Disturbi Respiratori nel Sonno
Articolo
Un primo interessante articolo, pubblicato su Chest, valuta un nuovo aspetto delle possibili relazioni e conseguenze delle apnee ostruttive nel sonno 1. Gli autori hanno valutato la relazione tra tre parametri che identificano differenti aspetti dell’obstructive sleep apnea (OSA), ossia apnea hypopnea index (AHI), oxygen desaturation index (ODI) e T90, con la composizione e potenziale funzionalità del microbiota intestinale umano. Studi condotti su modelli animali hanno evidenziato come l’ipossia intermittente e l’ostruzione delle vie aeree producano cambiamenti sostanziali nella composizione del microbiota intestinale. A loro volta, le alterazioni del microbiota dell’intestino indotte dall’OSA possono in parte mediare gli effetti avversi dell’OSA, inclusi ipertensione arteriosa e alterato metabolismo del glucosio. Sono stati analizzati i parametri della poligrafia (ODI, AHI, T90) e il microbiota intestinale umano di 3.570 partecipanti dello studio svedese sulla bioimmagine cardiopolmonare (SCAPIS). Inoltre, dato che gli studi sugli animali hanno suggerito che le alterazioni indotte dall’OSA sono collegate con disturbi cardiometabolici, sono state studiate le caratteristiche del microbiota intestinale e l’associazione a fattori di rischio cardiovascolare indipendenti dalla severità dell’OSA.
Gli autori hanno rilevato come tutti e tre i parametri dell’OSA erano associati a una minore varietà di specie batteriche nell’intestino. Inoltre, nell’analisi multivariata, i parametri dell’ipossia correlata all’AHI, ODI e T90, sono stati associati all’elevata presenza di 128 specie batteriche intestinali, tra cui alcune specie sono risultate essere indipendentemente associate ad un aumento della pressione sistolica a prescindere dal body mass index (BMI) e AHI. Il tempo cumulativo di ipossia durante il sonno era associato all’abbondanza di geni coinvolti in differenti vie metaboliche del microbiota intestinale, inclusa la produzione di propionato dal lattato. Studi longitudinali sono necessari per confermare se le specie di microbiota intestinale identificate in questo studio possano avere un ruolo che collega l’OSA all’ipertensione arteriosa e altri fattori di rischio cardiovascolare. È possibile che la durata dell’ipossia notturna possa essere di maggiore importanza per l’associazione con specifici componenti del microbiota intestinale rispetto all’AHI. Crescente attenzione è stata prestata all’ipossia in quanto gli studi hanno dimostrato che, a differenza dell’AHI, l’ipossia correla con un aumento di mortalità cardiovascolare. Le evidenze della letteratura suggeriscono che l’ipossia intermittente dell’ospite influisce direttamente sul microbiota intestinale producendo oscillazioni nella concentrazione di ossigeno all’interno del lume intestinale vicino all’epitelio, fornendo un razionale fisiologico per come il livello di ossigenazione dell’ospite potrebbe avere un impatto sull’ambiente del microbiota intestinale. Un possibile meccanismo indiretto attraverso il quale l’OSA potrebbe influenzare il microbiota è attraverso alterazioni nel metabolismo dell’ospite (ad esempio, accumulo di lattato), come descritto in pazienti con OSA. Uno studio sugli atleti ha riscontrato un aumento nell’intestino di geni microbici coinvolti nella conversione del lattato in propionato dopo l’esercizio. Si è ipotizzato che il lattato dell’ospite prodotto dall’esercizio fisico entri nel lume intestinale e favorisca batteri che utilizzano il lattato come una fonte di carbonio. Questa ipotesi corrisponde ai risultati degli autori di questo studio, infatti il percorso di produzione del propionato dal lattato era associato a T90. Supportato dalla letteratura esistente, questo studio suggerisce un’associazione tra ipossia causata da OSA, lattato plasmatico e profilo metabolico del microbiota intestinale. Questi risultati supportano una connessione tra la severità dell’ipossia dell’OSA e non dell’AHI. Specifiche composizioni del microbiota intestinale rappresentano le basi per la ricerca futura riguardante gli effetti sulla salute mediati dal microbiota intestinale dei soggetti con OSA.
Altro articolo di sicuro interesse è quello pubblicato su Am J Respir Crit Care Med 2. Partendo dal presupposto che non è ancora definito con certezza quali siano i pazienti affetti da OSA che presentano un rischio cardiovascolare aumentato, l’obiettivo dello studio è stato quello di valutare il valore delle cadute dell’ampiezza dell’onda di impulso (PWAD), che riflettono le attivazioni simpatiche e la vasoreattività, come espressione di biomarker del rischio cardiovascolare dei pazienti con OSA.
I valori della PWAD sono stati derivati dai segnali della onda di pulso fotopletismografica del saturimetro ottenuti in tre coorti di pazienti: HypnoLaus (N = 1.941), la coorte del sonno dei Paesi della Loira (PLSC; N = 6.367) e la coorte “Impatto della sindrome dell’apnea notturna nella evoluzione della sindrome coronarica acuta”. Effetto dell’intervento con CPAP (ISAAC; N = 692). L’indice PWAD è stato valutato come il numero di PWAD (>30%) all’ora durante il sonno. Tutti i partecipanti sono stati suddivisi in sottogruppi in base alla presenza o assenza di OSA (definiti come AHI ≥15 o <15/h) e l’indice PWAD mediano. L’esito primario era l’incidenza di eventi cardiovascolari fatali (morte per tutte le cause) e non fatali (infarto miocardico, ictus, attacco ischemico transitorio, malattia coronarica e ospedalizzazione per insufficienza cardiaca).
Nella analisi dei dati dalle tre coorti è emerso che un basso indice di PWAD nei pazienti con OSA era indipendentemente associato ad un rischio maggiore di eventi cardiovascolari rispetto ai partecipanti con OSA e un elevato indice di PWAD o in quelli non OSA. Il dato che risultati simili siano stati ottenuti in popolazioni diverse (generale, clinica e cardiovascolare) e in studi che hanno utilizzato definizioni di endpoint cardiovascolare leggermente differenti, suggerisce una buona riproducibilità e generalizzabilità degli stessi risultati. Comunque una sottoanalisi della coorte PLSC ha dimostrato come una buona aderenza alla CPAP dei pazienti con OSA con un indice PWAD elevato (vale a dire senza alterazioni importanti di funzione autonomica o vascolare) era associata ad una riduzione degli eventi cardiovascolari. Le possibili spiegazioni a cui sono giunti gli autori per l’associazione osservata tra basso indice PWAD ed eventi cardiovascolari in pazienti con OSA sono state che un basso indice PWAD può riflettere un sistema nervoso autonomo scarsamente reattivo per diminuzione della sensibilità dei barocettori che porterebbe ad una diminuzione dell’ampiezza e frequenza della PWAD a causa di una risposta attenuata del sistema autonomico. Questa ipotesi è supportata anche dalla osservazione che un valore inferiore di PWAD è associato all’età avanzata. Una seconda spiegazione è che un basso indice di PWAD può riflettere un deterioramento dell’endotelio e rigidità arteriosa cioè una compromissione dei capillari al dito della capacità di dilatarsi rapidamente dopo una vasocostrizione. Altra possibile causa della ridotta PWAD è una maggiore attività simpatica nei pazienti con OSA con costante vasocostrizione.
Le conclusioni a cui sono giunti gli autori sono state che l’aggiunta del valore della PWAD, quando sarà possibile averne il dato calcolato in automatico dai programmi dei sistemi diagnostici, all’AHI potrebbe fornire una migliore indicazione di un aumento del rischio cardiovascolare. Inoltre nei pazienti con OSA che hanno un indice più alto di PWAD, una buona aderenza al trattamento con CPAP sembra avere il potenziale per ridurre il rischio di eventi cardiovascolari incidenti.
Altro articolo che merita attenzione è quello apparso su JAMA in cui gli autori sono andati a valutare se vi è un’associazione tra la durata del sonno e tutte le cause di mortalità tra le persone con OSA poiché questa associazione rimane ancora poco chiara 3.
Questo è uno studio di coorte che ha esaminato i partecipanti con OSA dello Sleep Heart Health Study (SHHS) i quali sono stati arruolati tra il 1995 e il 1998 con questionari e valutazione polisonnografica (PSG) e con successivi follow-up con una mediana di 11,8 anni. Lo SHHS è uno studio multicentrico basato sulla comunità con partecipanti con OSA definiti da un indice di apnea-ipopnea (AHI) ≥15/h; tutti i partecipanti allo studio avevano dati sulla mortalità per tutte le cause e l’analisi dei dati è stata fatta tra novembre 2022 e ottobre 2023. Per poter associare in modo oggettivo la correlazione tra durata del sonno, determinata dal tempo di sonno totale alla PSG, e mortalità, i partecipanti sono stati divisi in 4 gruppi sulla base della durata oggettiva del sonno (almeno 7 ore, 6-7 ore, 5-6 ore e meno di 5 ore). La mortalità per tutte le cause è stata definita come decessi per qualsiasi causa e il suo rischio è stato confrontato tra 4 gruppi OSA. Il campione dello studio era composto da un totale di 2.574 partecipanti con OSA (1.628 [63,2%] uomini; 946 [36,8%] donne; età [media ± SD] 65,4 ± 10,7 anni). Complessivamente, tra i partecipanti sono stati osservati 688 decessi per tutte le cause e rispetto al gruppo con sonno di almeno 7 ore, gli altri gruppi presentavano un rischio significativamente più elevato di mortalità per tutte le cause, indipendentemente dall’AHI. È interessante notare che non è stata trovata alcuna associazione significativa tra mortalità per tutte le cause e durata del sonno abituale auto-riferita dai pazienti con OSA. La durata oggettiva del sonno inferiore a 7 ore era presente nell’86,7% dei partecipanti allo studio e la discrepanza tra la durata del sonno oggettiva e quella soggettiva potrebbe essere in parte spiegata dall’errata percezione del sonno presente nei soggetti.
La breve durata del sonno nell’OSA è risultata significativamente associata ad una storia di ipertensione arteriosa, insulino-resistenza e obesità viscerale. Il meccanismo sottostante rimane poco chiaro ma è stata trovata un’associazione negativa significativa tra la durata oggettiva del sonno e i risvegli infrasonno e l’indice di arousal. Si ritiene pertanto che la frammentazione del sonno svolga un ruolo importante nella maggior parte delle conseguenze dell’OSA ed è stato riscontrato che l’arousal è associato alla mortalità per tutte le cause negli anziani.
Un sonno di breve durata potrebbe anche influenzare l’infiammazione e il metabolismo ormonale ed è stato associato a livelli elevati di mieloperossidasi nell’OSA, suggerendo il suo possibile ruolo nell’aumento dello stress ossidativo e nell’alterazione dei percorsi infiammatori nell’OSA.
La conclusione degli autori di questo studio di coorte sembra confermare come i soggetti OSA con una durata oggettiva del sonno inferiore alle 7 ore, rispetto a chi dorme più di 7 ore, presentino un rischio più elevato di mortalità per tutte le cause indipendentemente dall’AHI.
Riferimenti bibliografici
- Baldanzi G, Sayols-Baixeras S, Theorell-Haglöw J. OSA is associated with the human gut microbiota composition and functional potential in the population-based Swedish Cardio Pulmonary bioImage Study. Chest. 2023; 164:503-516. DOI
- Solelhac G, Sanchez-de-la-Torre M, Blanchard M. Pulse wave amplitude drops index: a biomarker of cardiovascular risk in obstructive sleep apnea. Am J Respir Crit Care Med. 2023; 207:1620-1632. DOI
- Lin Y, Wu Y, Lin Q. Objective sleep duration and all-cause mortality among people with obstructive sleep apnea. JAMA Netw Open. 2023; 6:e2346085. DOI
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