Correvano gli anni del COVID-19
Pubblicato: 2022-10-31

Pneumopatie parenchimali diffuse post COVID-19

Unità Operativa di Pneumologia, Dipartimento Cardio-Toracico, Università di Medicina “Aldo Moro”, Bari
Unità Operativa di Pneumologia e Terapia Semi-Intensiva Respiratoria - Servizio di Fisiopatologia Respiratoria ed Emodinamica Polmonare, Ospedale San Giuseppe, MultiMedica IRCCS, Milano
Unità Operativa di Pneumologia, Dipartimento di Medicina Interna, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali Riuniti, Ancona
Unità Operativa di Pneumologia, Dipartimento Medicine Specialistiche, Ospedale G.B. Morgagni, Forlì
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Articolo

Negli anni 2020-2021, la comunità scientifica della pneumologia si è trovata a fronteggiare la pandemia globale del COVID-19; questo ha portato ad affrontare sempre più frequentemente problematiche pneumologiche a lungo termine post-COVID, tra cui la potenziale evoluzione fibrosante delle polmoniti interstiziali. Inoltre, negli stessi anni, la gestione dei pazienti già affetti da pneumopatie infiltrative diffuse è risultata molto difficile, sia per l’aumentato rischio di questi pazienti di sviluppare forme più severe di polmonite da SARS-CoV-2 sia per la difficoltà tecnica di garantire loro nei momenti più critici i periodici controlli clinici e funzionali. Emergono quindi 3 importanti domande:

  1. I pazienti con interstiziopatia polmonare (ILD) preesistente hanno un rischio aumentato di sviluppare complicanze polmonari più gravi da COVID-19?
  2. Esiste e per quali pazienti la fibrosi polmonare post-COVID?
  3. Come distinguere tra le alterazioni polmonari persistenti identificate mediante screening dopo infezione da SARS-CoV-2 da una pneumopatia interstiziale residua clinicamente significativa?

Per rispondere a questi quesiti, abbiamo scelto 3 articoli pubblicati nel 2020-2021 e che commenteremo. Nel lavoro di Lee, è stata studiata una corte di 8070 pazienti con COVID-19, tra cui 67 (0,8%) con una preesistente nota ILD 1. I risultati di questo studio hanno evidenziato che i pazienti con interstiziopatia pre-esistente avevano aumentato rischio (2,40 volte maggiore) di sviluppare una infezione da SARS-CoV-2 sintomatica e più severa, anche dopo aggiustamento per eventuali fattori potenzialmente confondenti (tra cui le comorbilità), dopo aver incluso anche i pazienti affetti da fibrosi polmonare idiopatica (IPF), tutto questo in particolare per i pazienti maschi e più giovani (età < 60 anni). Studi precedenti avevano già evidenziato come i maschi siano più soggetti a sviluppare esacerbazioni acute, la cui causa è spesso proprio rappresentata da un’infezione virale; il dato sull’età invece sembrerebbe in contrasto con il fatto che la polmonite da COVID-19 sia in genere più grave negli anziani. I pazienti della coorte già affetti da ILD e che hanno sviluppato una polmonite da COVID-19, hanno manifestato più frequentemente insufficienza respiratoria con necessità di ossigenoterapia (46,3% vs 12,3%), hanno avuto un tasso di ricovero in terapia intensiva più elevato (10,5% vs 2,9%), con impiego più frequente di ventilazione meccanica (11,9% vs 1,9%); anche la mortalità associata a polmonite da COVID-19 è stata significativamente più elevata nei pazienti che avevano una precedente diagnosi di ILD (43,4% vs 13,1%). Mentre la concomitanza di connettivite non sembrava associarsi a maggiore severità della polmonite, i casi di IPF sono quelli in cui la mortalità è stata più elevata.

Pan e il suo gruppo hanno studiato nel tempo più di 200 pazienti ricoverati per polmonite COVID-19 (ma di diverso livello di gravità, da lieve a severo) e che hanno fatto poi la TAC del torace di controllo a 3, 7 e 12 mesi dall’evento acuto 2. In tutti i pazienti è stato analizzato lo score radiologico indicativo dell’estensione del coinvolgimento polmonare (da 0 a 25, formato dalla somma dei singoli scores lobari da 0 a 5). Quello che è emerso è che dopo tre mesi, la maggioranza dei pazienti non ha più nulla alla TAC (128 su 209 pazienti) e che questa percentuale è ancora più elevata dopo un anno di tempo (156 pazienti su 209). Le alterazioni radiologiche osservate dopo un anno comprendevano anche delle opacità lineari focali (quelle indicate spesso come “bande distelettasiche”) o a costituire un vero e proprio reticolo (pattern reticolare) e bronchiectasie da trazione. Alcuni fattori di rischio per la persistenza di alterazioni radiologiche dopo un anno dall’evento acuto sono stati: l’età superiore a 50 anni, la presenza di linfopenia e la presenza di severa insufficienza respiratoria (ARDS) in fase acuta, con coinvolgimento polmonare esteso al momento del ricovero (total CT score 16,0 vs 7,5, p 0,001). La ventilazione meccanica potrebbe aver contribuito, insieme ad altri fattori, allo sviluppo di queste alterazioni oppure potrebbero rappresentare una persistenza/evoluzione di un quadro fibrosante interstiziale precedente all’infezione virale. Il fatto interessante però è proprio che alcune delle alterazioni radiologiche che vengono generalmente indicate come fibrosanti (ad esempio bronchiectasie da trazione, bande distelettasiche, pattern reticolare con riduzione del volume polmonare, etc.) in realtà siano regredite completamente in molti pazienti durante il follow-up radiologico; questa evoluzione radiologica, corrispondente al progressivo miglioramento clinico, potrebbe essere espressione del cosiddetto “rimodellamento della fibrosi immatura” come avviene probabilmente in alcune forme di danno alveolare diffuso, di polmonite organizzative e come era già stato osservato per la SARS; tuttavia sono pochissimi gli studi che hanno analizzato il quadro morfologico in questi pazienti e quindi non possiamo sapere con esattezza quale sia il reale significato di queste alterazioni radiologiche “fibrosanti” o “simil-fibrosanti”. Questo studio ha due limiti molto importanti: il primo è quello di non aver proseguito il follow-up di raccolta dati oltre i 12 mesi (cosa che sarebbe certamente molto utile e indicato per un ulteriore progetto di ricerca); la seconda cosa è la mancanza della correlazione radiologica-funzionale con le prove di funzionalità respiratoria per cui saranno necessari ulteriori studi futuri per valutare se le alterazioni radiologiche fibrosanti persistenti oltre 12 mesi siano associate a riduzione permanente della funzionalità ventilatoria.

L’ultimo articolo è quello pubblicato in Novembre 2021 dal gruppo di Anatomia Patologica di Ann Arbor, University of Michigan (Konopka et al.) che ha mostrato i risultati delle biopsie polmonari fatte su pazienti con interstiziopatia polmonare persistente dopo polmonite COVID-19 3. Sono stati inclusi nello studio tutti i pazienti che avevano sintomi respiratori persistenti (dispnea, tosse e/o insufficienza respiratoria) associati ad alterazioni radiologiche (tra cui opacità a vetro smerigliato, reticolazioni periferiche, bronchiectasie da trazione). Il quadro morfologico osservato più frequentemente in queste biopsie è stato un pattern usual interstitial pneumonia (UIP), mentre solo in una più piccola percentuale di pazienti sono stati osservati ancora aspetti di acute lung injury (ALI) persistenti dopo l’evento infettivo acuto. I pazienti con pattern UIP erano più vecchi rispetto agli altri (57 vs 53 anni, p 0,042) e avevano una più elevata probabilità di avere una patologia polmonare precedente all’infezione da SARS-CoV-2; tutti presentavano alla TAC alterazioni “fibrosanti” (ispessimento dell’interstizio e/o reticolazioni periferiche con bronchiectasie da trazione) che invece non erano presenti nei pazienti con altri pattern di danno polmonare. Nonostante la mancanza in questo lavoro della discussione multidisciplinare, sappiamo che l’IPF è la diagnosi multidisciplinare più comune per i pazienti con pattern UIP alla biopsia polmonare e si potrebbe pertanto speculare che almeno una parte di questi pazienti avesse una pre-esistente IPF prima dell’infezione acuta; inoltre le caratteristiche del danno polmonare erano identiche a quelle osservate nelle esacerbazioni di IPF, suggerendo quindi ulteriormente che l’infezione da Sars-CoV-2 potesse aver innescato almeno in alcuni pazienti una fase accelerata di una pre-esistente pneumopatia diffusa fibrosante. Sicuramente serviranno altri studi per comprendere meglio il significato delle alterazioni morfologiche (e anche immunofenotipiche) dei pazienti con ILD evidente dopo polmonite da COVID-19. La distinzione tra alterazioni polmonari persistenti dopo COVID-19 (espressione di una fisiologica “guarigione” di una recente infezione virale) e pneumopatie diffuse post-COVID clinicamente significative meritevoli di trattamento (immunomodulanti? antifibrotici? fisioterapia?) richiede l’integrazione multidisciplinare dei dati clinici, funzionali e morfologici quando disponibili.

Riferimenti bibliografici

  1. Lee H, Choi H, Yang B. Interstitial lung disease increases susceptibility to and severity of COVID-19. Eur Respir J. 2021; 58:2004125. DOI
  2. Pan F, Yang L, Liang B. Chest CT patterns from diagnosis to 1 year of follow-up in patients with COVID-19. Radiology. 2022; 302:709-719. DOI
  3. Konopka KE, Perry W, Huang T. Usual interstitial pneumonia is the most common finding in surgical lung biopsies from patients with persistent interstitial lung disease following infection with SARS-CoV-2. EClinicalMedicine. 2021; 42:101209. DOI

Affiliazioni

Esterina Boniello

Unità Operativa di Pneumologia, Dipartimento Cardio-Toracico, Università di Medicina “Aldo Moro”, Bari

Davide Elia

Unità Operativa di Pneumologia e Terapia Semi-Intensiva Respiratoria - Servizio di Fisiopatologia Respiratoria ed Emodinamica Polmonare, Ospedale San Giuseppe, MultiMedica IRCCS, Milano

Claudia Duranti

Unità Operativa di Pneumologia, Dipartimento di Medicina Interna, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali Riuniti, Ancona

Claudia Ravaglia

Unità Operativa di Pneumologia, Dipartimento Medicine Specialistiche, Ospedale G.B. Morgagni, Forlì

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Come citare

Boniello, E., Elia, D., Duranti, C., & Ravaglia, C. (2022). Pneumopatie parenchimali diffuse post COVID-19. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 37, 158-160. https://doi.org/10.36166/2531-4920-A104
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