Supporti respiratori non invasivi nell’insufficienza respiratoria acuta: storia dell’arte
Abstract
La ventilazione meccanica (VM) e i supporti respiratori non invasivi (SRNI), possono essere annoverati tra le pietre miliari della medicina moderna. Queste metodiche hanno modificato la prognosi e il trattamento dell’Insufficienza Respiratoria Acuta (IRA). Nonostante riferimenti dell’assistenza respiratoria siano riportati nella Bibbia, i ventilatori meccanici apparvero per la prima volta all’inizio del 1800 come dispositivi a pressione negativa. Durante l’epidemia di poliomielite in Danimarca nel 1952, si è assistito alla transizione alla ventilazione invasiva a pressione positiva; mentre la diffusione della ventilazione a pressione positiva (NPPV) di tipo non invasivo iniziò a partire dagli anni ’80, a seguito dell’esperienza attestata per il trattamento delle apnee ostruttive. Dopo questa era pionieristica i SRNI, compresa la terapia ad alti flussi, si sono diffusi capillarmente nella pratica clinica, con eterogenee caratteristiche logistiche e strutturali a livello mondiale. L’utilizzo precoce dei SRNI in setting “non puramente intensivi” è divenuto infatti una necessità e una strategia cruciale per il trattamento dell’IRA da COVID-19, mostrando progressivamente dati crescenti di efficacia, verosimilmente anche per la riduzione del ricorso alla VM invasiva e alle complicanze ad essa correlate. Questo articolo analizza la storia dei supporti respiratori nel trattamento IRA; in particolare evidenzia come l’integrazione di fisiologia, medicina e tecnologia abbiano contribuito allo sviluppo e al progresso dei SRNI nella pratica clinica.
Introduzione
La ventilazione meccanica (VM) e i supporti respiratori non invasivi (SRNI), comprensivi di ventilazione meccanica non invasiva (NIV), pressione positiva continua applicata alle vie aeree (CPAP) e terapia con alti flussi (High Flow Therapy, HFT) possono essere annoverati tra le pietre miliari della medicina moderna. Queste metodiche hanno modificato la prognosi e il trattamento dell’Insufficienza Respiratoria Acuta (IRA) 1-3.
La vera nascita della VM risale ai primi del 1900 con la diffusione di gravi casi di IRA secondari a una epidemia di poliomielite che colpì prevalentemente gli Stati Uniti e i Paesi Scandinavi. Il primo sistema impiegato nel trattamento dell’IRA è rappresentato dal polmone d’acciaio (Fig. 1). Da allora si è assistito ad una vera e propria rivoluzione tecnologica e scientifica, con lo sviluppo di sistemi di ventilazione e ossigenazione nonché di monitoraggio associati ad una parallela crescita della ricerca e della pratica clinica.
L’epidemia di poliomielite e la necessità di setting specialistici per il trattamento dell’IRA ha contribuito alla nascita e diffusione delle “Unità di Terapia Intensiva”, ad appannaggio esclusivo di anestesisti-rianimatori, con lo sviluppo successivo di unità a diversa intensità di cura di tipo multidisciplinare e/o specialistico pneumologico 4.
Dopo questa era pionieristica i SRNI si sono diffusi capillarmente nella pratica clinica, con eterogenee caratteristiche logistiche e strutturali sia a livello mondiale che sul territorio nazionale italiano.
L’utilizzo precoce dei SRNI al di fuori di setting tradizionalmente “intensivi” è divenuto infatti una necessità e una strategia cruciale per il trattamento dell’IRA da COVID-19, mostrando progressivamente dati crescenti di efficacia, verosimilmente anche per la riduzione del ricorso alla VM e conseguentemente delle complicanze potenzialmente connesse ad essa 5,6.
Questo articolo analizza la storia dei supporti respiratori nel trattamento dell’insufficienza respiratoria; in particolare evidenzia come l’integrazione di fisiologia, medicina e tecnologia abbiano contribuito allo sviluppo e al progresso del SRNI nella pratica clinica.
Metodologia della ricerca bibliografica
La ricerca bibliografica per il presente manoscritto è stata condotta tramite i database di Embase e Google Scholar Beta, PubMed National Library utilizzando le parole chiave sia in inglese che in italiano rappresentate da “insufficienza respiratoria, ventilatori meccanici, ventilazione a pressione negativa ventilazione a pressione positiva, ossigenoterapia ad alto flusso”. La ricerca si è focalizzata prevalentemente su riviste pubblicate in lingua inglese.
Cronistoria
La respirazione è un processo fisiologico essenziale per il mantenimento delle funzioni vitali. Fin dall’antichità compaiono scritti e riferimenti che correlano intimamente la ventilazione alla rianimazione.
Nella Bibbia viene descritto l’episodio secondo cui il profeta Eliseo aveva riportato in vita il figlio di una donna Shunamita attraverso la respirazione bocca a bocca (2 Re 4:34-35).
Il medico romano Galeno è stato il primo a descrivere la ventilazione meccanica: “se si prende un animale morto e si insuffla aria nella sua laringe attraverso una cannula, si riempiranno i suoi bronchi e si vedranno i polmoni riempirsi” 7.
Andrea Vesalio, fondatore e autore del primo compendio della moderna anatomia “De humani corporis fabrica libri septem“, pubblicata nel 1543 a Venezia, ha descritto la ventilazione artificiale realizzata mediante l’inserimento di una cannula nella trachea di animali 4,8.
Dalla metà dell’Ottocento sono stati effettuati diversi tentativi per avviare la ventilazione nella pratica clinica inizialmente su animali. Nel 1908 viene riportato nel New York Times l’utilizzo su animali in asfissia del primo prototipo di ventilatore meccanico realizzato dal Prof. George Poe 9. Il medico scozzese John Dalziel nel 1838 ha costruito il primo prototipo di una macchina a pressione negativa, una grandissima scatola di latta dentro la quale veniva inserito il paziente con la testa lasciata fuori; la pressione all’interno dell’apparecchio veniva manovrata manualmente attraverso delle pompe di aria.
Il primo prototipo di polmone d’acciaio, conosciuto anche come cisterna di Drinker e Shaw, viene sviluppato nel 1928 e fu una delle prime macchine a pressione negativa per la ventilazione artificiale a lungo termine 10,11.
A seguire con l’epidemia di poliomielite e la diffusione del polmone d’acciaio, è iniziata l’era della ventilazione non invasiva a pressione negativa su pazienti (Tab. I).
La storia della ventilazione non invasiva nel mondo scientifico inizia, quindi, con la diffusione della ventilazione a pressione negativa (NPV) negli anni ’40 e ’50 in occasione della epidemia di poliomielite nei Paesi del nord Europa e negli Stati Uniti.
I principi che stanno alla base della NPV sono più naturali in termini di fisiologia respiratoria rispetto alla pressione positiva applicata alle vie aeree: il torace e l’addome, inseriti all’interno di una struttura (il polmone d’acciaio), vengono sottoposti all’applicazione di una pressione negativa che ne consente l’espansione e di conseguenza favoriscono la creazione di flusso aereo in entrata nel torace 12,13. Altri sistemi di NPV sono rappresentati da poncho e corazza, con analogo principio di funzionamento. Il limite maggiore della NPV è legato principalmente alla dimensione dei device con minor versatilità rispetto ai ventilatori a pressione positiva; pertanto, negli anni successivi la NPV è stata sostituita dalla ventilazione a pressione positiva (NPPV) in maschera.
Negli anni ’50 Copenaghen si è trovata al centro di un’area marcatamente colpita dall’epidemia di poliomielite con un elevato numero di pazienti critici (in parte adolescenti) affetti da IRA legata a paralisi muscolare, gravati da un alto tasso di mortalità ospedaliera (circa il 90%) (Fig. 1C). Inizialmente l’unico trattamento utilizzabile era rappresentato dal polmone d’acciaio. Il trattamento con NPV era gravato tuttavia da un alto tasso di insuccesso (verosimilmente legato alla ostruzione delle alte vie aeree da compromissione bulbare), inoltre le unità di NPV ed il personale ospedaliero disponibili risultavano insufficienti rispetto al numero di ricoveri.
Nell’Agosto del 1952, all’ospedale Blegdam di Copenhagen si è assistito ad uno stato di emergenza sanitaria. Bjørn Ibsen, giovane anestesista danese, propose d’invertire il concetto di ventilazione da negativa a pressione positiva ventilando i pazienti direttamente tramite una incisione sulla trachea (tracheostomia). All’epoca questa tecnica, mediante sistemi rudimentali, veniva applicata per tempi molto limitati durante interventi di chirurgia maggiore. Così il 26 Agosto 1952 Ibsen ha applicato questa tecnica per la prima volta su una ragazzina di 12 anni salvandole la vita. La tecnica si è diffusa in breve tempo, bisognava tuttavia garantire una ventilazione manuale continua 4,14. Sono state reclutate squadre di medici e di studenti di medicina e di odontoiatria, istruiti alla ventilazione manuale continua a turni. È nata così la prima Terapia Intensiva Respiratoria, pertanto il 26 Agosto del 1952, il cosiddetto “Bjørn Ibsen day”, rappresenta una data cruciale della storia della medicina. A partire da questa data la mortalità per IRA da poliomielite si è ridotta drasticamente.
È iniziata così l’era dello sviluppo dei moderni ventilatori a pressione positiva, che derivano sostanzialmente dai dispositivi utilizzati nella Seconda Guerra Mondiale per assistere la ventilazione in quota dei piloti di aerei militari. Il ventilatore a pressione positiva veniva sviluppato con la logica di insufflare miscele di gas (normalmente aria e ossigeno) nelle vie aeree del paziente, mentre l’espirazione è permessa dal ritorno della pressione del ventilatore a livello della pressione atmosferica e dal ritorno elastico dei polmoni e della gabbia toracica.
All’inizio degli anni ’70 praticamente ogni ospedale per acuti americano aveva una terapia intensiva respiratoria con medici specialisti (rianimatori e pneumologi) nella ventilazione meccanica invasiva 14. Si è diffusa così la NPPV invasiva e non invasiva, preannunciando l’arrivo della moderna terapia intensiva, con una graduale riduzione dell’applicazione della NPV sia nel setting acuto che cronico, con pochi centri specializzati nell’uso della NPV 15.
Delaubier e Rideau 16 sono stati tra i primi ad introdurre la tecnica della ventilazione a pressione positiva tramite una maschera nasale (NPPV) nella pratica clinica in pazienti affetti da insufficienza respiratoria secondaria a distrofia muscolare, mutuando l’esperienza preliminare di Sullivan che nel 1980 aveva avviato l’applicazione di un supporto pressorio continuo a pazienti con apnea notturna (CPAP) 17. Negli stessi anni veniva inoltre applicata per la prima volta la pressione positiva nell’edema polmonare cardiogeno 18.
Dagli anni ’90 l’applicazione della NIV si è diffusa nella pratica clinica nel setting per acuti, inizialmente in pazienti con riacutizzazione con BPCO, con l’avvio dei primi studi randomizzati controllati 19-24. Le indicazioni si sono estese in diversi scenari clinici, nell’edema polmonare acuto cardiogeno, in ambito di svezzamento dalla VM invasiva in pazienti difficili, fino a contestualizzare la parallela riduzione delle complicanze legate alla riduzione dell’uso della ventilazione meccanica invasiva con particolare attenzione alle lesioni polmonari indotte dal ventilatore (VILI) e alla polmonite associata al ventilatore (VAP) 25,26.
Di pari passo si è assistito allo sviluppo tecnologico dei dispositivi per la ventilazione assistita in termini di aspetti fisiopatologici e clinici quali l’introduzione del controllo della FIO2, il monitoraggio di parametri e curve ventilatorie, l’aumento della varietà di interfacce 27,28. Le evidenze scientifiche degli anni ’90 ci hanno portato all’inizio degli anni 2000 alla stesura e diffusione delle prime linee guida Internazionali sulla NIV, che veniva etichettata come il gold standard per il trattamento delle riacutizzazioni di BPCO con IRA ipossiemica-ipercapnica riacutizzata 29,30. Negli stessi anni si sono diffuse anche le terapie intensive respiratorie in Europa a conduzione pneumologica 31,32.
La ventilazione non invasiva a pressione positiva nell’IRA
La ventilazione meccanica non invasiva a pressione positiva (NPPV) rappresenta ormai parte integrante del trattamento di prima scelta relativo a forme di IRA, diverse per eziopatogenesi e fisiopatologia. Le indicazioni della NPPV si sono ampiamente estese, come evidenziato da numerosi trial clinici, e la sua applicazione si è infatti progressivamente diffusa nella pratica clinica anche in contesti diversi dalle terapie intensive, fino alla cura di pazienti con patologie “end-stage” e/o oncologiche estendendo concetti importanti legati anche alla proporzionalità e limitazione di cure invasive respiratorie 33,34.
Progressivamente la tecnologia ha seguito l’impennata clinica e scientifica, si è passati dall’implementazione di ventilatori domiciliari e da terapia intensiva con inserimento di trigger automatici ad algoritmi intelligenti per lo svezzamento; dal maggior interesse per le asincronie ventilatore-paziente, all’utilizzo dell’analgosedazione in pazienti coscienti durante SRNI 35-37.
Nel 2016 e 2017 sono state pubblicate le ultime raccomandazioni per l’applicazione della NPPV nell’IRA, realizzate da una task force multidisciplinare di esperti appartenenti alla British Thoracic Society e alla European Respiratory Society (ERS)/American Thoracic Society (ATS) 1,2. I documenti incorporano le recenti evidenze scientifiche chiarendo il ruolo della NPPV in diverse condizioni cliniche. Accanto alle consolidate evidenze nell’IRA ipercapnica da riacutizzazione di BPCO e nell’edema polmonare acuto cardiogeno non dovuto a sindrome coronarica acuta o shock cardiogeno, gli autori raccomandano l’utilizzo della NPPV in altre condizioni emergenti. Queste indicazioni comprendono la prevenzione dell’IRA post-estubazione nei pazienti ad elevato rischio, lo svezzamento dei pazienti con IRA ipercapnica, la palliazione dei sintomi nel malato terminale e nell’IRA postoperatoria. Le raccomandazioni ERS/ATS 2 non riportano un’evidenza sufficiente per giustificare l’uso della NPPV nell’IRA legata ad asma bronchiale e nell’IRA “de novo”, in particolare nell’ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome). Nei pazienti immunocompromessi con IRA le linee guida suggeriscono che la NIPPV debba essere usata precocemente per prevenire l’intubazione e i rischi connessi alla VM invasiva piuttosto che come alternativa della VM. In ambito dell’IRA ipossiemica, gli autori enfatizzano il ruolo della high flow oxygen therapy (HFOT) in diversi contesti clinici 2. La specificità del setting e l’expertise del team in queste raccomandazioni e nelle linee guida della British Thoracic Society sono considerate alla base del trattamento dell’IRA 1.
Il trattamento con SRNI per pazienti respiratori critici dovrebbe infatti essere iniziato in un contesto ove siano garantiti adeguato monitoraggio, esperienza e risorse soprattutto in termini di rapporto infermiere-paziente 38.
High flow therapy (HFT) nel paziente respiratorio critico
La terapia ad alti flussi con cannule nasali (High Flow Nasal Cannula, HFNC) è stata introdotta per la prima volta nella pratica clinica nei primi anni 2000 come alternativa alla CPAP per gestire l’apnea nei neonati prematuri 39. Da allora, il suo uso nei neonati e nei bambini con IRA è cresciuto costantemente, suscitando un crescente interesse in ambito intensivologico. La dimostrata tollerabilità ed efficacia, nonché la versatilità e maggior praticità della HFNC nel trattamento dell’IRA nei nati pretermine e nella bronchiolite del neonato, ha fatto sì che negli ultimi 10 anni questa metodica fosse esportata anche al di fuori dell’ambito pediatrico, in particolare per il trattamento dell’IRA ipossiemica del paziente adulto in terapia intensiva. Roca e collaboratori 40 sono stati i primi a presentare dati promettenti sull’utilizzo della HFNC in 20 pazienti ricoverati in terapia intensiva per IRA ipossiemica, dimostrando un significativo miglioramento sia dei parametri clinici che fisiologici dopo solo 30 minuti di applicazione della HFNC rispetto alla ossigenoterapia convenzionale somministrata attraverso maschera facciale. Uno studio successivo ha riproposto dati sovrapponibili di efficacia degli alti flussi rispetto all’ossigenoterapia convenzionale dopo un’applicazione media e continua di oltre 24 h in assenza di complicanze legate alla somministrazione di flussi elevati di ossigeno in pazienti respiratori critici (Tab. II) 41.
Il sistema di erogazione degli alti flussi comprende sostanzialmente un generatore di flusso (fino 80 L/min), un miscelatore di aria ambiente/ossigeno (che consente di erogare una FiO2 fino al 100%), un sistema di umidificazione e riscaldamento dei gas, un circuito monouso riscaldato ed apposite cannule nasali di diametro interno maggiore rispetto a quelle comunemente utilizzate per l’ossigenoterapia convenzionale 42. Gli effetti fisiologici degli alti flussi devono essere fondamentalmente ricondotti da un lato al rilascio di flussi elevati di gas (wash-out dello spazio morto naso-faringeo, riduzione delle resistenze del nasofaringe, generazione di una modesta PEEP) e dall’altro al condizionamento dei gas respiratori (maggior comfort e della clearance mucociliare).
Come per la ventilazione meccanica, anche i sistemi di rilascio per alti flussi si sono evoluti; esistono attualmente diversi sistemi con moduli integrati in generatori di flusso che necessitano di aria compressa o di una turbina, inseriti anche all’interno dei ventilatori da terapia intensiva o per uso domiciliare.
Alla luce di queste caratteristiche, unitamente alla semplicità di utilizzo e alla versatilità, la HFT si è diffusa non solo in ambienti intensivi e di cure intermedie/monitoraggio ma anche nei comuni reparti di degenza nei quali può rivestire un ruolo importante per il trattamento di pazienti anziani, fragili, con comorbilità laddove altre metodiche di supporto respiratorio più aggressive e invasive non risultino indicate o percorribili 5.
La buona tollerabilità e una più facile gestione in termini di competenze tecniche e carico di lavoro infermieristico rispetto alla NIV e alla CPAP hanno favorito la diffusione della metodica anche in setting a minore intensità di cura e con limitata expertise nel management con NIV/CPAP per la gestione dei pazienti con IRA ipossiemica da COVID-19 5, 43.
Nella Tabella III viene riportata una serie di potenziali vantaggi e svantaggi della HFNC rispetto all’applicazione della pressione positiva (NIV o CPAP).
I dati forniti dalla letteratura e dalle recenti linee guida indicano che la HFNC gioca un ruolo importante nel trattamento dell’IRA ipossiemica 3. Nei pazienti critici con grave ipossiemia (paO2/FiO2 μ 150 mmHg) è importante che il trattamento venga applicato in setting con elevata expertise, con uno stretto monitoraggio soprattutto nelle prime ore, suggerendo di ricorrere precocemente alla ventilazione meccanica invasiva in caso di peggioramento delle condizioni cliniche o comparsa di un’ulteriore insufficienza d’organo (qualora sussistano le indicazioni per incrementare l’intensità di cura). Sebbene gli studi inizialmente abbiano escluso i pazienti con ipercapnia e con insufficienza respiratoria cronica, alcuni dei meccanismi alla base degli effetti degli alti flussi (wash-out dello spazio morto naso-faringeo, riduzione delle resistenze del nasofaringe, generazione di una modesta PEEP, condizionamento dei gas respiratori con miglioramento della clearance mucociliare e potenziale riduzione dell’infiammazione cronica delle vie aeree) hanno stimolato la ricerca di possibili applicazioni della HFNC anche in scenari clinici diversi dall’IRA puramente ipossiemica 44, estendendone l’utilizzo come terapia integrata alla NIV 45 nel setting acuto e come trattamento domiciliare valutandone i suoi effetti a lungo termine 46,47.
La rivoluzione pandemica
Nella prima ondata della pandemia da SARS-CoV-2 i pazienti critici che generalmente giungevano in ospedale con quadri clinici di grave ipossiemia secondaria a polmonite da SARS-CoV-2 sono stati trattati inizialmente prediligendo la VM invasiva, successivamente si è compresa la necessità di trattare precocemente l’infezione cercando di limitare la replicazione virale e contenendo la risposta infiammatoria, selezionando accuratamente i casi da destinare a VM invasiva e prediligendo i SRNI.
La necessità di identificare strategie atte a controbilanciare la carenza di posti letto, le risorse tecnologiche e i ventilatori di terapia intensiva ha portato alla diffusione a livello mondiale dell’applicazione dei SRNI (HFNC, NIV, CPAP) al di fuori delle terapie intensive 5,48.
L’utilizzo precoce dei SRNI in setting non intensivi è divenuto pertanto la strategia cruciale per il trattamento dell’IRA da COVID-19, mostrando progressivamente dati crescenti di efficacia, verosimilmente anche per la riduzione del ricorso alla VM invasiva e conseguentemente delle complicanze potenzialmente connesse ad essa 5,6.
Sviluppi futuri dei SRNI
La crescente automazione della terapia basata su meccanica respiratoria e pattern respiratorio del paziente sia in ambito acuto che domiciliare potrebbe aver un ruolo non solo nella pratica clinica ma anche nella simulazione e ricerca clinica. Saranno necessari ulteriori miglioramenti nelle capacità di monitoraggio e controllo da remoto dei dispositivi per il rilascio di NIV e alti flussi. Campi di ricerca e sviluppo futuri sono rappresentati da: telemedicina, creazione di algoritmi/trigger intelligenti; interfacce; sistemi di automatismi di controllo target della FiO2.
Conclusioni
Si è assistito in questo ultimo secolo ad una evoluzione importante sull’utilizzo VM e SRNI nella gestione dell’IRA e cronica secondaria a diverse patologie.
Il bagaglio tecnologico attuale per il trattamento dell’insufficienza respiratoria racchiude una importante e laboriosa evoluzione clinico-scientifica.
Le pandemie e le epidemie gravate da quadri di grave IRA ci hanno suggerito da un lato di perseguire la filosofia della priorità alla “non invasività” con un approccio fisiopatologico alla cura, dall’altro di garantire setting assistenziali e standard qualitativi elevati. Pertanto, l’acquisizione di competenze “al passo con i tempi” in ambito di strategie di supporto respiratorio non invasivo riveste per lo pneumologo moderno un obiettivo essenziale al fine di garantire una ottimale e completa gestione dell’insufficienza respiratoria.
Ringraziamenti
In ricordo di Massimo Gorini, sempre mentore della terapia intensiva respiratoria, per il suo fondamentale e prezioso contributo scientifico e umano.
Figure e tabelle
Periodo | |
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1838 | Il medico scozzese John Dalziel descrive il primo prototipo di una macchina a pressione negativa (“noninvasive body ventilator”). Consisteva in una scatola ermetica in cui il paziente doveva sedersi con la testa sporgente all’esterno, alimentata manualmente 4. |
1907-1911 | Il Pulmotor, uno dei primi dispositivi per la NPPV, fu introdotto nel 1907 dall’imprenditore e inventore tedesco Johann Heinrich Dräger e da suo figlio Bernhard. Il Pulmotor è stato il primo dispositivo trasportabile congegnato per la rianimazione di vittime di incidenti in miniera, annegamento, traumi di vario genere e shock elettrici (Fig. 1 A, B) 10. |
1928 | Philip Drinker, un ingegnere di Boston, realizza il polmone d’acciaio, primo prototipo alimentato elettricamente. Il polmone d’acciaio fu utilizzato per la prima volta nel 1928 nel Boston Children’s Hospital (MA, USA) in una ragazza in stato comatoso con insufficienza respiratoria. La sua rapida guarigione ha contribuito a rendere popolare il “Drinker Respirator” 11. |
1931 | Emerson JH sviluppa a Cambridge una versione modificata del polmone d’acciaio, con possibilità di funzionamento manuale in caso di mancanza di energia elettrica. |
Anni ’50 | Inizio della NPPV per via tracheostomica Creazione di team dedicati ospedalieri per la cura di pazienti con problemi respiratori definiti “inhalation therapists” (terapisti inalatori) Uso di ossigeno supplementare e respirazione a pressione positiva intermittente (IPPB) in aviazione. Furono sviluppati nuovi dispositivi di respirazione a pressione positiva per i piloti degli aerei che avevano bisogno di ossigeno per i loro voli ad alta quota durante la Seconda Guerra Mondiale. Uno di questi dispositivi medici, noto come respiratore Bird Mark 7, è stato sviluppato a metà degli anni ’50 da Forrest Bird, un ex pilota dell’esercito americano. |
Anni ’60 | Utilizzo della IPPB nell’IRA Utilizzo e dati di efficacia della NIV nei pazienti neuromuscolari Diffusione dell’uso di ventilatori volumetrici nella pratica clinica Disponibilità di tubi endotracheali più sofisticati Uso dell’emogasanalisi nella valutazione del paziente con IRA Nascita delle prime terapie intensive dedicate Riconoscimento nosografico dell’ARDS Diffusione e transizione dalla ventilazione invasiva alla NIV a pressione positiva (NIPPV) |
Anni ’70 | Utilizzo della CPAP nei neonati Diffusione di unità di terapia intensiva in tutti gli ospedali per acuti Realizzazione e diffusione di ventilatori di terapia intensiva più sofisticati e performanti |
Anni ’80 | Utilizzo della CPAP per il trattamento delle Apnee Notturne 17 Primi utilizzi della CPAP nell’edema polmonare cardiogenico 18 Avvio della NIPPV per trattare casi di insufficienza respiratoria cronica e acuta 16-19 |
Anni ’90 | Dal 1990 diffusione della NIPPV nella pratica clinica nel setting per acuti, inizialmente in pazienti con riacutizzazione con BPCO, primi studi randomizzati controllati sulla NPPV nell’IRA 20-24 Avvio dell’uso della NPPV come ponte verso lo svezzamento dalla VM invasiva in pazienti difficili, attenzione alle lesioni polmonari indotte dal ventilatore (VILI) e di polmonite associata al ventilatore (VAP) 25,26 Sviluppo tecnologico dei ventilatori: incorporazione del controllo della FiO2, miglior monitoraggio nei ventilatori, aumento della varietà di interfacce 27,28 |
Anni 2000 | 2001-2002. Stesura e diffusione delle prime linee guida Internazionali sulla NIV (considerata gold standard per il trattamento delle riacutizzazioni di BPCO con IRA ipossiemica-ipercapnica riacutizzata) 29,30 Introduzione nella pratica clinica della HFNC come alternativa alla CPAP per gestire l’apnea nei neonati prematuri 39 Diffusione della NIV anche in contesti diversi dalle terapie intensive e in pazienti con “Do not Intubate order” e cure di fine vita 33,34 Diffusione della HFNC nei pazienti critici con ipossiemia 40 Implementazione di ventilatori domiciliari e da terapia intensiva con inserimento di algoritmi intelligenti per lo svezzamento e per il trigger, maggior interesse per le asincronie ventilatore-paziente e utilizzo dell’analgosedazione in pazienti coscienti 35-37 2016-2017. Aggiornamento delle Linee guida internazionali sulla NIV nel setting acuto 1,2 2022. Pubblicazione delle prime linee guida internazionali europee sulle indicazioni della HFNC nell’IRA 3 |
Abbreviazioni: ARDS: Acute Respiratory Distress Syndrome, BPCO: Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva, CPAP: Continuous Positive Airway Pressure, HFNC: High Flow Nasal Cannula, IPPB: Intermittent Positive Pressure Breathing, IRA: Insufficienza Respiratoria Acuta, NIV: Non-invasive Ventilation, NPPV: Non-invasive Positive Pressure Ventilation, VAP: Ventilator-Associated Pneumonia, VILI: Ventilator-Induced Lung Injury. |
Autore (anno) | Disegno e setting dello STUDIO | Pazienti Eziologia dell’IRA | Durata HFNC | Outcomes (HFNC vs ossigenoterapia convenzionale) |
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Roca et al. 2010 40 | Prospettico sequenziale | 20 pazienti affetti da IRA ipossiemica (SpO2 μ 96% in corso di O2-terapia standard con maschera FiO2 ≥ 50%) | 30 min | PaO2 ↑ |
Terapia Intensiva | Eziologia: 65% dei casi affetti da polmonite | SpO2 ↑ | ||
FR ↓ | ||||
Comfort ↑ | ||||
Sztrymf et al. 2012 41 | Prospettico osservazionale | 20 pazienti affetti da IRA ipossiemica persistente in corso di O2-terapia standard con maschera. | 26,5 h | SpO2 ↑ |
Terapia Intensiva | Eziologia: 65% dei casi affetti da polmonite | (17-21) | FR ↓ | |
Abbreviazioni: FR: frequenza respiratoria, HFNC: High Flow Nasal Cannula, IRA: insufficienza respiratoria acuta, PaO2: pressione parziale di O2, SpO2: saturazione periferica di O2. |
Principali vantaggi HFNC vs NIV/CPAP |
Facilità di gestione e minor necessità di competenze tecniche |
Minor rischio di lesioni da decubito sul volto |
Ottimale umidificazione e riscaldamento dei gas |
Migliore compliance legata anche alla capacità di bere, mangiare, comunicare |
Stabilità della nasocannula vs posizionamento di maschere/casco |
Migliore tolleranza (specie nei pazienti claustrofobici) |
Assenza di asincronie legate alla presenza di perdite/incoordinazione paziente ventilatore |
Principali svantaggi HFNC vs NIV/CPAP |
Generazione di una lieve PEEP, non quantificabile |
Non è in grado di garantire un supporto respiratorio in termini di volume tidalico e ventilazione alveolare al pari della ventilazione meccanica e alla NIV |
Abbreviazioni: CPAP: Continuous Positive Airway Pressure, HFNC: High Flow Nasal Cannula, NIV: Non Invasive Ventilation, PEEP: Positive End Expiratory Pressure. |
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