Le bronchiectasie (non fibrosi cistica): approccio clinico e terapeutico nella vita reale Parte II: Quadri clinici e terapia
Abstract
Le bronchiectasie non relate a fibrosi cistica (non CF) sono una malattia polmonare cronica caratterizzata da dilatazione permanente delle vie aeree. A causa della sua crescente prevalenza, dell’onere economico per i sistemi sanitari e della morbilità e mortalità associate, l’attenzione sulle bronchiectasie da parte della comunità scientifica è aumentata nel corso degli ultimi anni con conseguente sviluppo di nuove prospettive e proposte diagnostiche e terapeutiche. Sfortunatamente, attualmente non esistono una vera e propria cura o trattamenti specificamente approvati per le bronchiectasie. La sindrome bronchiectasica si caratterizza per un decorso progressivo caratterizzato in genere da riacutizzazioni, la maggior parte delle quali è correlata ad infezioni, tra cui spicca quella da Pseudomonas aeruginosa. In generale il controllo e la prevenzione delle colonizzazioni ed infezioni batteriche o fungine sono una priorità clinica. A queste si affianca il contributo fondamentale dato dalla fisioterapia respiratoria e nei casi più avanzati e selezionati dalla chirurgia. Si evince pertanto come la gestione di questa complessa malattia necessiti del contributo e della collaborazione di differenti figure professionali nell’ambito di un team multisciplinare comprendente pneumologo, radiologo, infettivologo, nutrizionista, radiologo, chirurgo e fisioterapista.
Eterogeneità delle bronchiectasie: dal genotipo al fenotipo attraverso l’endotipo
Sappiamo che le bronchiectasie sono una condizione caratterizzata dalla dilatazione delle vie aeree e che questa alterazione è di comune riscontro in un gruppo molto eterogeneo di malattie e condizioni cliniche diverse tra loro, come malattie autoimmuni, allergiche, infettive, degenerative, congenite, genetiche, etc. 1,2. Studi relativamente recenti 3 hanno sicuramente migliorato la nostra conoscenza sulle bronchiectasie ed hanno cercato di descrivere e catalogare il singolo paziente secondo gruppi eterogenei definiti come “endotipi” e come “fenotipi”. Il “fenotipo” è definito come un insieme di caratteristiche osservabili in un individuo risultanti da una serie di interazioni tra il suo genotipo e l’ambiente circostante mentre l’“endotipo” si riferisce ad una condizione definita da meccanismi funzionali e caratteristiche patobiologiche ben distinte tra di loro. Altro aspetto importante che complica questa “difficoltà diagnostico/gestionale” è che non ci sono terapie mediche approvate ufficialmente in Europa per le bronchiectasie non FC e quindi che un approccio ad una migliore definizione eziopatogenetica (studio dell’endotipo, del fenotipo ed oltre) del singolo paziente possa essere utile a migliorare la nostra conoscenza in questo campo ai fini di implementare trattamenti veramente efficaci ed universalmente certificati. Il pathway patofisiologico di questa malattia consiste in un ciclo di eventi che determina l’alterata clearance mucociliare, la ritenzione di secrezioni nelle vie aeree con alterazione delle difese immunitarie dell’ospite rendendo le stesse vie aeree più vulnerabili e sede di infezione cronica. La persistenza di batteri patogeni autoalimenta l’infiammazione con un rimodellamento anormale delle vie aeree e la comparsa delle bronchiectasie. Ma il concetto di “circolo vizioso” non può essere applicato semplicisticamente a tutte le forme di bronchiectasie: bisognerebbe spiegarsi perché trattamenti individuali con antibiotici e/o antiinfiammatori hanno in alcuni pazienti modesti effetti sull’outcome clinico (forse perché agiscono su una sola e singola componente del circolo vizioso laddove alcune forme di bronchiectasie presentano alterazioni più o meno complesse?), così come ci si dovrebbe interrogare sul vero ruolo, per esempio, della funzione ciliare nelle singole varie forme eziologiche di bronchiectasie in cui poco è noto il link tra attività ciliare, processi di “cellular segnaling” e “remodelling” 4 e conseguenti implicazioni cliniche e terapeutiche. Un paziente con riscontro radiologico di bronchiectasie cilindriche di natura idiopatica può presentare una sintomatologia molto sfumata (es. emottisi occasionale e modesta con ridotta espettorazione e saltuarie riacutizzazioni) rispetto ad un altro paziente coetaneo con bronchiectasie cistiche bilaterali, notevole espettorazione quotidiana mucopurulenta, ridotta qualità della vita e frequenti esacerbazioni 5,6. Nei soggetti asmatici molti studi basati sulla ricerca di fattori genetici di rischio (genetic risk loci) non hanno riscontrato un chiaro pathway di intervento terapeutico, mentre una classificazione sugli endotipi e fenotipi infiammatori può essere utile per implementare una terapia efficace e specifica 7.
Sorvolando sulla fibrosi cistica (FC) (che è stato il primo esempio di come una malattia partendo dall’esatta conoscenza del genotipo può effettivamente esitare in un intervento terapeutico corretto, mirato ed efficace come la CFTR terapia) 8,9, possiamo per altri genotipi stabilire alcune caratteristiche e diversità fondamentali per la gestione della malattia che, in un certo senso, esprimono il fenotipo e l’endotipo di quella malattia stessa.
- Discinesia ciliare primitiva (PCD): questa malattia è caratterizzata da un’alterazione della funzione ciliare ma dobbiamo segnalare che sono stati descritti casi con test all’ossido nitrico (metodo utile come biomarker della motilità ciliare) normali 10. Questo riscontro farebbe pensare che anche in una malattia così ben definita come la PCD la formazione e la regolazione delle proteine ciliari siano sotto un controllo genetico multifattoriale 11.
- Immunodeficienza e disordini della regolazione immune (PID): la maggior parte delle PID è associata a bronchiectasie 12. Biomarker utili nella diagnosi ed implementazione terapeutica delle PID sono un attento studio della fenotipizzazione linfocitaria (cellule T, B e NK), dei livelli delle immunoglobuline e della risposta anticorpale a specifici antigeni proteici e polisaccaridici.
- Malattie autoimmuni: molte sono le malattie autoimmuni associate a bronchiectasie ed in particolare l’artrite reumatoide (AR) e la malattia infiammatoria cronica intestinale. I biomarker tipici di queste malattie (fattore reumatoide, proteina C reattiva, ANA ed anticorpi anti Saccharomyces cerevisiae, etc.) sono utili per la diagnosi della malattia autoimmune ma non nella caratterizzazione dell’eventuale coinvolgimento polmonare. Inoltre in queste malattie, pur essendo frequenti le infezioni, predomina il processo infiammatorio con implicazioni terapeutiche specifiche per queste malattie come l’uso (talvolta in associazione ad antibiotici mirati per il controllo dell’infezione) di steroidi per via inalatoria e/o sistemica o l’uso di farmaci immunomodulatori tipici della malattia infiammatoria cronica intestinale (bloccanti il TFN alfa) per controllare la progressione delle bronchiectasie 13.
- Aspergillosi broncopolmonare allergica (ABPA): l’ABPA rappresenta una particolare forma di overlap tra una alterazione immunitaria ed una malattia ostruttiva polmonare come l’asma e la FC. Recenti studi di confronto tra pazienti con ABPA, pazienti asmatici e gruppo di controllo hanno identificato potenziali loci genetici suscettibili comuni tra queste malattie tali da chiarire alcuni aspetti patologici utili ai fini terapeutici 14.
- BPCO ed asma: purtroppo la relazione tra BPCO, asma e bronchiectasie non è ben chiara 15. Spesso il riscontro di bronchiectasie in queste malattie è misconosciuto o è presente in stati avanzati con eosinofilia marcata ed alte concentrazioni di IgE (overlap asma/BPCO?) 16,17. Sicuramente la categorizzazione in endotipi è molto utile soprattutto nell’asma dove alcuni biomarker come l’eosinofilia ed un aumento delle IgE possono identificare pazienti con bronchiectasie che possono giovare di terapia antiinfiammatoria.
- Bronchiectasie idiopatiche associate ad infezione da micobatteri non tubecolari (NTM): spesso sono pazienti con particolari caratteristiche fisiche (morfotipo astenico, scoliosi, pectus excavatum, alterazioni valvolari cardiache, etc.) 18,19; in questi casi sono presenti un’alta prevalenza di varianti genetiche collegate al controllo delle infezioni che favoriscono in questa popolazione le infezioni da NTM. Usando una combinazione di caratteristiche fenotipiche, biomarker (come l’NO nasale e lo studio delle motilità ciliare) ed analisi genetica, diventerebbe possibile implementare azioni terapeutiche tese a ridurre e/o minimizzare questi fattori e quindi la progressione della malattia.
La valutazione di pazienti con bronchiecatsie quindi richiede un’approfondita conoscenza della eterogeneicità della presentazione clinica e dell’andamento clinico nella sua variabilità. Ma come collegare il genotipo al fenotipo attraverso l’endotipo? Molti studi 20,21 si sono adoperati usando tecniche di sequenziamento statistico per identificare sottogruppi di pazienti bronchiectasici con caratteristiche differenti ma quasi tutti hanno fallito quando dalla teoria si è applicata la pratica in coorti indipendenti di pazienti evidenziando che forse ad oggi non esistono dei fenotipi ben definiti.
Uno dei fenotipi universalmente conosciuto ed identificato in molte coorti di pazienti è quello del paziente con infezione cronica da Pseudomonas aeruginosa. Un altro fenotipo è quello delle bronchiectasie secche (dry bronchiectasis) cioè soggetti senza produzione giornaliera di muco, così come tutti noi conosciamo il fenotipo del frequente riacutizzatore 22. Sono i cosiddetti “fenotipi universali” ma, come già indicato, le evidenze cliniche e scientifiche spesso non correlano con un netto e definito riscontro clinico: per esempio la presenza dello P. aeruginosa non è di per sé sufficiente a definire questi pazienti che talvolta non hanno beneficio da un trattamento con antibiotici per via inalatoria 23.
In sintesi, le variabili cliniche possono fornire solo una modesta accuratezza predittiva per gli esiti delle bronchiectasie ma non ci dicono nulla sulla biologia alla base della malattia. La fenotipizzazione e l’endotipizzazione sono in una fase iniziale di studio ed applicazione pratica nella comprensione dei genotipi e degli endotipi delle bronchiectasie anche in relazione al relativo fallimento di alcuni recenti programmi di sperimentazione clinica sull’argomento. Il processo di definizione di gruppi di pazienti mediante patobiologia che spesso utilizza biomarcatori è in una fase iniziale nelle bronchiectasie. L’eterogenea natura della malattia bronchiectasica deve portare alla identificazione di biomarcatori e, consequenzialmente, di terapie personalizzate che possano offrire approcci promettenti per sviluppare interventi terapeutici specifici, efficaci e precoci. Si spera che in un prossimo futuro avremo un approccio standardizzato alla valutazione dei pazienti con bronchiectasie e utilizzeremo analisi genetiche e biomarcatori locali e sistemici per stratificare i pazienti in termini di prognosi e terapia.
Infezioni da micobatteri non tubercolari, ABPA e altre micosi nelle bronchiectasie
Un importante ruolo eziologico per le bronchiectasie è rivestito dalle infezioni del tratto respiratorio, non solo dalle più comuni infezioni batteriche, ma anche dalle infezioni causate da micobatteri, sia che si tratti di NTM che non, e dalle infezioni fungine.
Micobatteri non tubercolari
Per quanto riguarda i micobatteri non tubercolari il M. Avium complex rappresenta l’agente principale, ma possono essere presenti altri micobatteri come il M. intracellulare, il M. Avium, il M. Gordonae, il M. abscessus e M. Kansasii, tuttavia la prevalenza cambia in base all’area di provenienza geografica dei soggetti interessati. Essi vengono isolati eseguendo colture dell'espettorato, o tramite fibrobroncoscopia con esecuzione di BAL o aspirato bronchiale (BAS). Generalmente i pazienti con tali infezioni presentano una patologia polmonare di base, come la BPCO, hanno un’età avanzata (maggiore ai 60 anni), hanno un’immunodeficienza che nella maggior parte dei casi coinvolge i linfociti T, un basso BMI, mentre raramente hanno tra le comorbilità l’asma e quindi non fanno uso di corticosteroidi inalatori (ICS); alla TC polmonare presentano cavitazioni, possono avere mutazione del gene CFTR e alle prove di funzionalità respiratoria (PFR), hanno una riduzione più severa della funzionalità polmonare ma presentano un minor numero di riacutizzazioni 24. Invece i pazienti senza una condizione polmonare predisponente sono generalmente donne non fumatrici, di età superiore ai 50 anni con storia di sintomi respiratori progressivi e frequenti infezioni respiratorie, alla TC presentano bronchiectasie cilindriche e micronoduli polmonari 25. In alcuni casi può essere presente una coinfezione, spesso da altri NTM o da P. aeruginosa. Il trattamento consiste nella terapia antibiotica mirata verso il microorganismo isolato, composta solitamente dalla combinazione di più farmaci antimicrobici.
ABPA
Nel caso delle infezioni fungine l’organismo più coinvolto è l’Aspergillus, specialmente nella forma di ABPA. L’ABPA è caratterizzata da una reazione di ipersensibilità alla colonizzazione delle vie aeree da parte dell’Aspergillus Fumigatus che interessa generalmente pazienti con asma o FC, con un livello sierico elevato di IgE, spesso > 1.000 UI/mL 26. Per poter effettuare una corretta diagnosi diviene importante l’esecuzione di esami ematici come il dosaggio delle IgE totali, delle IgG per aspergillo, IgE specifiche per aspergillo o prick test cutanei positivi per aspergillo 27. Alle immagini radiologiche ottenute tramite HRCT le bronchiectasie si presentano tipicamente come centrali, comunemente cilindriche, più raramente varicoidi, interessano prevalentemente i lobi superiori e sono accompagnate da segni di infezione quali albero in fiore e plug mucoidi 28. La terapia si avvale di corticosteroidi sistemici, terapia antifungina mediante itraconazolo o voriconazolo, o terapia mediante un anticorpo anti IgE chiamato omalizumab. Tale farmaco agisce riducendo il livello di IgE, il numero di riacutizzazioni e permette il risparmio di steroide e porta al miglioramento dei sintomi asmatici; pertanto viene utilizzato nei pazienti con storia di asma grave, storia di steroido-resistenza o steroido-dipendenza 29.
Altre micosi
Nei soggetti sani le spore fungine vengono eliminate grazie all’azione del muco e alla motilità mucociliare, nei soggetti con bronchiectasie viene a mancare questo meccanismo facilitando la colonizzazione da parte di questi patogeni, che viene favorita anche da un elevato utilizzo di terapia antibiotica, viste le frequenti riacutizzazioni, e dallo stato di infiammazione cronica.
Queste infezioni sono spesso accompagnate da coinfezioni batteriche, principalmente da P. aeruginosa e da Haemofilus influenzae, rendendo difficile capire il reale significato clinico dell’isolamento dei miceti. La Candida Albicans e l’Aspergillo Fumigatus rappresentano le specie maggiormente coinvolte, anche se possono essere presenti differenti tipi di aspergillo come il Niger, il Terreus e il Flavus, oppure altre specie come Trichosporon beigelli, Saccharomyces cerevisiae, Exophiala dermatitidis e tanti altri, con, anche in questo caso, una diversa prevalenza in base all’area geografica 30. Mentre l’isolamento di una Candida Albicans su campione di secrezioni endobronchiali in genere rappresenta un contaminante, l’isolamento di Aspergillus con concomitante aumento del valore dei galattomannani può significare infezione fungina invasiva ed il dato va sempre correlato con gli aspetti clinici e radiologici per decisioni sul trattamento.
Bronchiectasie in altre malattie: malattie autoimmuni, immunodeficienze, discinesia ciliare
Le bronchiectasie possono essere presenti in una serie di malattie sistemiche autoimmuni, più frequentemente associate all’AR tra le connettivopatie e alla rettocolite ulcerosa tra le malattie infiammatorie intestinali (IBD).
Le bronchiectasie possono precedere nel tempo o manifestarsi dopo l’insorgenza dell’AR distinguendo pertanto due possibili sindromi AR-BR e BR-AR che si differenziano non solo dalla temporalità dell’esordio ma anche dalla fisiopatogenesi 31. La sindrome da overlap bronchiectasie-artrite reumatoide (BROS) include tutte e due queste condizioni 7. Secondo una rassegna sistematica e metanalisi eseguita da Martin et al., la prevalenza di AR-BR era del 18,7% tra i 36 studi inclusi sottolineando che le bronchiectasie sono una caratteristica extra-articolare molto comune dell’AR 32. Dagli studi clinici disponibili in letteratura sulle BROS al momento risulta che le bronchiectasie riscontrate radiologicamente nella maggior parte si presentano senza sintomatologia clinica 33,34. Le bronchiectasie sintomatiche potrebbero rendere più difficili le decisioni riguardo al trattamento immunomodulante dell’AR pertanto studi clinici di follow-up a lungo termine dei fattori di rischio e della conversione da bronchiectasie radiologiche a clinicamente significative sono necessari per il futuro. La coesistenza di bronchiectasie e AR è associata inoltre ad una più alta mortalità rispetto alla condizione di malattia bronchiectasica isolata 35.
Tra le IBD, la rettocolite ulcerosa è maggiormente associata ad un coinvolgimento polmonare dove le bronchiectasie rappresentano la manifestazione più comune con prevalenza sulle popolazioni studiate sotto il 5%. Vengono riportati studi controversi sull’incremento del rischio di mortalità nei pazienti con IBD associate a bronchiectasie 31.
Le PID, soprattutto quelle caratterizzate da deficit anticorpali, sono correlate ad un incrementato rischio di sviluppare bronchiectasie. L’importanza nell’identificare i pazienti con PID associate a bronchiectasie è legata alla possibilità di poter eseguire le terapie sostitutive specifiche con immunoglobuline che hanno come obiettivo la riduzione dell’incidenza e la severità delle infezioni acute e di conseguenza la prevalenza e la progressione delle bronchiectasie. Tra le PID, l’immunodeficienza comune variabile (CVID) rappresenta la forma più comunemente associata a bronchiectasie 36.
La PCD è una rara condizione ereditaria con interessamento multiorgano dovuta all’alterazione della motilità ciliare, caratterizzata dalla disregolazione della clearance mucociliare con ristagno di muco, predisponendo ad infezioni respiratorie ricorrenti che portano ad un danno progressivo delle alte e basse vie aeree dove la malattia bronchiectasica rappresenta la complicanza polmonare più frequente ed è presente in quasi tutti i pazienti adulti. Recenti studi sul sequenziamento genetico moderno hanno portato in evidenza una prevalenza stimata di 1:7500 persone, raddoppiata rispetto a quanto si credeva fino a pochi anni fa 37. In Inghilterra, in un gruppo di pazienti adulti con diagnosi di bronchiectasie idiopatiche severe sottoposti al sequenziamento completo del genoma, veniva fatta diagnosi di PCD in 12% dei casi 38. Un recente editoriale di Shoemark et al. ha messo in evidenza come la ricerca genetica stia evidenziando sempre di più la marcata eterogeneità della PCD con più di 50 geni e più di 2.000 mutazioni note aumentando la relazione genotipo-fenotipo 38. Al momento i geni identificati sono associati al 70% circa dei casi di PCD diagnosticati 39. Le linee guida dell’American Thoracic Society e dell’European Respiratory Socieaty raccomandano che la conferma della diagnosi avvenga tramite l’identificazione di una variante patogena di un gene noto o tramite il rilevamento di un difetto nella struttura ciliare in microscopia elettronica 40,41. Il trattamento del PCD con bronchiectasie rimane esclusivamente sintomatico. Il trial clinico BESTCILIA ha mostrato come l’uso dell’azitromicina possa dimezzare il numero delle riacutizzazioni respiratorie e la carica batterica nell’espettorato dei pazienti con PCD 42. I progressi della terapia genica con mRNA rappresentano un’opportunità per la terapia del PCD.
Strategie e schemi di terapia antibiotica ed antinfiammatoria nel soggetto adulto con bronchiectasie
Terapia antimicrobica delle esacerbazioni
Le bronchiectasie sono una patologia respiratoria cronica che si caratterizza per ricorrenti o croniche infezioni delle vie con aumento del volume e della purulenza dell’espettorato e/o febbre ed evidenza di flogosi di tipo batterico. Le infezioni respiratorie possono inoltre essere una causa di progressione della malattia e un indice di severità della stessa 28,43-45. Per tale ragione, gli antibiotici rappresentano una pietra miliare nel trattamento delle esacerbazioni. La scelta dell’antibiotico deve tenere conto di una serie di variabili, quali: comorbilità (insufficienza renale cronica e aritmie); fattori individuali come allergie o intolleranze; severità delle esacerbazioni e rischio di infezioni multidrug resistant (per esse è sempre necessaria una terapia antibiotica di associazione) 46,47.
Terapia antibiotica a lungo termine
L’antibioticoterapia a lungo termine è indicata nei pazienti con tre o più esacerbazioni all’anno (nonostante ottimizzazione della restante terapia). La soglia di tre riacutizzazioni viene ridotta in pazienti con esacerbazioni estremamente severe o con rilevanti comorbilità, o con bronchiectasie di grado severo o, infine, in pazienti in cui le esacerbazioni hanno un impatto significativo sulla qualità di vita 28,44. Le opzioni terapeutiche attualmente disponibili sono rappresentate da antibiotici orali o inalatori.
La classe più utilizzata e più studiata di antibiotici orali è rappresentata dai macrolidi (claritromicina, eritromicina e azitromicina). Essi presentano numerose proprietà anti-infiammatorie e immunomodulanti e numerosi studi hanno dimostrato come riducano la produzione di escreato, i sintomi giornalieri, il numero di esacerbazioni e migliorino la funzionalità polmonare 48-53. Condizione raccomandata per poter avviare terapia a lungo termine con macrolidi è l’esecuzione di espettorato che non evidenzi la presenza di micobatteri non tubercolari.
Gli studi più significativi a riguardo sono rappresentati da BLESS, EMBRACE e BAT i quali hanno studiato rispettivamente eritromicina 400 mg 2 volte al giorno per 6 mesi, azitromicina 500 mg 3 volte alla settimana per 6 mesi, azitromicina 250 mg 3 volte alla settimana per 12 mesi 54-56. In essi, tuttavia, l’arruolamento non prevedeva una specifica batteriologia, pertanto solo il 10-29% dei pazienti era cronicamente colonizzato da P. aeruginosa.
Per quanto concerne l’antibioticoterapia inalatoria, i primi risultati sono sopraggiunti dall’utilizzo di tobramicina, colistina e aztreonam nei pazienti affetti da FC, con miglioramento della qualità di vita, riduzione delle esacerbazioni e della funzionalità polmonare 57-62. Sulle bronchiectasie le linee guida ERS più recenti consigliano l’utilizzo di presidi inalatori a lungo termine solo in quei pazienti con bronchiectasie e infezione da P. aeruginosa con più di tre esacerbazioni all’anno. Ad oggi esistono pochi antibiotici su cui sono stati condotti studi a sufficienza, in particolare: tobramicina con riscontro di buona risposta microbiologica e riduzione dei sintomi, con tuttavia possibile comparsa di effetti collaterali (broncospasmo e tosse), possibile aumento delle resistenze e nessuna modifica nella funzionalità polmonare 63-66; anche la colistina ha mostrato di indurre buona risposta microbiologica e riduzione delle esacerbazioni 67-70.
Terapia eradicante di P. aeruginosa
Le infezioni croniche sono molto comuni nelle bronchiectasie (fino al 60% in tutti gli studi), anche se non vi è un consenso generale sulla loro definizione 43. La definizione più accreditata è la presenza di due o più colturali consecutivi positivi per lo stesso patogeno in un periodo di almeno sei mesi 28. Tra le infezioni croniche, quella che determina un maggiore impatto sulla prognosi è P. aeruginosa. Si pensa che la terapia antibiotica sia maggiormente efficace se l’infezione è recente in quanto le strategie messe in atto dal patogeno per adattarsi all’ambiente potrebbero essere meno sviluppate 71,72. Tuttavia, non esiste un consenso sul miglior protocollo eradicante, in quanto sono descritte varie opzioni. Infine, per assenza di evidenze scientifiche, il trattamento eradicante non è indicato per adulti con isolamento di patogeni diversi da P. aeruginosa 28,31.
Strategie e schemi di terapia mucoregolatrice e riabilitativa nelle bronchiectasie
Le bronchiectasie si caratterizzano per una compromissione della clearance mucociliare, causata dalle alterazioni strutturali delle vie aeree e dalla disidratazione con aumento di viscosità e volume del muco. Per questo motivo la fisioterapia respiratoria ha assunto un ruolo di rilievo nella gestione dei pazienti con bronchiectasie, sia nei pazienti con malattia stabile con tosse produttiva cronica sia nelle riacutizzazioni di malattia. La fisioterapia respiratoria può essere divisa in due principali sfere d’azione: le tecniche di clearance delle vie aeree (airway clearance techniques, ACT) volte alla mobilizzazione delle secrezioni e quindi alla rimozione più efficace dell’espettorato e la riabilitazione polmonare (pulmonary rehabilitation, PR) per incrementare la forza muscolare, in particolare dei muscoli respiratori, e la resistenza allo sforzo fisico.
Diversi studi hanno dimostrato come le ACT siano in grado di incrementare l’espettorazione, migliorare la qualità della vita e ridurre i sintomi respiratori riducendo l’impatto della tosse e migliorando la ventilazione e la dispnea 73,74.
Esistono diverse tecniche di ACT:
- Active cycle of breathing technique (ACBT): tecniche di respiro costituite da un ciclo ripetitivo suddiviso in 3 fasi distinte: il controllo del respiro, gli esercizi di espansione toracica e la tecnica dell’espirazione forzata;
- Autogenic drainage (AD): tecniche di respirazione controllata a diversi volumi polmonari o di espirazione lenta a glottide aperta in decubito laterale (ELTGOL);
- Postural drainage (PD): prevede di posturare il paziente in modo da migliorare la ventilazione e sfruttare la gravità affinché aiuti il drenaggio del muco dalla periferia alle vie aeree centrali tenendo conto degli angoli anatomici e variando la posizione a seconda dei segmenti polmonari da drenare;
- Manual technique (MT): vengono applicate forze esterne alla parete toracica attraverso percussioni, vibrazioni e scuotimento, spesso associate al PD;
- Positive expiratory pressure (PEP): permette di eseguire espirazioni attive contro una resistenza espiratoria variabile tramite maschere facciali, boccagli, etc;
- Oscillating positive expiratory pressure (OPEP): prevede l’utilizzo di device che all’effetto PEP sommano anche oscillazioni ad alta frequenza intratoracica che generano vibrazioni della parete delle vie aeree durante l’espirazione;
- High frequency chest wall oscillation (HFCWO): dispositivi che generano oscillazioni esternamente alla parete toracica;
- Intrapulmonary percussive ventilation (IPV): strumenti di ventilazione oscillatoria ad alta frequenza tramite la somministrazione di flussi d’aria pulsati.Dati recenti mostrano come promettente l’uso degli alti flussi umidificati e riscaldati (HFNT), che grazie alla umidificazione delle secrezioni, migliorerebbe la clearance mucociliare, favorendo l’igiene bronchiale.
Queste tecniche possono anche essere utilizzate in associazione tra loro. Al momento nessuna singola ACT è considerata superiore alle altre in termini di risultati, la scelta è personalizzata sulle caratteristiche del paziente e sullo stato di salute attuale, specie distinguendo tra una fase di stabilità o riacutizzazione della malattia. Analogamente la durata, la frequenza e lo sforzo richiesto possono essere adattati in base alle esigenze individuali. Le tecniche di ACT più utilizzate sono l’ACBT e l’OPEP, eventualmente associate al PD. In generale è consigliata l’esecuzione delle ACT due volte al giorno per una durata di almeno 10 minuti fino ad un massimo di circa 30 minuti, massimizzando la clearance bronchiale senza incorrere nel rischio di fatica respiratoria.
Inoltre, alle tecniche di ACT è suggerito associare la PR che comprende programmi di esercizio fisico, atti al rinforzo muscolare, per aumentare la resistenza allo sforzo ed in particolare all’allenamento dei muscoli respiratori, unita all’educazione del paziente riguardo la propria malattia, l’igiene polmonare e la salute generale (es. educazione nutrizionale). È noto infatti come la debolezza muscolare e l’inattività fisica possano svolgere un ruolo sulla progressione della malattia, sulla frequenza delle riacutizzazioni e sulla capacità di mobilizzare le secrezioni.
Infine, nei pazienti in cui persiste difficoltà di espettorazione e bassa qualità di vita nonostante adeguata riabilitazione polmonare è suggerito associare anche la terapia mucoattiva a lungo termine per oltre 3 mesi. Questa comprende tutti i farmaci che hanno un impatto diretto sulla clearance del muco, che vengono distinti in base al meccanismo d’azione in: espettoranti (es. soluzione iso/ipertonica per aerosol), mucolitici (es. N-acetilcisteina, erdosteina), mucoregolatori (es. carbocisteina) e mucocinetici (es. broncodilatatori).
Trapianto del polmone e terapia chirurgica nelle bronchiectasie non FC
Il trattamento chirurgico delle bronchiectasie riveste un ruolo minore rispetto alla terapia medica, riservato a casi più selezionati. Le linee guida ERS sulla gestione delle bronchiectasie nell’adulto sconsigliano (seppur con bassa qualità delle evidenze a disposizione) il ricorso alla chirurgia, salvo in pazienti con malattia localizzata ed elevata frequenza di riacutizzazioni nonostante l’ottimizzazione delle misure di gestione della patologia (farmacoterapie, fisioterapia respiratoria, etc.) 28. Il razionale per il ricorso alla chirurgia è la rimozione di segmenti ritenuti non funzionali, allo scopo di interrompere il ciclo vizioso di infiammazione, distruzione delle vie aeree, alterazione della clearance muco-ciliare e infezione; l’intervento più frequentemente praticato è la lobectomia mediante toracoscopia video-assistita (VATS), allo scopo di ridurre l’incidenza di complicanze e il tempo di degenza medio. In alcuni casi di pazienti con bronchiectasie con interessamento di più lobi ma con interessamento predominante di un lobo o segmento, e sempre dopo fallimento della terapia medica, può essere presa in considerazione l’escissione della parte maggiormente interessata. Tuttavia i centri che praticano tale intervento raccomandano un’accurata selezione del paziente dato il rischio chirurgico incrementato: ad esempio, prediligendo pazienti giovani con buona funzionalità polmonare residua, e con estensione della malattia limitata ad un solo altro lobo oltre a quello che verrà rimosso 75.
L’altra principale indicazione alla chirurgia nel paziente bronchiectasico è l’emottisi refrattaria ad embolizzazione arteriosa selettiva; in particolare l’indicazione chirurgica viene posta nei casi di emottisi ricorrente o massiva, questi ultimi gravati da un’elevata mortalità perioperatoria in quanto spesso eseguiti in urgenza 76.
Riguardo il trapianto polmonare nel paziente con bronchiectasie, un recente consensus della società internazionale per il trapianto di cuore e polmone (ISHLT) raccomanda criteri di selezione simili a quelli precedentemente stabiliti per i pazienti con bronchiectasie secondarie a FC; il paziente andrebbe quindi riferito ad un centro specializzato nel trapianto polmonare in seguito al riscontro di:
- un valore di FEV1 < 30% del predetto;
- un valore di FEV1 < 40% del predetto in presenza di uno tra i seguenti: PaCO2 > 50 mmHg, ipossiemia a riposo o durante sforzo, ipertensione polmonare, distanza percorsa al 6-minutes walking test inferiore ai 400 metri, peggioramento dello stato nutrizionale nonostante adeguata integrazione, due o più riacutizzazioni all’anno con necessità di terapia antibiotica endovenosa, pneumotorace, emottisi massiva con necessità di embolizzazione arteriosa;
- un valore di FEV1 < 50% del predetto con rapido declino agli esami funzionali o progressione della sintomatologia;
- una riacutizzazione con ricovero e necessità di ventilazione a pressione positiva.
Ulteriori indicazioni sono fornite riguardo allo screening e ai criteri di inserimento in lista per trapianto per questi pazienti, in particolare si raccomanda di valutare la presenza di colonizzazione da parte di NTM ed il loro eventuale trattamento prima dell’inserimento in lista 77. Riguardo la prognosi post-trapianto, negli ultimi anni si è assistito ad un incremento della sopravvivenza, e alcuni centri riferiscono una mortalità a 5 anni paragonabile a quella dei pazienti trapiantati per altre cause; resta però incrementato il tasso di colonizzazione da P. aeruginosa in questi pazienti, mentre il tasso di insorgenza di malattia da rigetto cronica polmonare (CLAD) sembra sovrapponibile 78. Il consensus segnala inoltre un’importante differenza con i pazienti affetti da bronchiectasie secondarie a FC, ossia l’elevato tasso di variabilità individuale nella progressione, con pazienti che restano stabili per anni ed altri che mostrano un deterioramento repentino; diventa perciò importante il monitoraggio stretto dei pazienti con patologia più severa.
In conclusione, la gestione del paziente bronchiectasico resta prevalentemente medica, sebbene in alcuni casi (paziente con malattia localizzata e numerose riacutizzazioni o paziente con emottisi refrattaria ad embolizzazione), la chirurgia mantenga un suo ruolo ben definito. Inoltre, al peggioramento della funzionalità polmonare e delle condizioni generali del paziente o in seguito a riacutizzazioni severe con necessità di ventilazione a pressione positiva, i nuovi criteri ISHLT suggeriscono al clinico la possibilità di prospettare al paziente una soluzione alternativa, non scevra di rischi, ma da tenere in considerazione nella malattia avanzata.
Conclusioni
Concludiamo questa review narrativa sul management delle bronchiectasie nella speranza di aver raggiunto l’intento di mettere a disposizione uno strumento utile, aggiornato e di facile lettura per tutti coloro che si interessano e/o si interesseranno a questa patologia nell’ambito della loro attività clinica e professionale. È sicuramente compito del lettore darci un “feedback” in questo senso ed invitiamo tutti coloro che ci vorranno leggere a interagire con noi a tutti i livelli perché questa narrazione deve servire a creare i presupposti per una forte collaborazione ed aggregazione di una comunità scientifica formata da colleghe e colleghi, molti giovanissimi qualcuno no, su un tema di infettivologia respiratoria sicuramente attuale e di grande interesse pneumologico e non.
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