La valutazione clinica della funzione endoteliale nelle patologie respiratorie: risvolti diagnostici e prospettive future
Abstract
Le patologie respiratorie croniche hanno un impatto crescente su tutti gli strati del tessuto sociale e sanitario, generando nuovi bisogni assistenziali in una popolazione sempre più longeva e, pertanto, incline alla cronicità e alla comorbidità. Negli ultimi anni, un’allarmante mole di dati epidemiologici sembra suggerire l’esistenza di una forte associazione tra patologie respiratorie e cardiovascolari, che si traduce in un’aumentata incidenza di eventi ischemici e un’aumentata prevalenza di scompenso cardiaco e disturbi aritmici. Sebbene le patologie respiratorie e cardiovascolari condividano alcuni fattori di rischio comuni, tra cui il fumo e l’obesità, le evidenze scientifiche sembrano suggerire che la disfunzione endoteliale ne rappresenti il comune denominatore eziopatogenetico. Negli ultimi anni, la misurazione ecografica della dilatazione flusso-mediata in arteria brachiale si è imposta come la tecnica più utilizzata per il monitoraggio clinico della funzione endoteliale, alla luce dell’elevata riproducibilità e della non invasività. Scopo di questo articolo è quello di offrire una panoramica sulla metodica e sui suoi potenziali risvolti diagnostici e prognostici nelle patologie respiratorie.
Introduzione
Con una prevalenza stimata nella popolazione italiana adulta pari al 7%, le patologie respiratorie croniche, quali broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e asma, hanno un impatto crescente su tutti gli strati del tessuto sociale e sanitario, generando nuovi bisogni assistenziali in una popolazione sempre più longeva e, pertanto, incline alla cronicità e alla comorbidità 1. Negli ultimi anni, la BPCO si è imposta come la patologia respiratoria con i costi sociali e assistenziali più elevati, in quanto unica malattia cronica la cui prevalenza è in aumento in tutto il mondo. In tempi più recenti, inoltre, la comparsa del nuovo coronavirus SARS-CoV-2 ha generato un ulteriore potenziale elemento di cronicità nella popolazione italiana, incrementando la necessità di nuovi strumenti diagnostici e prognostici per una adeguata valutazione delle comorbidità e della complessità clinica 2. Pur nella necessità assoluta di fronteggiare le patologie respiratorie in quanto tali, emerge dunque il bisogno di acquisire una maggiore consapevolezza sull’ampio spettro di condizioni cliniche che possono accompagnare i pazienti pneumologici.
Negli ultimi anni, un’allarmante mole di dati epidemiologici sembra suggerire l’esistenza di una forte associazione tra patologie respiratorie e cardiovascolari, che si traduce in un’aumentata incidenza di eventi ischemici e un’aumentata prevalenza di scompenso cardiaco e disturbi aritmici nei pazienti con BPCO e asma. Se è vero che la BPCO è una causa crescente di mortalità globale, le malattie cardiovascolari rappresentano oggi circa il 30% dell’eccesso di mortalità in questi pazienti 3. A tale riguardo, è stato stimato che, per ogni riduzione del 10% del volume espiratorio massimo nel 1° secondo (VEMS), il rischio di mortalità cardiovascolare aumenta del 30% nei pazienti con BPCO 4. Pertanto, questo parametro spirometrico si è imposto nella letteratura scientifica come predittore indipendente di eventi ischemici e aritmici, persino nella popolazione generale e senza diagnosi di malattia respiratoria conclamata 5.
Sebbene le patologie respiratorie e cardiovascolari condividano alcuni fattori di rischio comuni, tra cui il fumo e l’obesità, le evidenze scientifiche sembrano suggerire che l’aumentato rischio cardiovascolare sia indipendente da essi. In particolare, è stato proposto che l’infiammazione immunomediata e lo stress ossidativo svolgano un ruolo chiave nello sviluppo e nella progressione del processo aterosclerotico nelle malattie del polmone a causa dei loro effetti deleteri sulle cellule endoteliali 6. Pertanto, l’alterazione della barriera endoteliale nel circolo polmonare e sistemico potrebbe rappresentare il comune denominatore eziopatogenetico di molte delle complesse manifestazioni cliniche che si osservano nelle patologie respiratorie, incluso l’aumentato rischio cardiovascolare 6,7. La disfunzione endoteliale rappresenta, infatti, l’evento più precoce del processo aterosclerotico e, data la sua potenziale reversibilità, anche un potenziale target terapeutico 8,9. Ne consegue che la possibilità di monitorare clinicamente la funzione endoteliale sta diventando un campo di crescente interesse, in un’ottica di valutazione della complessità clinica e individualizzazione delle terapie.
Come funziona?
Negli ultimi anni, numerose metodiche cliniche sono state sperimentate e utilizzate per studiare la funzione endoteliale a livello del circolo coronarico oppure perifericamente, con e senza l’infusione intrarteriosa di sostanze in grado di modificare il tono vasale 10. Tuttavia, metodiche come la coronarografia con infusione di agonisti o la pletismografia “strain gauge” si sono rivelate indaginose, costose, invasive e/o rischiose per il paziente, lasciando così campo libero alla esplorazione della funzione endoteliale a livello dei vasi di conduttanza o del microcircolo dell’arto superiore 11. Pertanto, la misurazione ecografica della dilatazione flusso-mediata in arteria brachiale (Flow-Mediated Dilation, FMD) e la quantificazione dell’indice di iperemia reattiva (Reactive Hyperaemia Index, RHI) tramite tonometria arteriosa periferica si sono progressivamente imposte come le due tecniche di maggior impiego, alla luce dell’elevata riproducibilità e della non invasività 11. Entrambe le metodiche valutano la riserva funzionale dell’endotelio in termini di capacità di sintesi del suo principale mediatore, l’ossido nitrico, che, migrando nella sottostante tonaca media, determina il rilascio di GMP ciclico con conseguente vasodilatazione. Tuttavia, visto il differente impatto in termini di costi, la maggior parte delle evidenze scientifiche in ambito pneumologico sembra provenire da studi effettuati tramite valutazione dell’FMD 12.
All’inizio degli anni ‘90, comparvero i primi lavori scientifici sullo studio della reattività vascolare dell’arteria brachiale in risposta ad una iperemia reattiva post-ischemica (shear stress) indotta artificialmente gonfiando un bracciale pressorio posto sull’avambraccio ad un valore sovramassimale: nasceva l’FMD. Nel corso degli anni, la metodica è stata standardizzata secondo protocolli definiti e condivisi dalla comunità scientifica 13. In breve, dopo 12 ore di digiuno e astensione da fumo, caffè e alcolici, il paziente viene lasciato riposare per circa 10 minuti in una camera climatizzata a temperatura costante, posto in posizione supina su lettino cardiologico. Un bracciale pressorio viene posizionato sull’avambraccio, abdotto di 90 gradi rispetto al corpo. Grazie ad un supporto metallico fisso, una sonda ecografica lineare (7,5-10 MHz) viene utilizzata per ottenere una scansione longitudinale fissa dell’arteria brachiale e del flusso ematico al suo interno. Dopo una valutazione basale della durata di 1 minuto, il bracciale pressorio viene portato ad un valore sovramassimale, pari a 70 mmHg oltre il valore pressorio sistolico. Dopo 5 minuti di ischemia, il bracciale viene aperto lasciando defluire l’aria e, per i successivi 4 minuti, vengono monitorati il diametro dell’arteria brachiale e il flusso ematico. Al termine dei 4 minuti, l’FMD viene calcolato secondo la formula [(diametro massimo-diametro basale)/diametro basale] x 100, esprimendo pertanto la massima dilatazione percentuale dell’arteria brachiale in risposta allo shear stress che si sviluppa dopo lo stimolo ischemico standardizzato. Tale protocollo, con alcune piccole variazioni tra i vari autori, è stato applicato con efficacia negli ultimi 30 anni in diversi contesti clinici, compreso quello pneumologico. Tuttavia, il limite di questa metodica è la forte dipendenza dall’operatore, che è un elemento caratterizzante la diagnostica ecografica in generale, ma anche un limite intrinseco della complessa procedura appena descritta. Ciò ha reso necessaria l’identificazione di nuovi strumenti che garantissero una misurazione automatica o semiautomatica dell’FMD, attraverso un’analisi delle immagini ecografiche e il calcolo in tempo reale di una serie di parametri di reattività vascolare oltre al solo FMD, tra cui lo shear rate (4 x velocità del flusso/diametro arterioso) o la sua area sotto la curva. Grazie pertanto all’introduzione di nuovi strumenti, quali il software Cardiovascular Suite® FMD studio (QUIPU S.r.l., Pisa, Italia), siamo oggi in grado di offrire misurazioni standardizzate e facilmente ripetibili, con elevato valore diagnostico e prognostico (Fig. 1).
Qual è lo stato dell’arte?
Dati clinici ed epidemiologici suggeriscono che l’FMD sia un marker surrogato di rischio cardiovascolare, al pari dello spessore medio-intimale carotideo e degli indici di rigidità arteriosa. Studi di metanalisi hanno evidenziato che, per ogni punto percentuale di variazione dell’FMD, il rischio di eventi cardiovascolari possa aumentare o ridursi fino al 13% 8,9. Pertanto, utilizzando questa metodica, diversi autori hanno iniziato a monitorare la funzione endoteliale dei pazienti con BPCO, asma, sindrome delle apnee ostruttive del sonno, ipertensione arteriosa polmonare o persino Long COVID, testando l’impatto di specifici approcci farmacologici, chirurgici o riabilitativi su tale marcatore di rischio cardiovascolare. Globalmente, nonostante le evidenze talora contrastanti, diverse revisioni sistematiche con approcci quantitativi (metanalisi) sembrano confermare la presenza di ridotti valori di FMD nei pazienti con BPCO, evidenziando persino una associazione diretta tra il grado di compromissione di questo parametro e il grado di ostruzione alla spirometria 7. Risultati analoghi in termini di compromissione della funzione endoteliale rispetto alla popolazione di controllo sono stati riportati nella sindrome delle apnee ostruttive del sonno, nell’asma, nell’ipertensione arteriosa polmonare e nei pazienti Long COVID sino a 12 mesi dalla negativizzazione del tampone nasofaringeo 14. Tali risultati sono suffragati dall’enorme mole di dati epidemiologici a sostegno di una elevata comorbidità cardiovascolare nelle patologie respiratorie croniche 3, con un rischio cardiovascolare crescente all’aumentare del grado di compromissione funzionale 4.
Quali sono le prospettive di utilizzo in futuro?
Sebbene l’FMD rappresenti, ad oggi, una metodica non invasiva che offre interessanti informazioni prognostiche, non ha ancora acquisito una valenza clinica nella pratica corrente, venendo impiegata principalmente per scopi di ricerca. Tuttavia, nelle fasi iniziali della pandemia, una società scientifica internazionale, la European Society of Cardiology (ESC), ha suggerito per la prima volta il monitoraggio clinico della funzione endoteliale per i pazienti guariti dall’infezione da nuovo coronavirus, al fine di consentire una precoce identificazione delle complicanze trombotiche arteriose 15.
L’introduzione e il costante sviluppo dei dispositivi elettronici utilizzati per automatizzare la procedura, accompagnati dai primi studi sui valori normali di riferimento nella popolazione generale, stanno progressivamente incrementando l’interesse dei clinici e dei ricercatori intorno a questa metodica che potrebbe, in un futuro non troppo lontano, ritagliarsi uno spazio nel percorso diagnostico-terapeutico delle patologie respiratorie.
La potenziale reversibilità della disfunzione endoteliale e il suo ruolo come comune denominatore eziopatogenetico in molte delle manifestazioni di tali patologie, incluse quelle cardiovascolari, rende l’endotelio un nuovo e interessante bersaglio terapeutico. Pertanto, la possibilità di utilizzare una tecnica riproducibile e non invasiva per il monitoraggio clinico della funzione endoteliale sta suscitando interesse crescente, nell’ottica di una più completa stratificazione del rischio e individualizzazione delle terapie.
Ringraziamenti
Gli Autori desiderano ringraziare la Direzione dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) Maugeri di Telese Terme per aver consentito loro di svolgere il proprio lavoro in un ambiente stimolante e dinamico.
Forme di finanziamento
Questo lavoro è stato parzialmente supportato dal programma di finanziamento “Ricerca Corrente” del Ministero della Salute.
Figure e tabelle
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