Le idee di salute e di malattia - Seconda parte
Abstract
Le idee di salute e di malattia appaiono immediate e semplici e non viene di solito condotta una riflessione
sulla loro formazione. Si tratta invece di due condizioni della vita che non sono rigidamente separate. Non è
possibile dividere in modo sicuro uno stato di salute da uno di malattia, in quanto questi momenti non possiedono
una semplice caratteristica biologica, ma sono anche il frutto di valutazioni di tipo culturale, piuttosto
che medico.
Accettare la complessità che precede e sostiene lo stato di malattia, oppure quello di salute, significa anche
accettare la propria condizione umana e la propria fragilità, smettendo di inseguire a tutti i costi stereotipi di
apparenza e di benessere che possono generare un sentimento di inadeguatezza legato a logiche di consumo
e non di cura.
Alcuni esempi contemporanei a riguardo della malattia ci mostrano la complessità percettiva di un fenomeno patologico che riceve una modulazione sociale in quelli che sono i propri caratteri. Ne costituiscono un esempio l’infezione da HIV, la lotta all’infertilità e alla sterilità, la malattia di Alzheimer. La società umana si relaziona con la salute e con la malattia in modo complesso. Quali siano poi i confini di questa interazione rimane un argomento controverso. L’antropologo americano David Schneider (1918-1995) ad esempio ha pubblicato alcuni studi relativi ai rapporti di parentela. Questo autore, indagando le concezioni inerenti i costumi riproduttivi del popolo Yap, un’etnia della Micronesia, ha proposto di considerare anche la parentela biologica degli individui come un sistema simbolico di rappresentazione culturale piuttosto che come uno strumento per descrivere una realtà biologica. Si è in questo modo introdotta in ambito antropologico una visione conoscitiva diversa da quella puramente biologica relativa alla consanguineità. Lo psichiatra e antropologo americano Arthur Kleinman ha sostenuto come in ogni sistema culturale di riferimento i modelli di conoscenza della medicina scaturiscano dall’interazione tra le relazioni sociali e quelle istituzionali, in particolare tra le competenze professionali degli operatori della salute e la visione della vita caratteristica delle credenze e delle abitudini popolari e familiari 1 2.
Dobbiamo fare chiarezza su cosa si intenda con la parola salute. Questo vocabolo deriva dal latino salus, che può significare salvezza oppure salute. Un termine che è dotato della stessa radice linguistica di salvus, il quale sempre in latino vuol dire salvo, libero da qualcosa o da qualcuno. La parola salute può acquistare diversi significati, sia come una condizione psico-fisica dell’organismo che come salute intesa quale stato di benessere. Il termine salute può infine rivestire un significato letterario, inteso come salvezza, benessere spirituale, oppure salute sotto forma di porgere un saluto o un augurio. Il verbo salutare deriva dal nome di una casta sacerdotale di origine etrusca, poi trapiantata nel complesso panorama culturale e religioso romano, quella dei Salutari. Queste figure di ministri di culto avevano il compito di raccomandare la buona sorte a quanti si mettessero in viaggio o comunque a chi si allontanasse da un luogo di origine e da un alveo familiare di sicurezza. Salutare in latino significava anche essere sani, essere preservati dagli accidenti di un viaggio o di un cambiamento di condizione. A loro volta questi termini condividevano la medesima radice indoeuropea di sal-, utilizzata dai latini come sostantivo per indicare il sale e diffusa con lo stesso significato in gran parte delle lingue occidentali 3.
Gli Etruschi erano un popolo caratterizzato da una visione magica e fatalistica della realtà. Le pratiche divinatorie risultavano una componente essenziale del loro credo religioso e della loro visione della vita. Queste necessitavano di una casta particolare di sacerdoti, gli Auguri, che avevano elaborato un complicato sistema di studio e di interpretazione dei fenomeni naturali basato su delle valutazioni magiche. Gli Auguri osservavano attraverso antichi riti tramandati da molte generazioni le viscere delle vittime sacrificali conferendo alla loro disposizione un particolare significato. Erano in grado di spiegare gli eventi rari e imprevisti, quali i fulmini, le nascite di animali deformi e via elencando.
L’interpretazione superstiziosa e allo stesso tempo un po’ rassegnata del futuro propria degli Etruschi fu ereditata dai Romani che la utilizzarono copiosamente in molti aspetti della loro civiltà. Le fondazioni delle città ad esempio, con la tracciatura preliminare del cardo e del decumano e la delimitazione del territorio secondo alcune caratteristiche di tipo magico seguivano i dettami dell’Aruspicina etrusca. La visione pragmatica dell’esistenza, così tipica dell’eredità romana risultò pertanto contaminata in modo indelebile da questo fatalismo. Una credenza nel miracoloso e nell’esoterico che rimase sullo sfondo del sentire comune del cives romanus, riemergendo periodicamente nei momenti di crisi e di debolezza delle strutture statali fino all’avvento del Cristianesimo che avrebbe ridimensionato questa visione senza eliminarla. Pensiamo al fatto che l’imperatore Costantino il Grande (306-337 d.C.), il protettore del nuovo credo cristiano, procedette alla fondazione di Costantinopoli, la nuova capitale cristiana posta ufficialmente sotto la protezione diretta della Vergine, facendola consacrare dalla benedizione cristiana e dalle cerimonie segrete dei sacerdoti pagani. In quell’anno 330 Costantino voleva essere ben sicuro che la città che portava il suo nome avesse dei protettori divini autorevoli ed efficaci 4 5.
Nell’antica Grecia e grazie all’insegnamento ippocratico la medicina era riuscita a organizzarsi in scuole che tramandavano un sapere medico basato su di un empirismo equilibrato e consapevole. Una conoscenza medica caratterizzata da un terreno comune di riproducibilità che l’affrancava dalla magia degli stregoni e dei ciarlatani. La medicina di Ippocrate nasceva dall’unione del ragionamento logico che analizzava l’esperienza, la memorizzava, la utilizzava e la trasmetteva attraverso l’insegnamento con lo scopo di seguire la migliore condotta terapeutica possibile in ogni malattia. Tendeva a limitare l’intervento del caso e ad eliminare le condotte terapeutiche inutili, quando addirittura dannose. Il fondamento della medicina ippocratica fu caratterizzato dalla certezza della capacità di guarigione dell’organismo e sull’affidamento del malato alla forza risanatrice della natura. Questa era la physis vitale di ogni essere umano, capace di conservare la salute in modo autonomo dall’intervento del medico e al più a lungo possibile. Il medico ippocratico diveniva consapevole e mediatore di un sapere più alto che gli proveniva direttamente dagli dei, come il dio della medicina Asklepio e suo padre Apollo.
Gli Asklepeion, i luoghi di culto e di terapia edificati in onore di Asklepio, accolsero per secoli innumerevoli persone malate in cerca di guarigione e contemporaneamente anche della sola speranza di essa. In alto, sovrastante questo nosocomio dedicato alla cura del corpo e dell’anima, svettava il tempio di Apollo circondato dal proprio un bosco sacro. Quasi a ricordare come la medicina fosse un tramite tra gli Dei e gli uomini e che le vite che le si affidavano non facessero che evocare una sapienza più profonda, fondamento religioso di ogni cosa e in nome della quale si veniva guariti. L’avvento del Cristianesimo portò a una nuova visione del mondo, nel rispetto almeno dichiarato dell’unicità e della dignità della persona. Formalmente venne abolita la schiavitù e fu affermata la sacralità della vita, frutto della creazione diretta da parte di un unico Dio. Venne promossa una concezione dell’essere umano come un’unità psicofisica e spirituale. La parte spirituale, che risiedeva nell’anima immortale, rimandava al trascendente e costituiva la componente della persona che doveva essere salvaguardata in misura paritaria, se non maggiore, rispetto all’integrità fisica 6.
Lungo lo scorrere dei secoli questa concezione giustificò nell’Europa cristiana anche una serie di crimini. Ricordiamo il numero indefinito di poveretti che vennero condannati alla tortura e alla morte in quanto considerati eretici oppure dediti a pratiche magiche e proibite. Nell’ottica dei loro carnefici la morte attraverso il rogo costituiva una modalità di purificazione e di salvezza dell’anima. Un destino che era sempre e comunque preferibile ad ogni beneficio materiale ottenibile nel mondo dei viventi 7.
Nel Medioevo il termine infirmitas, con cui si indicavano in modo generico le malattie, prese a rivestire anche dei significati positivi. La sofferenza, il dolore e l’alterazione anatomica visibile nel corpo del malato accompagnavano il dolore del Cristo crocefisso, ucciso dopo essere stato flagellato e sottoposto ad angherie fisiche e psicologiche. La condizione di malato viveva pertanto un proprio duplice ruolo. Da un lato testimoniava, attraverso la corruzione del corpo, la presenza di colpe di cui la malattia poteva significare la conseguenza. Dall’altra e attraverso l’accettazione di una condizione simile a quella del Cristo sofferente, il malato poteva pervenire alla guarigione dell’anima che era considerata più importante di quella del corpo. Il Cristo Salvatore rinchiudeva in sé una doppia e illimitata potenzialità. Rappresentava il vero medico del malato e grazie alla sua natura corporea si era fatto carico dell’imperfezione e della sofferenza umana per donare la salvezza all’uomo senza poter evitare il dolore e la morte che quel vestito di carne comportava. Si comprende pertanto come l’Eresia Ariana, che sottolineava la condizione di sudditanza del Figlio rispetto al Padre e quella Monofisita, che implementava solo la natura divina del Cristo, perdessero un elemento di consolazione importante nella condizione dei credenti e fossero respinte dai vescovi cattolici. Nel dialogo tra Dio e l’uomo, come in quello tra il medico e il malato, imperava il Principio di Beneficenza, che garantiva il bene del paziente secondo il codice ippocratico e la sua successiva interpretazione cristiana accettata anche dal più autorevole dei teologi cattolici, San Tommaso d’Aquino (1221-1274), che divenne il teologo di riferimento di buona parte del pensiero cristiano. La visione medica di Ippocrate venne in tal modo fatta propria dalla chiesa cattolica e grazie a questo legame ha attraversato i secoli e consolidato il prestigio e la propria importanza fino ad oggi 8.
Rimaneva da decidere cosa fosse il bene e chi potesse indicare con sicurezza cosa esso fosse per il malato scegliendo tra una serie di alternative possibili. Nel prendere posizione tra queste possibilità il medico ha utilizzato per secoli una forma di potere discrezionale che gli veniva tacitamente riconosciuto. Si trattava della Potestà medica, che rispondeva a criteri di ragionevolezza ed era sottoposta a una continua evoluzione legata ai processi tecnici della medicina e agli influssi sociali che riceveva. Oggi è impensabile che si taccia al paziente la gravità di una malattia e il rischio che un’operazione chirurgica oppure una particolare terapia possano comportare. In un tempo non troppo lontano invece il non parlare di questi eventi era un costume tollerato, a volte espressamente richiesto per non spaventare il malato 9. Nel XVII secolo la nascita della Scienza Nuova segnò l’ingresso del metodo sperimentale nello studio della Natura. Il modo di osservare e studiare la realtà subì un profondo cambiamento, influenzato dalle opere di tre pensatori di provenienza eterogenea come Francis Bacon, Galileo Galilei e René Descartes, che ottennero con le loro opere un risultato comune: considerare la natura come un terreno da investigare senza pregiudizi e senza subire i condizionamenti dei maestri del passato. Attraverso la metodologia sperimentale da loro annunciata e in parte introdotta questi filosofi influenzarono anche l’evoluzione della ricerca medica. Il modello di conoscenza della medicina divenne quello meccanicistico, che considerava l’uomo come una macchina le cui caratteristiche e il funzionamento potevano essere sottoposti a delle misurazioni e valutazioni. Un libro del 1748 del medico francese Julien Offroy de La Mettrie (1709-1751) dal titolo inquietante de L’uomo macchina divenne un best seller maledetto del Secolo XVIII, tanto che fu messo all’indice e bruciato nella Francia cattolica e dovette essere stampato nella più liberale Olanda calvinista. Nacque in questo periodo l’utopia e la fiducia di poter ricostruire fedelmente le funzioni del corpo umano attraverso l’acquisizione di abilità e di conoscenze tecniche sempre più sofisticate. Il Settecento fu anche il secolo degli automi, macchine dalla parvenza di creature intelligenti che suonavano strumenti musicali, disegnavano, scrivevano e sapevano giocare perfino a scacchi 10.
Con l’Illuminismo prima e la Rivoluzione Francese poi iniziò una fase laica dell’assistenza sanitaria agli infermi. Alcuni ordini ecclesiastici, come quello dei Gesuiti, vennero soppressi e i loro beni incamerati dallo stato, sia nella Francia rivoluzionaria che nell’Impero Asburgico del sovrano illuminista Giuseppe II (1780-1790), figlio e successore dell’Imperatrice Maria Teresa. Venne implementato il compito protettivo e imparziale dello stato, che divenne il garante dell’assistenza attraverso degli strumenti laici di controllo sociale indirizzati a salvaguardare la salute dei cittadini 11.
Nella seconda metà del secolo XIX si verificheranno scoperte straordinarie in campo medico. Il 1864 fu un anno decisivo in cui avvenne la dimostrazione inequivocabile dell’origine infettiva di alcune gravi malattie ad opera di Louis Pasteur. Una scoperta che rivoluzionò da un punto di vista epistemologico tutta la modalità di ricerca in medicina. Per la prima volta divenne possibile conoscere con precisione le cause di una malattia. Non era più necessario rifarsi a teorie che non potevano essere provate dal metodo sperimentale come era avvenuto tante volte nei secoli precedenti. Venne inaugurata una nuova era, un’epoca il cui manifesto ideologico conteneva un’affermazione semplice e determinante: ogni malattia era legata a una causa specifica e conoscendola si sarebbe potuto trovare il rimedio per guarirla 12.
L’ambizione delle odierne e ricche società occidentali consiste nel rivendicare, seppure in via teorica, come la salute possa essere alla portata di tutti, purché sia possibile fornire a ciascuno i mezzi di sostentamento e le terapie più idonee. Si tratta di un’affermazione di principio, anche un po’ ipocrita, più che di un dato di fatto. Sappiamo bene infatti come ciò non sia possibile, se non altro per motivi politici ed economici. Quando si cerca di definire cosa sia la salute in quanto tale nemmeno allora le cose appaiono tanto semplici. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha cercato da tempo di definire in modo coerente il concetto di salute. Quello formulato nel lontano 1946-48 nella sua Carta istitutiva è ancora oggi alla base della definizione ufficiale del termine, che viene affermato consistere in “…uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non soltanto di assenza di malattia…”.
Secondo l’OMS o WHO (World Health Organization), la promozione della salute andava intesa come un percorso che consentisse alle persone di esercitare un controllo attivo sui propri comportamenti per migliorare la qualità della vita. La salute doveva essere vista come una risorsa dell’esistenza e una modalità che contemplasse l’adesione a uno stile di vita positivo e ad una meta da non perseguire in modo astratto. Una visione di tipo globale e un po’ retorica che alimentava una concezione della persona intesa come un’unità psico-fisica. Un essere umano capace di interagire con l’ambiente circostante e dotato di una cognizione precisa su cosa fare e dove dirigersi. Come spesso avviene quando si cerca di dare delle definizione efficaci, l’imprecisione intrinseca al linguaggio favorisce la fuga dall’essenziale invece di permetterne la cattura. La concezione dell’OMS era alla base di un presupposto idealistico e quasi utopico relativo a una promozione e una educazione alla salute come parti di una medicina in senso generico. La salute diveniva una modalità di valorizzazione delle risorse da impiegare nel contesto sociale di riferimento attraverso un accrescimento delle capacità dell’individuo. Tuttavia sappiamo che il concetto di salute non è qualcosa di stabile e di assoluto, ma che è cambiato nel corso dei secoli adeguandosi ai diversi contesti culturali e agli ideali sociali da cui si è trovato ad essere praticato e rincorso. Nell’epoca contemporanea si è passati da un concetto di salute basata sull’assenza di malattia a un’idea di un benessere complessivo di tipo fisico, mentale e sociale. Un’ipotesi mass mediologica, piuttosto che realmente raggiungibile. Una valutazione che ha di fatto favorito lo sviluppo di una medicina diretta a promuovere lo stato di salute in un senso astratto e assoluto, indipendente da quello di malattia. Si è dichiarata un’attenzione primaria al benessere dell’individuo, impiegando un gran numero di risorse nei confronti di coloro che in altri tempi sarebbero stati definiti sani, piuttosto che verso i malati. Dopo aver sconfitto nella seconda parte del secolo XX la maggior parte delle malattie infettive grazie agli antibiotici e alle vaccinazioni, al netto dei deliri oscurantistici di chi rifiuta i vaccini, è stato elaborato un passaggio di tipo ideologico dalla tutela sanitaria contro la malattia, come era avvenuto a suo tempo per l’intervento dello stato nella lotta alla tubercolosi, a una promozione della salute in un senso idealistico, quasi si trattasse di uno stato esistenziale alternativo. Una condizione che risultava però difficile da definire in modo sicuro, perché si è finito per muoversi su di un terreno concettuale e filosofico, oltre che scientifico, alquanto scivoloso.
Riferimenti bibliografici
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