Interazioni cuore polmone nel riallenamento allo sforzo
Abstract
È ormai ben noto che la coesistenza tra patologie cardiologiche e respiratorie è molto frequente. La presenza contemporanea di entrambe le patologie identifica spesso un paziente fragile con grave compromissione funzionale. L’approccio riabilitativo in questi soggetti è abbastanza simile e ha come pietra angolare l’allenamento aerobico, associato all’allenamento alla forza soprattutto. In presenza di sarcopenia; in pazienti selezionati può essere utilizzato invece dell’allenamento continuo, l’interval training. Il test cardiopolmonare rappresenta il gold standard nella valutazione integrata degli aspetti pneumologici e cardiologici È raccomandabile infine lo sviluppo della tele riabilitazione, con monitoraggio da remoto.
Articolo
Le profonde interazioni tra cuore e polmone in ambito riabilitativo sono apprezzabili a molteplici livelli e richiedono idonee misure organizzative per quanto concerne l’implementazione dei programmi. Da un punto di vista epidemiologico la comorbilità cardiologica in un paziente respiratorio (e viceversa) è molto frequente: nella survey multicentrica italiana SUSPIRIUM 1, ad esempio, la prevalenza dello scompenso cardiaco in pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) osservati in un setting non degenziale è stata del 12%, mentre quella della BPCO nei pazienti scompensati del 31,5%. La presenza concomitante di entrambe le condizioni patologiche connota spesso un paziente a uno stadio peggiore sia di cardiopatia sia di pneumopatia, con maggiori livelli di compromissione funzionale, presenza di altre patologie cronico-degenerative e incrementata mortalità. Tale associazione non è da interpretare semplicisticamente come secondaria alla condivisione di alcuni fattori di rischio (ad esempio il fumo), dovendosi parlare piuttosto di un vero e proprio “continuum cardiopolmonare” 2 nella traiettoria di malattia.
Il training fisico rappresenta un core component fondamentale nella conduzione di un progetto riabilitativo individuale (PRI) riferito a pazienti pneumopatici con fattori di rischio o patologie cardiovascolari. Il report GOLD 2021 3 ha ribadito la raccomandazione di considerare nella riabilitazione di un paziente con BPCO sia la componente aerobica sia quella della forza; in particolare, per quanto riguarda il classico endurance continuous training viene suggerito di raggiungere un’intensità di sforzo pari al 60-80% del carico massimo o della frequenza cardiaca massima raggiunta durante un test da sforzo symptom-limited, equiparabile (in assenza di pre-test) a una percezione soggettiva di dispnea o fatica di grado moderato-severo (Borg dispnea 4-6).
Di fronte a un paziente respiratorio con comorbilità cardiovascolare, mutuando indicazioni proprie della Cardiologia Riabilitativa 4, l’intervento di training non dovrebbe discostarsi significativamente da quello suggerito dalle linee guida GOLD. In linea generale, infatti, per ogni macro tipologia di condizione (la cardiopatia ischemica, lo scompenso cardiaco, il paziente post cardiochirurgico, l’arteriopatia periferica, l’ipertensione arteriosa, solo per riferire le maggiori) viene raccomandato di utilizzare una combinazione di training di endurance e di forza nel programma riabilitativo, con intensità di sforzo da moderata a moderata-severa durante esercizio aerobico continuo. L’interval training, con sviluppo di bouts di esercizio a intensità quasi massimale, dovrebbe essere considerato in pazienti selezionati per ottenere un maggiore e più rapido incremento della fitness cardiorespiratoria, incrementare la motivazione dell’allenamento e/o mutuare metodiche di allenamento già note al paziente (come nel caso di atleti agonisti o ricreazionali), non essendo stata definitivamente documentata una sua superiorità rispetto al training continuo in termini di miglioramento della prognosi e della qualità di vita 5,6.
A ogni modo, alla luce del modello fisiopatologico della ridotta tolleranza allo sforzo nel paziente cardiorespiratorio, l’intensità di training applicata per quanto importante non costituisce il principale determinante del risultato atteso. Il concetto di training volume infatti – espressione di una determinata intensità di sforzo applicata per un determinato tempo nella singola sessione e moltiplicata per il numero complessivo di sessioni – restituisce meglio la spesa energetica complessiva del programma eseguito ed è maggiormente correlato con l’incremento della capacità funzionale e la prognosi, almeno per quanto riguarda la componente della cardiopatia 7.
Per quanto concerne il training di forza, da espletarsi in un numero di sessioni non superiore alle 2-3 per settimana al fine di consentire un’adeguata sovra-compensazione, le evidenze più recenti confermano che implementare tale allenamento “on top” al training aerobico incrementa la tolleranza allo sforzo, la forza muscolare e l’assetto metabolico (soprattutto per quanto riguarda il controllo glicemico, lipidico e pressorio) nel paziente cardiopatico 8, mentre i dati su prognosi ed eventi cardiovascolari a distanza non sono ancora conclusivi. Inoltre, sempre le moderne linee di ricerca attesterebbero la potenziale sicurezza di eseguire training di forza ad alta intensità (80% e oltre di one-repetition-maximum [1-RM], avendo garantito un’adeguata progressione incrementale), soprattutto per quanto concerne i timori talvolta sovrastimati di un eccessivo incremento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa 9. Numerosi studi infatti indicano che una corretta prescrizione del circuito di forza – non solo per quanto concerne i gruppi muscolari attivati, ma anche per la velocità delle ripetute eseguite, il rapporto tra fase di contrazione concentrica ed eccentrica e infine i tempi di recupero tra singole ripetute e set – può ridurre il rischio di sfavorevoli aggiustamenti cardiovascolari allo sforzo 10. Una particolare tipologia di paziente – trasversale e a elevata rappresentazione nei programmi di riabilitazione polmonare e cardiologica – che potrebbe beneficiare in larga parte di questo tipo di training è costituita sicuramente dall’anziano fragile, nel quale la componente della forza impatta significativamente sulle attività della vita quotidiana. A ogni modo, soprattutto in presenza di sarcopenia, il programma di training di un paziente fragile cardiorespiratorio dovrebbe essere multidimensionale e contemplare già in fase organizzativa un’adeguata rappresentazione di allenamento aerobico, di forza, di equilibrio, di flessibilità e di coordinazione 11.
La valutazione integrata degli aspetti respiratori e cardiovascolari durante esercizio fisico riconosce nel test cardiopolmonare il gold standard ed è essenziale per una prescrizione individuale dell’intensità di training, oltre che naturalmente per ottenere un dato affidabile relativo alla capacità funzionale globale e alla prognosi del paziente. La possibilità di ponderare le diverse limitazioni all’esercizio (ventilatoria, cardiogena e periferica, spesso coesistenti nel singolo paziente) consente infatti di implementare il training più idoneo, permettendo inoltre la valutazione di outcome del programma stesso. Nella letteratura si è assistito a una progressiva rivalutazione del metodo più affidabile sul quale basarsi per prescrivere l’intensità dell’allenamento: in linea generale viene ribadita una sostanziale preferenza per la determinazione della prima e della seconda soglia ventilatoria al fine di condurre un allenamento aerobico “threshold-based”, mantenuto quindi in un contesto di attivo tamponamento isocapnico 12. Permane comunque ancora la validità di un allenamento “range-based”, basato su domini di intensità descritti in termini di percentuale del consumo di ossigeno, del carico di lavoro, della frequenza cardiaca e della riserva cronotropa valutati al picco dello sforzo, con l’accortezza di estrarre il dato finale di massima tolleranza all’esercizio da un’analisi comparata di tutte queste variabili senza limitarsi a una sola 4. Il classico test ergospirometrico con protocollo incrementale può inoltre essere ulteriormente adattato a pazienti particolarmente decondizionati, utilizzando ad esempio protocolli a carico costante, nell’ambito del classico test dei 6 minuti o di una batteria di test simulanti le attività della vita quotidiana. Per i suddetti motivi, probabilmente, il momento riabilitativo di un paziente portatore di problematiche respiratorie e cardiovascolari costituisce il setting con maggiore bisogno di testing diretto con metodica ergospirometrica e ciò costituisce un messaggio molto pratico per coloro che si occupano di organizzazione ed erogazione dei servizi sanitari.
In ultima battuta, è opportuno considerare che la recente pandemia da COVID-19 ha rinforzato la raccomandazione di incrementare la disponibilità di programmi strutturati di esercizio fisico home-based in ambito riabilitativo, sia respiratorio sia cardiovascolare 13,14. Tali programmi potrebbero essere idealmente configurati con un monitoraggio da remoto centre-based e costituirebbero, per combinazione di expertise mediche e fisioterapiche delle due discipline, il nucleo centrale di una formale teleriabilitazione integrata cardiorespiratoria.
Raccomandazioni Considerare sistematicamente la componente aerobica, di forza, di equilibrio, di flessibilità e di coordinazione nel progetto riabilitativo individuale. Considerare un adeguato volume complessivo di training per raggiungere gli obiettivi di incremento della capacità funzionale globale, riduzione della disabilità e miglioramento prognostico prefissati. Garantire adeguata intensità e progressione del carico allenante. Predisporre un adeguato programma di mantenimento, anche ricorrendo a sistemi di supporto, monitoraggio e rinforzo motivazionale da remoto.
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