella realtà, dei pattern radiologici proposti dalle linee guida per la diagnosi di IPF e polmonite da ipersensibilità fibrosante (fHP); 3) il trattamento con steroidi nei pazienti con diagnosi di sarcoidosi polmonare ad un dosaggio inferiore a quello che è stato spesso utilizzato fino ad ora.
Il messaggio principale del position paper pubblicato recentemente su Respirology 1, è che la pratica clinica ideale dovrebbe essere la combinazione, da un lato, della medicina basata sulle evidenze (che fornisce raccomandazioni e linee guida) e, dall’altro, del ragionamento clinico (basato invece sulla logica e la valutazione di ogni singolo paziente), quest’ultimo utile soprattutto nei casi in cui le linee guida da sole si rivelano insufficienti o inadeguate. Le linee guida, infatti, basate per definizione sulle evidenze (EBM, Evidence Based Medicine), forniscono indicazioni che non sono sempre applicabili a tutti i contesti clinici. Questo documento, prodotto dalle società scientifiche australiana e neozelandese (TSANZ), non contiene delle vere e proprie linee guida, ma fornisce alcune informazioni importanti e utili soprattutto per gestire i casi più difficili o atipici, quelli cioè che non vengono affrontati dalla letteratura basata sulle evidenze e per i quali i clinici possono incontrare più difficoltà o incertezze.
Per quanto riguarda l’IPF, le attuali linee guida ATS/ERS contengono raccomandazioni “deboli” per il trattamento con anti-fibrotici, in quanto basate su studi clinici controllati, che non utilizzano mai la mortalità come endpoint primario (i pazienti arruolati sono estremamente selezionati, hanno generalmente una malattia in forma lieve-moderata e con poche comorbilità, la durata degli studi è sempre inferiore a 52 settimane); questo fa sì che molti pazienti abbiano ancora scarso accesso a queste terapie (peraltro ancora molto costose), soprattutto se in fasi più avanzate oppure in caso di diagnosi posta con un più basso livello di confidenza. I dati osservazionali “real-life” invece (che dalle linee guida ATS/ERS però non sono considerati sufficientemente robusti), includono grandi numeri di pazienti e con quadri clinici molto più variegati, e hanno evidenziato, nel lungo termine, una notevole riduzione della mortalità per tutte le cause e una riduzione anche dell’incidenza delle fasi accelerate. Difficile pensare che simili risultati, se ottenuti per farmaci anti-neoplastici, non porterebbero a forti raccomandazioni positive al loro utilizzo per il trattamento del tumore del polmone; tale position paper suggerisce quindi che la terapia antifibrotica sia proposta di routine e con forte convinzione a tutti i pazienti con diagnosi di IPF (ad eccezione dei casi con evidenti controindicazioni).
Per quanto riguarda le fibrosi polmonari progressive non IPF, due sono i punti principali affrontati dagli autori. Il primo è un “equivoco” frequente delle linee guida ATS/ERS e cioè che sia sempre necessaria una prima fase di trattamento attivo (poi considerato fallimentare) per poter avviare una terapia antifibrotica; in realtà, l’arruolamento nella coorte INBUILD richiedeva che la progressione avvenisse dopo che i pazienti erano stati gestiti nella maniera più idonea in base alla diagnosi e alle caratteristiche del singolo paziente, senza fare riferimento ad un trattamento farmacologico specifico e attivo: così, per esempio, non esiste un trattamento farmacologico specifico per l’asbestosi oppure pazienti affetti da polmonite da ipersensibilità con pattern UIP potrebbero non essere trattati con immunomodulanti in caso di età avanzata e/o importanti comorbilità. Il secondo punto riguarda la definizione di fibrosi polmonare progressiva, che non è omogenea nei vari Paesi del mondo, ma è rappresentata dai criteri dello studio INBUILD nella maggior parte dei Paesi europei, dove sono considerati più accurati rispetto alla definizione data dalle linee guida ATS/ERS perché non costruita su domande Pico o su revisioni sistematiche della letteratura; particolarmente limitante il riferimento temporale della progressione a 12 mesi rispetto ai 24 mesi dei criteri INBUILD perché esclude molti pazienti dalla prescrizione di terapia antifibrotica, che potrebbero invece trarne beneficio perché di fatto in progressione.
Nelle interstiziopatie polmonari, il divario tra linee guida (basate sulle evidenze) e la reale pratica clinica è ancora più evidente quando si tratta di diagnosi; gli algoritmi proposti dalle linee guida devono essere infatti necessariamente molto schematici e concisi (ad esempio gli aspetti radiologici osservati alla TAC del torace sono classificati nelle categorie UIP definite, UIP probable o indeterminate). Tuttavia, a volte può essere difficile assegnare una specifica categoria e questo fa sì che vi sia una notevole variabilità tra radiologi, anche esperti, nell’interpretazione del quadro radiologico. A questo proposito, l’articolo di Marinescu 2 esplora proprio la differenza tra le categorie HRCT delle linee guida e le diagnosi radiologiche e multidisciplinari che vengono effettuate nella pratica clinica, sia per quanto riguarda l’IPF che la polmonite da ipersensibilità fibrosante (fHP). Lo studio include un numero elevato di pazienti (1.593 pazienti provenienti da un registro nazionale canadese) e la partecipazione di clinici e radiologi provenienti da 7 centri diversi.
I risultati sono molto “rassicuranti” per quanto riguarda i pattern radiologici definite UIP e definite HP (così come definiti dalle linee guida), in quanto hanno una elevata concordanza con le diagnosi radiologiche che vengono effettuate nella pratica clinica, rispettivamente pari a 95% e 88%; un po’ più difficile l’identificazione del pattern “probable UIP” (che avviene nel 76% dei casi) e molto più difficile quella del pattern “compatibile with HP” che corrisponde ad una diagnosi radiologica di fHP solo nel 35% dei casi.
Per quanto riguarda le diagnosi multi-disciplinari, i pattern “definite UIP” e “probable UIP” corrispondono ad una diagnosi finale di IPF nel 66% e 56% dei casi rispettivamente; nei rimanenti casi, tra le diagnosi più frequenti sono descritte la polmonite da ipersensibilità e pneumopatie parenchimali diffuse associate a connettiviti. È ormai noto che il riconoscimento di un pattern “definite UIP” alla TAC sia fortemente predittivo di pattern UIP istologico, mentre in assenza di honey combing la corrispondenza con un pattern UIP istologico è frequente soprattutto in pazienti con elevata probabilità clinica di IPF, ma inferiore in pazienti con connettivite o pazienti con evidenti esposizioni ad antigeni. Quando gli autori analizzano i dati sulla concordanza tra pattern radiologico “compatibile with HP” e diagnosi finale multidisciplinare di fHP, questa risulta pari al 25% soltanto, rispetto ad una diagnosi molto più comune di CTD-ILD.
Un’osservazione molto interessante è che la presenza di intrappolamento aereo in più del 5% del parenchima polmonare nelle scansioni espiratorie è in grado di distinguere la polmonite da ipersensibilità fibrosante da altri pattern radiologici. Tuttavia, la descrizione dell’intrappolamento aereo può essere difficile da applicare nella pratica clinica; infatti, molto spesso le scansioni in espirium non vengono eseguite di routine in tutti i pazienti con sospetta interstiziopatia polmonare fibrosante, ma solamente in quelli che hanno già una elevata probabilità pre-test di polmonite da ipersensibilità (per esempio per una nota esposizione ad antigene). Inoltre, può essere difficile quantificare la presenza di un intrappolamento aereo di appena il 5% utilizzando uno score visivo e non sistemi di quantificazione automatica e questo potrebbe essere alla base di una grande variabilità inter-osservatore. Una futura proposta di ricerca potrebbe essere quindi quella di valutare la concordanza tra la presenza di intrappolamento aereo > 10% (più semplice da riconoscere) e la diagnosi multidisciplinare di fHP.
Il SARCOT è il primo studio clinico controllato randomizzato della letteratura ad arruolare pazienti con diagnosi di sarcoidosi polmonare (sintomatici e/o con compromissione funzionale) e randomizzarli in due gruppi, per confrontare una dose più elevata di steroidi (40 mg/die) versus una dose più ridotta (20 mg/die), con successivo graduale tapering nell’arco dei 6 mesi successivi; sono stati ovviamente esclusi pazienti a rischio immediato di morte o insufficienza d’organo (perché meritevoli di trattamento immunomodulante più aggressivo) 3. Endpoint primario era rappresentato dalla frequenza di ripresa di malattia o fallimento della terapia a 18 mesi dalla randomizzazione, mentre tra gli endpoint secondari c’erano il tempo trascorso prima della eventuale ripresa di malattia o fallimento della terapia, la variazione di capacità vitale forzata (FVC) a 6 e 18 mesi, eventi avversi legati al trattamento e la qualità di vita valutata attraverso questionari paziente.
I risultati dello studio hanno confermato come entrambi i dosaggi siano efficaci dell’indurre la remissione della malattia nella maggior parte dei pazienti con sarcoidosi (l’utilizzo di prednisolone ad alte dosi non è risultato infatti superiore al trattamento a basse dosi), con miglioramento e/o stabilizzazione della malattia nei primi 6 mesi in più del 90% dei pazienti; anche i valori di FVC sono migliorati, così come gli score valutati nei questionari e indicativi di qualità di vita e astenia. Quasi la metà dei soggetti inclusi nello studio ha avuto una ripresa della malattia dopo 3 mesi dalla sospensione della terapia; questo conferma quanto sia importante il follow-up di questi pazienti per almeno un anno dopo l’interruzione del trattamento. Inoltre, si potrebbe affermare che se la remissione può essere ottenuta con più basse dosi di steroidi, il prolungamento di basse dosi di terapia potrebbe prevenire efficacemente e ulteriormente le ricadute.
Così come avviene nella pratica clinica, quasi il 95% dei pazienti trattati con steroidi hanno presentato eventi avversi (soprattutto habitus cushingoide e incremento di peso); inoltre, nonostante non siano state osservate differenze specifiche per effetti avversi specifici, questi in generale sono stati osservati più frequentemente nei pazienti trattati con dose più elevata (40 mg).
Qual è l’implicazione clinica più importante di questo studio? Sicuramente fino ad ora la letteratura esistente proponeva di trattare pazienti con sarcoidosi polmonare (sintomatici e/o con compromissione funzionale) con prednisone 20-40 mg/die; questa è la prima volta però che i due diversi dosaggi vengono confrontati all’interno di uno studio clinico randomizzato e controllato, che ha confermato l’equivalenza in termini di efficacia dei due dosaggi, a sostegno della raccomandazione a trattare la maggior parte di questi pazienti con dosi non superiori a 20 mg/die.
Non è noto (e questo potrebbe essere uno spunto per future ricerche) se la tossicità possa essere ridotta utilizzando dosi di steroidi più basse oppure introducendo più precocemente un secondo farmaco immunomodulante e “steroid-sparing” (lo studio PREDMETH attualmente in corso sta per esempio confrontando efficacia e sicurezza del trattamento con prednisolone vs methotrexate per 24 settimane in pazienti con sarcoidosi polmonare).
Riferimenti bibliografici
- Mackintosh JA, Keir G, Troy LK. Treatment of idiopathic pulmonary fibrosis and progressive pulmonary fibrosis: a position statement from the Thoracic Society of Australia and New Zealand 2023 revision. Respirology. 2024; 29:105-135. DOI
- Marinescu DC, Hague CJ, Muller NL. Integration and application of radiologic patterns from clinical practice guidelines on idiopathic pulmonary fibrosis and fibrotic hypersensitivity pneumonitis. Chest. 2023; 164:1466-1475. DOI
- Dhooria S, Sehgal IS, Agarwal R. High-dose (40 mg) versus low-dose (20 mg) prednisolone for treating sarcoidosis: a randomised trial (SARCORT trial). Eur Respir J. 2023; 62:2300198. DOI
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