Il caregiver e la persona affetta da grave patologia respiratoria
Abstract
Caregiver è colui che si occupa più attivamente di offrire supporto al parente malato, cercando di dare risposta ai suoi bisogni. Prendersi cura di un familiare affetto da grave patologia respiratoria ha tutte le caratteristiche di un’esperienza di stress cronico: richiede infatti un’attenzione e un impegno intensi e costanti. Tale condizione viene definita con il termine di burden. Relativamente al burden del caregiver, è possibile attivare trattamenti di primo livello e/o trattamenti di secondo livello. I trattamenti di primo livello hanno la finalità di attivare e rinforzare le risorse personali e ambientali per gestire con maggiore competenza e autoefficacia lo stato di salute proprio e del familiare malato (counselling psicologico). I trattamenti di secondo livello hanno la finalità di contenimento della sintomatologia ansioso-depressiva, tramite gli interventi di psicoterapia. Alla luce di quanto indicato nel Piano Nazionale della Cronicità e nei Livelli Essenziali di Assistenza, si raccomanda, pertanto, la presa in carico psicologica dei caregiver delle persone affette da grave patologia respiratoria.
Il caregiver
Quando viene diagnosticata una patologia cronica e invalidante, la malattia non colpisce soltanto la persona che ne è affetta, ma anche chi è intorno a lui, nella maggior parte dei casi un familiare. La vita viene stravolta da questa nuova e improvvisa realtà e, quanto più la malattia è inficiante, tanto più sia paziente che caregiver hanno bisogno di un appoggio e di un sostegno.
Caregiver è colui che si occupa più attivamente di offrire supporto al parente malato, cercando di dare risposta ai suoi bisogni; costituisce, pertanto, il punto di riferimento principale sia per il paziente, sia per l’équipe curante. Si tratta di storie di amore e dedizione, ma, contemporaneamente, di sacrifici e rinunce, spesso di sofferenza. La Legge n. 205 del 03 Luglio 2017 definisce la figura del caregiver come “la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, di un familiare che a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non autosufficienti e in grado di prendersi cura di se, in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata”. La maggior parte delle persone “diventa” caregiver all’improvviso, si trova a ricoprire questo ruolo senza possibilità di scelta e senza avere una preparazione specifica. In Europa si stima che circa l’80% dell’assistenza complessivamente prestata a persone non autosufficienti sia attualmente fornita da coniugi, figli, altri familiari: ciò ha portato la Commissione Europea ad affermare che “il numero dei caregiver informali è almeno il doppio di quello della forza lavoro formale” 1. Nel nostro Paese si conta “un esercito silenzioso di sette milioni di italiani che si occupano dei congiunti … eroi invisibili” 2.
Il burden del caregiver
Prendersi cura di un familiare affetto da grave patologia respiratoria ha tutte le caratteristiche di un’esperienza di stress cronico: crea sovraccarico fisico e psicologico per periodi prolungati; è accompagnato da alti livelli di incertezza e incontrollabilità rispetto al proprio futuro e a quello del proprio caro; richiede un’attenzione e un impegno intensi e costanti, inficiando aspetti importanti della vita del caregiver, come il lavoro e le relazioni sociali.
Tale condizione viene definita con il termine di burden, usato proprio per descrivere gli effetti negativi derivanti dall’esperienza e dalla fatica di assistere un parente malato: esso racchiude problemi di tipo fisico, psicologico, sociale e finanziario. Il burden è costituito da componenti oggettive e soggettive:
- Le componenti oggettive sono le richieste e gli adattamenti continui ai quali è esposto il caregiver dal momento che si prende cura di una persona dipendente e vari ambiti della vita quotidiana possono essere condizionati, o addirittura stravolti, dalla patologia del proprio caro. Tra le richieste più frequenti troviamo: chiedere aiuto per vestirsi, soprattutto allacciarsi le scarpe diventa estremamente faticoso, chiedere di cucinare determinati cibi perché maggiormente assimilati, chiedere aiuto nella cura di sé, poiché gesti che prima erano automatici, con l’aggravarsi della malattia diventano sforzi ingenti che causano affanno respiratorio. Altri ambiti della vita quotidiana che possono essere invalidati sono il sonno e la vita sociale: si riscontrano alterazioni del ritmo sonno-veglia e una sorta di ritiro sociale, di evitamento dei rapporti interpersonali. Ciò si verifica soprattutto con il sopraggiungere del peggioramento fisico del paziente che può portare, per esempio, all’utilizzo dell’ossigeno, il quale rappresenta sempre un ostacolo psicologico che induce a rinunciare alle uscite.
- Le componenti soggettive includono il modo in cui il caregiver percepisce i compiti legati all’assistenza e, nello specifico, la sua risposta emotiva all’esperienza del prendersi cura del malato. Nel corso dell’assistenza è frequente provare sensazioni e stati d’animo spiacevoli, anche se naturali e legittimi alla luce della situazione che si sta vivendo. L’impatto con questa responsabilità porta il caregiver a fare i conti col prestare assistenza fisica, sanitaria, psicologica al malato, col gestire i rapporti con medici, ospedali, infermieri, burocrazia. Tutto questo si aggiunge agli impegni preesistenti, condiziona le relazioni familiari, determina limitazioni nelle proprie scelte e nello stile di vita, incidendo profondamente sulle capacità di resilienza del caregiver 3: la sensazione di sentirsi in trappola e di non riuscire a gestire tutte le incombenze legate al ruolo, così come la consapevolezza che nella propria vita sia subentrato qualcosa di minaccioso, può produrre emozioni come paura, ansia, angoscia e panico. L’ansia rappresenta la naturale risposta a un pericolo. Talvolta possono manifestarsi preoccupazioni per il futuro, sensazioni di smarrimento, sconforto e sentimenti di impotenza, generati dall’angoscia causata da questa delicata esperienza di vita. Legati alla paura, ci sono il dolore e la tristezza per la condizione del proprio caro e per la propria sofferenza che possono portare a vissuti di solitudine, nostalgia, scoraggiamento, amarezza, disperazione, talvolta depressione. La consapevolezza del profondo cambiamento avvenuto nella vita personale e della propria famiglia può generare forti sentimenti di malinconia. La rabbia è una reazione frequente alla malattia di un congiunto, è un modo per affrontare la frustrazione che deriva dalla sensazione di impotenza che si prova. Essere caregiver significa provare molteplici emozioni, come la paura che la malattia del proprio caro non migliori, che può scatenare a sua volta sentimenti di delusione, fallimento e frustrazione. Chi assiste, infatti, può sentirsi inadeguato al ruolo che sta ricoprendo e provare sentimenti di colpa proprio per il fatto di non vedere miglioramenti dello stato di salute del proprio familiare.
Da studi condotti sulla salute dei caregiver che assistono un proprio congiunto, sembra emergere che lo stress derivato dall’atto di prendersi cura potrebbe essere un fattore di rischio di mortalità attraverso lo sviluppo di patologie coronariche: è stato rilevato che l’assistenza diretta erogata al proprio familiare per 14 ore settimanali è un significativo indice predittivo di ipertensione e può accrescere il rischio di malattie cardiovascolari per il 35%. All’interno dello studio si è indagata l’associazione tra l’erogazione dell’assistenza informale e la percezione della salute mentale e fisica del caregiver nella popolazione appartenente a 12 Paesi europei. Lo studio ha evidenziato come l’assistenza diretta erogata dal caregiver è significativamente associata d una scarsa salute mentale e fisica, durante un periodo di follow-up di 8 anni 4. A conferma di ciò, il premio Nobel per la medicina Elizabeth Blackburn ha calcolato che i familiari che assistono un proprio congiunto affetto da grave patologia hanno un’aspettativa di vita tra i 9 e i 17 anni inferiore alla media 5.
Valutazione psicodiagnostica
Imparare a individuare e monitorare gli effetti dello stress derivanti dall’esperienza di essere caregiver rappresenta il primo passo per salvaguardare il proprio benessere e quello del paziente. Negli ultimi trent’anni c’è stato un interesse crescente nel cercare di valutare con strumenti validati l’esperienza del caregiver: una revisione pubblicata nel 2012 sull’International Journal of Nursing Studies, ha ricercato tutte le scale di misurazione che indagano circa la sfera emotiva, fisica, psicologica del caregiver, insieme con i suoi bisogni, la sua capacità di adattamento, la soddisfazione e l’abilità nel prestare assistenza 6.
Strumenti utili per la rilevazione del burden sono risultati essere:
- il Caregiver Burden Inventory (CBI): fornisce un profilo del carico assistenziale esperito dal caregiver sulla base del quale è possibile valutare quali siano i suoi bisogni e programmare, eventualmente, un piano di sostegno individualizzato. È composto da 24 item che fanno riferimento a diversi fattori dello stress: il burden dipendente dal tempo richiesto dall’assistenza (burden tempo), la percezione del caregiver di sentirsi diverso dai propri coetanei (burden evolutivo), le sensazioni di fatica cronica e i problemi di salute (burden fisico), l’impatto sulla propria vita sociale (burden sociale), i sentimenti verso il paziente (burden emotivo);
- la Zarit Burden Interview (ZBI): misura la percezione del burden del caregiver nei suoi aspetti multidimensionali (sociali, fisici, finanziari, emotivi), così come la relazione con la persona assistita. È una scala adeguata per la valutazione del burden nei caregiver che assistono a domicilio pazienti anziani e/o affetti da patologia cronica.
Interventi terapeutici
A fronte dell’impatto e della complessità del burden del caregiver, sono numerose le ricerche che hanno identificato i bisogni, espressi e non espressi, delle persone che prestano assistenza a un proprio congiunto. Fernandes e Angelo nel 2016 hanno realizzato una revisione della letteratura che ha individuato la prevalenza dei seguenti bisogni 7:
- bisogno di conoscenza rispetto ad assistenza medica, esercizi riabilitativi e gestione delle emergenze;
- bisogno di tempo, poiché il caregiver assolve anche altri ruoli sociali ai quali deve necessariamente dedicare del tempo;
- bisogni emozionali/interpersonali, ovvero bisogno di condividere i propri sentimenti;
- bisogno di reti di supporto comunitarie, oltre che di reti di professionisti.
La ricerca internazionale supporta l’efficacia degli interventi psicologici di prevenzione primaria 8, ma in generale tutti gli interventi hanno un connotato preventivo (di prevenzione secondaria e terziaria), perché tendono a offrire strumenti per una migliore gestione dei propri processi ed equilibri. Relativamente al burden del caregiver, dopo una fase iniziale di valutazione psicologica e psicodiagnostica, è possibile attivare trattamenti di primo livello e/o trattamenti di secondo livello 9. I trattamenti di primo livello sono svolti in un’ottica di educazione terapeutica e di empowerment, hanno cioè la finalità di attivare e rinforzare le risorse personali e ambientali per gestire con maggiore competenza e autoefficacia lo stato di salute proprio e del familiare malato. Fra i trattamenti di primo livello è risultata evidente l’efficacia della psicoeducazione, un intervento che ha l’obiettivo di fornire ai caregiver un approccio pratico e teorico alla comprensione della malattia del proprio familiare. L’aumento delle conoscenze sull’argomento migliora, infatti, la capacità che le persone hanno di mettere in atto strategie funzionali per far fronte alle situazioni critiche causate dalla malattia, con un conseguente aumento del controllo percepito della situazione. Una famiglia ben informata contribuisce a migliorare l’outcome in due modi: in primo luogo il familiare può coadiuvare il proprio caro nelle funzioni terapeutiche, come il mantenimento dell’aderenza alla terapia o l’individuazione dei prodromi. In secondo luogo, l’intervento sul caregiver è utile per la funzione di supporto che esso svolge nei confronti del proprio familiare: acquisire determinate conoscenze in merito alla malattia e alle terapie utilizzate per il suo trattamento è di per sé rassicurante, consente di sviluppare strategie di coping funzionali, riducendo, così, lo stress legato all’incapacità di gestire il proprio caro. Gli incontri di psicoeducazione sono condotti dallo psicologo con il contributo dell’équipe multidisciplinare, in modo da garantire un approccio integrato che consideri i diversi aspetti del problema. Durante gli incontri si insegnano tecniche di rilassamento, volte a gestire il carico emotivo e psicologico: particolarmente efficace è la tecnica di Rilassamento Muscolare Progressivo-metodo Jacobson.
C’è poi il counseling psicologico di supporto ai familiari, utile anche per la gestione di dinamiche relazionali disfunzionali, che può essere effettuato in setting individuale o di gruppo.
I trattamenti di secondo livello hanno la finalità di contenimento del distress, della sintomatologia ansioso-depressiva, di cura di un disturbo psicopatologico, al fine di facilitare l’elaborazione delle crisi emotive tipiche dei disturbi dell’adattamento conseguenti alla malattia del proprio familiare. Sono inclusi in questa tipologia tutti gli interventi di psicoterapia.
Altro strumento di lavoro rivelatosi efficace con i caregiver di persone affette da patologie respiratorie sono i gruppi di Auto-Mutuo-Aiuto (AMA), formati da individui che condividono la medesima situazione. L’azione di questi gruppi coinvolge contemporaneamente due livelli della persona: quello conoscitivo, cognitivo, comportamentale, e quello emotivo, affettivo, relazionale. I componenti dei gruppi AMA, infatti, provvedono a darsi supporto reciproco, ad apprendere modalità di fronteggiamento delle difficoltà, a scoprire strategie per migliorare la propria condizione emotiva e, contemporaneamente, ad aiutare gli altri. Si acquisiscono, così, specifiche informazioni riguardanti soluzioni pratiche apprese dall’esperienza diretta, che di solito non sono ricavabili dai libri, né dal sapere professionale. I membri del gruppo si ritrovano, quindi, inseriti in una sorta di piccolo sistema sociale in cui diventano soggetti attivi e portatori di risorse.
Raccomandazioni Alla luce di quanto indicato nel Piano Nazionale della Cronicità e nei Livelli Essenziali di Assistenza, è auspicabile una visione di assistenza integrata che riconosca il ruolo dei caregiver, che valorizzi la loro fondamentale importanza nel processo di cura della persona affetta da patologia cronica, che tenga in considerazione la promozione delle loro competenze e la creazione di reti sociali basate sui loro bisogni. All’interno di tale cornice, si raccomanda come buona prassi la presa in carico psicologica dei caregiver delle persone affette da grave patologia respiratoria, secondo le modalità sopra descritte.
Riferimenti bibliografici
- Rodrigues R, Schulmann K, Schmidt A. The indirect costs of long-term care. Research Note 8/2013.
- Faiella MG. Corriere della Sera – 24 Luglio. 2019.
- Ciarini A. Welfare e promozione delle capacità. Il Mulino: Bologna; 2011.
- Hiel L, Beenackers MA, Renders CM. Providing personal informal care to older European adults: should we care about the caregivers’ health?. Prev Med. 2015; 70:64-68. DOI
- Studi del Premio Nobel 2009 per la Medicina. Elizabeth Blackburn.
- Van Durme T, Macq J, Jeanmart C. Tools for measuring the impact of informal caregiving of the elderly: A literature review. Int J Nurs Stud. 2012; 49:490-504. DOI
- Fernandes CS, Angelo M. Family caregivers: what do they need? An integrative review. Rev Escola Enfer USP. 2016; 50:672-678. DOI
- Mendelson T, Eaton WW. Recent advances in the prevention of mental disorders. Soc Psychiatry Psychiatr Epidemiol. 2018; 53:325-339. DOI
- Lazzari D. Evidenze ed epidemiologia. Milano: Edra; 2019.
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