Infezione da COVID-19
Abstract
I pazienti affetti da infezione da COVID-19 in tutte le fasi possono beneficiare di un intervento riabilitativo che deve essere tarato in base alla gravità della malattia: può variare pertanto dalle manovre di pronazione e mobilizzazione precoce per i pazienti ricoverati in Terapia intensiva, ai programmi di riallenamento all'esercizio nelle fasi di remissione; in caso di difficoltà nella gestione delle secrezioni possono essere abbinati interventi di disostruzione bronchiale.
Definizione
L’infezione da nuovo beta-coronavirus SARS-CoV-2 può provocare gravi polmoniti 1. È stata identificata per la prima volta nel dicembre 2019 a Wuhan, in Cina, e si è diffusa con straordinaria velocità provocando una pandemia che al momento pare superare come diffusione e impatto letale quella della febbre spagnola di inizio XX secolo. La malattia da SARS-CoV-2 è stata clinicamente definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come COVID-19 (Coronavirus Disease-19).
Caratteristiche cliniche e fisiopatologiche
Il COVID-19 ha, nella stragrande maggioranza dei casi, un esordio clinico con i sintomi di un’infezione virale simil-influenza. In più dell’80% dei casi contagiati la malattia evolve benignamente, mentre nei restanti casi la malattia può degenerare dopo 7-10 giorni dall’esordio in una fase infiammatoria cui segue una successiva reazione iper-infiammatoria disregolata caratterizzata dal rilascio di citochine pro-infiammatorie a livello polmonare e sistemico in un quadro clinico di polmonite grave (interessamento > 50% dei polmoni) e di ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) che insorge in circa il 5% dei casi insieme a una concomitante coagulopatia che rende necessario il ricovero in ambito intensivo o semi-intensivo ed è responsabile di elevata mortalità intraospedaliera 1. La malattia grave può insorgere anche in pazienti sani di ogni età, ma è nettamente prevalente negli anziani e in coloro che erano già affetti da comorbilità (obesità, diabete, cardiopatie, BPCO, ecc.). Il virus nel parenchima polmonare può avere un effetto citopatico diretto che provoca un danno alveolare acuto, successivo edema lesionale infiammatorio e conseguente insufficienza respiratoria acuta ipossiemica con flogosi sistemica, caratteristiche anche dell’ARDS da altre cause. In una fase iniziale, la grave ipossiemia si può accompagnare a una compliance respiratoria non ancora particolarmente compromessa come accade regolarmente nei soggetti a evoluzione infausta 2. Nel corso della pandemia, è stato segnalato un calo dei tassi di mortalità in ospedale, attribuito prevalentemente all’uso di dosi basse e prolungate nel tempo di corticosteroidi 3.
Impatto della malattia
Nonostante sia noto l’importante impatto che l’insufficienza respiratoria secondaria a polmonite da SARS-CoV-2 determini sui pazienti ospedalizzati, sempre più numerosi dati di letteratura descrivono la persistenza di una disabilità residua, alla dimissione da ricovero per polmonite da COVID-19, nonostante la guarigione clinica. Tale disabilità è responsabile dello sviluppo di una nuova forma di “cronicità” definita Long Covid. La maggior parte dei dati epidemiologici proviene da studi effettuati in Centri di riabilitazione, introducendo, quindi, un bias di selezione a monte: se da una parte sono definite sempre meglio la provenienza e le caratteristiche della popolazione affetta da Long Covid (argomento approfondito nel successivo capitolo), dall’altra rimane meno nota la prevalenza di tale “cronicità” tra i pazienti dimessi dai differenti reparti per acuti.
Inoltre, per questa stessa ragione, per quanto sia nota la prevalenza di comorbilità, non ci sono dati sul relativo impatto che esse possano avere sulla disabilità nel SARS-CoV-2.
Uno studio monocentrico effettuato in un reparto di Pneumologia Riabilitativa riporta i dati di 103 pazienti provenienti da ospedalizzazione per insufficienza respiratoria acuta da polmonite da SARS-CoV-2 4. Circa l’80% di questi pazienti presentava ancora insufficienza respiratoria dopo una media di 15 giorni di ricovero. Più della metà dei pazienti non era in grado di effettuare il test 1 min STS (One Minute Sit-to-Stand). Il 67% dei pazienti presentava un basso score della scala di Barthel (< 60 punti), espressione di significativa compromissione dell’autonomia nelle principali attività quotidiane e il 47% era ancora allettato. Sorprendentemente, un’analisi comparativa dei pazienti sottoposti o meno a ventilazione meccanica (VM) non mostrava differenze tra i due gruppi in termini di disabilità. Tale dato, sebbene inficiato dal basso numero dei pazienti ventilati (12 su 103), suggerisce l’importanza di un follow-up anche dei pazienti che non hanno avuto una insufficienza respiratoria così severa da necessitare supporto ventilatorio. Alla dimissione, dopo circa 3 settimane, ancora più della metà dei pazienti con Barthel < 60 mostrava ancora un basso score e il 21% dei pazienti dimessi era in ossigenoterapia. Un successivo studio multicentrico su 140 ricoverati in riabilitazione dopo polmonite da COVID-19, conferma il dato della grave disabilità residua 5. Circa due terzi della popolazione studiata in questo caso erano stati precedentemente sottoposti a VM (sia invasiva che non-invasiva). Il 60% dei pazienti mostrava uno score di SPPB (Short Physical Performance Battery) < 3, segno di grave disabilità e più della metà dei pazienti non era in grado di camminare e/o stare in piedi. Le principali cause della grave disabilità conseguente all’ospedalizzazione dei pazienti affetti da insufficienza respiratoria da SARS-CoV-2 sono secondarie al prolungato allettamento e ridotta motilità, oltre che a tutti i fattori di rischio associati alla VM 6. Tuttavia, il fatto che una significativa disabilità sia stata evidenziata anche nei pazienti non sottoposti a VM, lascia ipotizzare che possano essere chiamati in causa altri meccanismi, in parte anche legati al tipo di infezione, alla cascata infiammatoria a essa associata e a probabili neurotropismo e neuroinvasività del virus. A supporto di tale ipotesi c’è il dato di letteratura che mostra come circa il 16% dei pazienti con infezioni da COVID-19 trattati a domicilio lamentavano dopo 3 mesi la persistenza di dispnea e astenia 7.
Inoltre, il residuo danno polmonare a lenta risoluzione, responsabile della persistenza di insufficienza respiratoria, rappresenta anch’esso, una importante causa responsabile della significativa compromissione dell’autonomia motoria.
Aspetti modificabilicon la riabilitazione
Per meglio descrivere gli interventi del fisioterapista respiratorio proposti nella gestione del soggetto affetto da COVID-19 si proporranno diversi scenari clinico-terapeutici suddivisi per intensità di cure: Terapia Intensiva (TI), Terapia Sub-Intensiva Respiratoria (UTIR), Degenza Ordinaria (DO).
- Necessità di supporto respiratorio invasivo (TI): è stato ampiamente dimostrato come la pronazione nel soggetto affetto da ARDS migliori il rapporto ventilazione/perfusione, mentre una precoce mobilizzazione e il corretto posizionamento del paziente evita complicanze da immobilità, microtraumatismi articolari e/o danni vascolari durante i cambi di postura. La pandemia da COVID-19 ha diffuso la pratica della pronazione anche nel paziente non sedato. Con la riduzione della sedazione l’intervento fisioterapico si compone di attività di prevenzione (posizionamenti, mobilizzazione precoce, minimizzazione dello sforzo del paziente durante le manovre di pronazione), cura (facilitare lo svezzamento dalla VM e dalla cannula tracheostomica, evitare reintubazioni, favorire la clearance bronchiale e il reclutamento parenchimale) e riabilitazione (disallettamento, recupero ortostatismo) 8.
- Necessità di supporto respiratorio non invasivo (TI, UTIR): in questo contesto è fondamentale cooperare con l’intera équipe nel monitoraggio del paziente così da poter intervenire rapidamente in caso di necessità di cure intensive. L’obiettivo di ridurre il lavoro respiratorio viene raggiunto mediante un approccio terapeutico basato sulla progressione dell’intensità del supporto che prevede, in crescendo, ossigenoterapia convenzionale a bassi o alti flussi, HFNC (High Flow Nasal Cannula), CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) e NIV (Non Invasive Ventilation). Negli ultimi due casi è fondamentale la corretta gestione delle interfacce garantendone la pulizia quotidiana e la rotazione (almeno 2 interfacce) specialmente in caso di supporto ventilatorio continuo. Anche in questo setting la pronazione è risultata essere efficace nel migliorare gli scambi gassosi 9. Considerando che il paziente è sveglio e può non tollerare a lungo la posizione prona, in base al quadro di compromissione polmonare e per favorire quindi il massimo il reclutamento parenchimale, è consigliato far variare posizione ogni 2-3 ore (seduto, decubito laterale, semiprono, prono) 10.
- Respiro spontaneo in aria ambiente o ossigenoterapia a bassi flussi (DO): nella fase di remissione di malattia e progressiva riduzione del supporto respiratorio è indicata una graduale ripresa di attività in virtù della maggiore possibilità del paziente di tollerare lo sforzo. Le società scientifiche raccomandano nella fase post-acuta l’applicazione di programmi di riadattamento allo sforzo basati su esercizi aerobici a bassa-moderata intensità e allenamento della forza resistente 11. Gli interventi che sfruttano la pressione espiratoria positiva (PEP) possono essere abbinati a inspirazioni lente e profonde seguite da una pausa tele-inspiratoria, sia come modalità di riespansione polmonare, sia come strategia per il drenaggio delle secrezioni in caso di ipersecrezione bronchiale, seppur questa non sia una condizione frequente nel paziente COVID-19. Alla dimissione è indicata una valutazione mediante l’utilizzo di test specifici, standardizzati, validati, possibilmente comparabili con il 6MWT (Six Minute Walking Test) ed eseguibili in stanza, con l’obiettivo di stratificare il paziente da un punto di vista clinico/funzionale, valutare i rischi e le necessità assistenziali e riabilitative, quindi non solo in termini di terapia farmacologica.
Aree di miglioramento
- Poche evidenze specifiche di grado maggiore. In maggioranza studi osservazionali e case series.
- Gestione dei criteri di escalation e de-escalation del supporto.
- Ruolo e limiti della pronazione da sveglio.
- Rivalutazione limiti della NIV e monitoraggio non invasivo della meccanica respiratoria in NIV.
- Inquadramento e stratificazione del paziente in dimissione dai reparti per acuti.
Raccomandazioni In analogia a quadri clinici di ARDS da altre cause, i pazienti in fase acuta di infezione da COVID-19 a tutti i livelli di gravità possono beneficiare di un intervento riabilitativo precoce. In caso di difficoltà nella gestione delle secrezioni devono essere proposti interventi di disostruzione bronchiale. Al momento della dimissione è fondamentale valutare la necessità di ossigenoterapia sia a riposo che sotto sforzo e di riabilitazione pneumologica.
Riferimenti bibliografici
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