COVID-19 e gestione delle patologie respiratorie croniche: criticità e possibili soluzioni
Abstract
Sin dall’inizio della pandemia da Coronavirus Disease 19 (COVID-19), la gestione delle patologie respiratorie croniche ha subito notevoli mutazioni rispetto al passato. Il lockdown generalizzato, la necessità di distanziamento sociale, la redistribuzione del personale medico e delle professioni sanitarie per fronteggiare la pandemia hanno incrementato la difficoltà nell’accesso alle prestazioni sanitarie ordinarie. Di conseguenza, medici e pazienti hanno dovuto adottare strategie alternative per la gestione delle patologie respiratorie croniche. In questa review analizzeremo quali sono gli effetti della pandemia da COVID-19 su queste patologie e quali soluzioni è possibile adottare.
Introduzione
La pandemia da COVID-19 ha cambiato molti dei paradigmi sociali finora costituiti. L’utilizzo dei dispositivi di prevenzione individuale (DPI), il rispetto del distanziamento sociale, l’attenzione all’igiene e alla sanificazione degli ambienti sono solo alcune delle nuove abitudini introdotte a causa della diffusione del Coronavirus 2 associato a sindrome respiratoria acuta severa (SARS-CoV-2). In aggiunta, la maggior parte degli operatori sanitari è stata concentrata nei reparti COVID, mentre le attività ordinarie sono state sospese o minimizzate a causa della mancanza di ulteriore personale sanitario. Di conseguenza, anche la gestione delle patologie respiratorie croniche ha subito drastici cambiamenti per adattarsi al contesto della pandemia. In particolare, si è assistito ad una transizione verso una gestione “a distanza” della patologia respiratoria, sia per ridurre il potenziale rischio di contagio legato all’accesso del paziente nelle strutture sanitarie, sia per permettere agli operatori impegnati anche in attività non-COVID una gestione più dinamica del follow up. In quest’ottica, un primo dato fondamentale riguarda l’accesso ai dipartimenti di emergenza-urgenza. La paura per il rischio di infezione da SARS-CoV-2 gioca un ruolo importante nella riduzione degli accessi al Pronto Soccorso da parte dei pazienti affetti da patologie non-COVID. Al contrario, gli accessi per patologia respiratoria COVID-correlata sono drasticamente aumentati, soprattutto per i codici gialli e rossi 1. Come conseguenza, la maggior parte degli sforzi di gestione dell’emergenza-urgenza è stata destinata verso i pazienti con COVID-19, sguarnendo altri servizi ospedalieri essenziali. A tal proposito, modelli di gestione alternativi sono stati proposti per le patologie acute o croniche riacutizzate, al fine di ottimizzare l’assistenza ai pazienti con patologia non-COVID nel contesto pandemico globale 2. In ambito extra-ospedaliero, invece, la gestione da parte dei medici di base e degli specialisti territoriali della patologia respiratoria cronica è stata incentrata sul controllo a distanza attraverso l’utilizzo di interviste telefoniche o dei sistemi di telesalute e teleconsulto 3. In questo contesto, la valutazione della stabilità clinica e della aderenza terapeutica dei pazienti affetti da patologie respiratorie sono oggetto di numerosi studi in letteratura.
BPCO
Nei pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è stata valutata l’aderenza alla terapia inalatoria durante il periodo del lockdown attraverso delle interviste telefoniche. Sorprendentemente, l’aderenza ai trattamenti è risultata non inferiore o superiore rispetto al periodo pre-pandemico 5. Al contrario, il numero dei ricoveri dovuti alle riacutizzazioni per BPCO durante il lockdown ha subito una riduzione fino al 50% rispetto al dato del 2019 6,7, con un corrispettivo incremento della gestione domiciliare delle esacerbazioni 4,6. Attualmente, tuttavia, rimangono sconosciute le cause di questa variazione di tendenza. La paura della pandemia e la campagna di informazione sulle possibili conseguenze negative del COVID-19 nei pazienti affetti da patologie respiratorie può aver giocato un ruolo importante nel migliorare l’aderenza terapeutica 4, nonostante non ci sia ancora un consenso unanime su questo punto. Zhang et al., infatti, hanno evidenziato come oltre un quarto dei pazienti intervistati abbia riferito una sospensione della terapia inalatoria, non volendo recarsi in ospedale per il rinnovo del piano terapeutico a causa della paura legata al SARS-CoV-2 5. Inoltre, la sensibilizzazione verso le misure igieniche, l’uso dei DPI, la riduzione del traffico e dell’inquinamento ambientale, le restrizioni negli spostamenti e l’aumentata aderenza terapeutica possono aver contribuito alle riduzioni delle riacutizzazioni di BPCO 8. Nonostante questo, una quota non trascurabile di pazienti ha manifestato un peggioramento della sintomatologia respiratoria durante il lockdown malgrado la regolare assunzione della terapia prescritta. È indubbio che la gestione da remoto dei pazienti con BPCO, per quanto indispensabile “fil rouge” del rapporto medico-paziente durante la pandemia, risulti insufficiente per una gestione a medio-lungo termine di questa patologia respiratoria cronica. Difatti, l’esame obiettivo, la valutazione delle prove di funzionalità respiratoria, il training sull’utilizzo dei device per la terapia inalatoria costituiscono le fondamenta per il raggiungimento della stabilità clinica in questi pazienti. In aggiunta, la limitazione alle attività giornaliere imposta dal lockdown ha ridotto il livello di attività fisica quotidiana e potrebbe aver favorito lo sviluppo delle riacutizzazioni 9. A questi fattori vanno poi sommate le problematiche organizzative per la gestione delle terapie domiciliari che sicuramente hanno contribuito a peggiorare il quadro di gestione della patologia respiratoria cronica durante il lockdown. La difficoltà di approvvigionamento dei farmaci per la terapia inalatoria può essere stato uno dei fattori decisivi per lo sviluppo delle riacutizzazioni 10. Inoltre, l’introduzione tardiva del provvedimento di sospensione dei rinnovi dei piani terapeutici per le terapie inalatorie e per l’ossigenoterapia domiciliare ha rappresentato un ulteriore elemento di ritardo nell’ottenimento dei farmaci per la terapia domiciliare, con possibili ripercussioni sulla gestione clinica di queste patologie 11.
Infine, anche la presenza di disturbi dell’umore e del comportamento in epoca COVID-19 potrebbe aver promosso il peggioramento clinico dei pazienti con BPCO; la paura e l’ansia per il contagio rappresentano dei fattori di rischio per le riacutizzazioni in quanto potenzialmente associate al peggioramento dell’abitudine tabagica, alla sospensione volontaria della terapia inalatoria, alla riduzione dell’attività fisica e al peggioramento della qualità di vita 12.
Asma
Anche nei pazienti asmatici è stata riportata una sostanziale stabilità clinica durante il periodo del lockdown, sia nella popolazione adulta che in quella pediatrica 13,14. In particolare, si è assistito ad una riduzione del numero di esacerbazioni che non necessitavano di ospedalizzazione a partire dal Marzo 2020, con dati di più incerta interpretazione sulle riacutizzazioni associate ad una successiva visita in ambiente ospedaliero 15. Tra le possibili spiegazioni per questo fenomeno troviamo la riduzione dell’esposizione ad inalanti e ad agenti infettivi, la riduzione dell’inquinamento ambientale e la maggiore aderenza terapeutica 14. Anche gli accessi ai dipartimenti di emergenza-urgenza hanno subito un drastico calo rispetto ai dati antecedenti la pandemia 16. Al contrario, una percentuale non trascurabile di pazienti ha riferito almeno un episodio di esacerbazione durante il periodo in esame; nella maggior parte dei casi la paura del contagio e la capacità di autogestione dei pazienti hanno permesso la gestione domiciliare della riacutizzazione 14. Un dato interessante riguarda i dispositivi utilizzati per la terapia inalatoria. In considerazione del rischio di trasmissione del SARS-CoV-2 via aerosol 17, sono state prodotte diverse raccomandazioni a sfavore sull’utilizzo dei sistemi di nebulizzazione 18,19. Come conseguenza, tali dispositivi sono stati progressivamente sostituiti con degli inalatori dosati pressurizzati (pMDI), spesso associati all’uso di distanziatore 13.
Nell’ambito della popolazione di pazienti affetti da asma bronchiale, una speciale menzione meritano coloro i quali soffrono di asma grave in trattamento con corticosteroidi o con farmaci biologici. Per quanto concerne l’utilizzo dei corticosteroidi inalatori e sistemici, attualmente non vi sono studi che dimostrino un incremento nel rischio di infezione da SARS-CoV-2 associato a queste terapie 20. Inoltre, nonostante lo scarso numero di evidenze scientifiche sull’argomento, alcuni studi in vitro suggerirebbero un potenziale ruolo protettivo dei corticosteroidi inalatori nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2 21,22. Per tali motivi le attuali linee guida raccomandano la prosecuzione delle terapie con corticosteroidi inalatori, somministrando la minor dose possibile di cortisonici sistemici per garantire un appropriato controllo dei sintomi e ridurre il rischio di esacerbazioni 18. Un ragionamento analogo può essere fatto riguardo l’utilizzo dei farmaci biologici. Considerando i primi dati disponibili in letteratura, l’utilizzo delle terapie biologiche nell’asma grave non risulterebbe associato ad un incremento del rischio di evoluzione sfavorevole della malattia da COVID-19 23,24. Al contrario, la sospensione delle terapie con anticorpi monoclonali non porterebbe solo ad un maggiore utilizzo di corticosteroidi orali ma aumenterebbe anche il rischio di riacutizzazioni per scarso controllo della patologia asmatica 25. Per queste ragioni viene attualmente indicata la prosecuzione nell’utilizzo di questi farmaci 18,25, in attesa di ulteriori studi che certifichino il preciso ruolo dei farmaci biologici nella patologia asmatica durante la pandemia da SARS-CoV-2.
Disturbi respiratori del sonno
Attualmente i dati sulla gestione dei disturbi respiratori del sonno durante la pandemia da COVID-19 sono scarsi. Attias et al., in una valutazione preliminare di oltre 7.000 pazienti con Sindrome da Apnee Ostruttive del Sonno (OSAS), hanno identificato una aumentata aderenza alla terapia con pressione positiva continua (CPAP) ed una riduzione del numero di pazienti a “bassa aderenza”, definiti come coloro i quali utilizzano la CPAP per un tempo inferiore ai 10 minuti per notte. L’aumentata consapevolezza dei rischi derivanti dallo scarso utilizzo della CPAP terapia e l’incremento delle ore di sonno disponibili come conseguenza del lockdown, sono state le possibili spiegazioni proposte per giustificare questi risultati 26. Risultati simili sono stati evidenziati da Thropy e colleghi nella città di New York e da Pepin et al. in Francia, dove si è registrata una aderenza alla CPAP terapia pari rispettivamente all’88% e al 95,6% della popolazione studiata 27,28. Batool-Anwar et al., al contrario, non riportano differenze nelle ore di utilizzo della CPAP nella loro coorte di studio; viene rilevato, invece, un incremento dei pazienti con insonnia, nonostante una durata del sonno notturno superiore ai dati dell’epoca pre-COVID 29. È noto che l’insonnia possa rappresentare un fattore di scarsa aderenza alla CPAP terapia, soprattutto qualora si presenti come conseguenza di un evento stressante o ad alto impatto emotivo 30. Tuttavia, gli studi sinora condotti non evidenziano una riduzione nell’uso della CPAP nonostante il possibile stress legato alla pandemia. Infine, dall’analisi dello European Sleep Apnoea Database (ESADA) sono emersi dati rilevanti sul cambiamento nella gestione della patologia sonno-correlata 31. Come prevedibile, i dati sui primi 2 mesi di pandemia da COVID-19 hanno registrato una riduzione pari a circa l’80% delle prestazioni dei centri per lo studio dei disturbi respiratori del sonno inclusi nel database. In aggiunta, gli esami poligrafici, polisonnografici e le titolazioni in laboratorio con PAP terapia sono stati sospesi o gestiti da remoto. Risultati simili sono stati osservati per quanto concerne le visite di follow up, gestite per oltre il 75% dei casi attraverso interviste telefoniche o videoconsulti.
Patologie neuromuscolari
La complessa gestione dei pazienti con patologie neuromuscolari rappresenta uno dei maggiori ostacoli da superare in tempo di pandemia da COVID-19. Le attuali raccomandazioni disponibili, pur focalizzandosi su disturbi neuromuscolari differenti, mettono tutte in evidenza i seguenti punti 32-37:
- utilizzo dei DPI da parte dei pazienti, dei familiari conviventi e dei caregiver;
- mantenimento del corretto distanziamento sociale, limitando quanto più possibile l’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico, i luoghi di aggregazione ed ogni possibile forma di contatto interpersonale non indispensabile;
- adozione di regimi lavorativi in smart working;
- prosecuzione delle terapie in regime domiciliare;
- astensione dagli accessi presso i presidi ospedalieri ed ambulatoriali, se non in situazioni di estrema necessità. Eventuale allestimento di percorsi dedicati a situazioni di emergenza/urgenza dei pazienti con disturbi neuromuscolari o di hotline dedicate per una tempestiva comunicazione con i centri specialistici di riferimento;
- utilizzo di supporti psicologici qualora necessari;
- mantenimento di un adeguato livello di attività fisica, con esecuzione di specifici programmi di riabilitazione motoria e respiratoria in regime domiciliare.
In riferimento alle terapie per i pazienti con disturbi neuromuscolari, bisogna sottolineare come spesso si rendano necessari trattamenti da somministrare per via endovenosa (immunoglobuline, nursineren, spinrazam, rituximab, etc.). Nonostante ciò, le raccomandazioni suggeriscono la prosecuzione di tali trattamenti in regime domiciliare, affidandosi a personale infermieristico dedicato. Un discorso analogo riguarda la riabilitazione in questi pazienti. I programmi di riabilitazione motoria e respiratoria non dovrebbero essere sospesi, bensì proseguiti in associazione ad una regolare attività fisica. Malgrado queste raccomandazioni, i dati sullo svolgimento di una routinaria attività motoria durante il lockdown dimostrano una marcata riduzione sia nei soggetti sani che in quelli affetti da malattie neuromuscolari 38. Per questo motivo, un attento controllo da parte del personale medico e fisioterapico è necessario per permettere il completamento dei programmi riabilitativi in questi pazienti così fragili.
Come già sottolineato per altre patologie croniche, anche nel caso delle malattie neuromuscolari non è sempre stato possibile garantire il regolare follow up specialistico ambulatoriale e lo svolgimento degli esami di funzionalità respiratoria 32,39. Per sopperire a tali mancanze, alcuni centri hanno implementato o potenziato i sistemi di consulto telefonico e di teleconsulto, non solo al fine di consentire un controllo periodico per questi pazienti, ma anche per ridurre la sensazione di distacco ed abbandono percepita in relazione al lockdown 40. Anche la gestione degli approvvigionamenti dei materiali terapeutici e dei presidi assistenziali ha rappresentato un punto critico durante la pandemia. Come per le patologie respiratorie ostruttive 10, così anche nei pazienti affetti da malattie neuromuscolari si è assistito alla difficoltà nel reperire le apparecchiature ed i presidi necessari (ventilatori, sedie a rotelle, materassi anti-decubito, etc.) alla corretta gestione del paziente con disturbo neuromuscolare 32. Un’eccezione è rappresentata dai presidi ospedalieri pediatrici specializzati nella gestione delle patologie neuromuscolari. Mauri et al. hanno evidenziato come in Italia, a fronte di una generale riduzione delle prestazioni sanitarie e dei servizi offerti a questi pazienti, i centri pediatrici abbiano mantenuto un maggiore regime di attività ospedaliera, vista la difficoltà a garantire l’assistenza domiciliare in questa fascia di popolazione 39.
Patologie interstiziali diffuse (PID)
Nonostante i pazienti affetti da PID rappresentino una popolazione particolarmente fragile nei confronti della malattia da COVID-19 41, ad oggi i dati sulla gestione di queste patologie durante la pandemia sono scarsi. Per questo motivo, sono state fornite alcune raccomandazioni sulla corretta gestione dei pazienti affetti da queste patologie durante la pandemia da SARS-CoV-2. Oltre alle raccomandazioni generali già precedentemente citate riguardo il distanziamento sociale, la sospensione delle visite e degli esami strumentali non urgenti, la gestione dell’ossigenoterapia domiciliare e i programmi riabilitativi a distanza, vengono fornite alcune indicazioni su problematiche specifiche di queste patologie 42,43. Uno dei punti maggiormente discussi riguarda l’utilizzo delle terapie immunosoppressive ed antifibrotiche (pirfenidone, nintedanib). La paura per la possibile predisposizione dei pazienti immunodepressi all’infezione da SARS-CoV-2 ha posto in discussione l’utilizzo di questi farmaci sia nella fibrosi polmonare idiopatica (IPF) che in molte patologie interstiziali associate a malattie autoimmuni. Tuttavia, attualmente, non sono presenti dati che confermino un potenziale effetto negativo di questi farmaci nell’infezione da SARS-CoV-2 o nell’evoluzione della malattia da COVID-19 44. Inoltre Guiot et al., in uno studio monocentrico descrittivo eseguito su 627 pazienti affetti da PID, hanno evidenziato come solo 4 pazienti siano stati sottoposti ad ospedalizzazione per malattia da COVID-19. Questo risultato è stato giustificato tenendo contro del potenziale effetto protettivo della terapia immunosoppressiva nei confronti del danno infiammatorio indotto dal SARS-CoV-2 45. Per questi motivi, la sospensione del trattamento con immunosoppressori e farmaci antifibrotici non è attualmente indicata, salvo alterazioni sostanziali del quadro clinico o del profilo di rischio infettivo di questi pazienti 46. Inoltre, qualora sia necessario intraprendere una terapia immunosoppressiva di nuovo corso, dovrebbe essere preferito l’utilizzo di corticosteroidi per via orale, limitando l’utilizzo di altri farmaci (anche per via endovenosa) per quadri clinici più complessi e ad evoluzione sfavorevole 43. Un altro possibile problema che può presentarsi per i pazienti affetti da PID riguarda la diagnosi differenziale rispetto ad una polmonite da SARS-CoV-2. La sintomatologia clinica e le alterazioni radiologiche possono spesso essere simili nelle due patologie, portando a possibili errori o ritardi diagnostici 44. Tuttavia, la modalità di insorgenza dei segni e dei sintomi clinici risulta spesso cruciale per distinguere queste patologie. Infatti, benché a volte possono esserci esacerbazioni acute di patologie interstiziali polmonari già note, la presenza di una nuova sintomatologia respiratoria deve sempre porre il sospetto di malattia da COVID-19. Pertanto, anche in tempo di pandemia, la comunicazione medico-paziente risulta fondamentale non solo nel follow up della patologia ma soprattutto all’insorgenza di sintomi respiratori acuti, al fine di individuare precocemente pazienti a rischio e di discriminare il peggioramento di una patologia respiratoria cronica da una nuova infezione da SARS-CoV-2.
Possibili soluzioni
In considerazione del rischio a cui i pazienti con malattie respiratorie croniche sono esposti a causa della pandemia da SARS-CoV-2, sono state fornite specifiche indicazioni sulla gestione di tali patologie in epoca COVID-19. Come mostrato in Tabella I, la prosecuzione delle terapie in corso ha rappresentato un elemento comune nella gestione delle varie patologie respiratorie croniche. Nella maggioranza dei casi è stata incoraggiata la gestione domiciliare di eventuali peggioramenti clinici, con indicazione all’accesso ai servizi ospedalieri per i pazienti con importante declino della sintomatologia respiratoria 47,48. Inoltre, grande risalto è stato dato all’automonitoraggio dei sintomi e all’autosomministrazione dei farmaci biologici nei pazienti affetti da asma ed asma grave 18. Nel caso di patologie con maggiore compromissione nello svolgimento delle attività quotidiane (malattie neuromuscolari), viene indicato il supporto del minor numero possibile di caregiver e l’utilizzo di specifici accorgimenti per limitare la potenziale diffusione del SARS-CoV-2 (utilizzo di DPI, filtri antivirali sui circuiti di ventilazione, etc.), soprattutto in considerazione della terapia ventilatoria necessaria per molti di questi pazienti. Nei pazienti affetti da PID, invece, oltre alla continuazione delle terapie in atto, viene indicata la prosecuzione dei programmi riabilitativi a distanza e delle valutazioni pre-trapianto in centri di riferimento 42,43,46.
Considerando le problematiche citate in precedenza per la gestione delle patologie respiratorie croniche, si è reso necessario un cambiamento radicale nell’approccio diagnostico-terapeutico per questi pazienti. Le visite “in presenza” sono state progressivamente sostituite da visite in televisita 49 (Tab. II), seppur con effetti molto variabili in relazione a molteplici fattori. Se infatti è indubbio che tale modalità di visita, grazie alla diffusione potenzialmente capillare, possa garantire una maggiore equità nella distribuzione dei servizi sanitari alla popolazione ed una riduzione dei costi 50, è altrettanto vero che la realizzazione di questo scenario risulta frequentemente disattesa. Ancora oggi, esistono grandi differenze territoriali nella distribuzione dei fondi per le apparecchiature informatiche e per la diffusione delle reti internet. Peraltro, la scarsa conoscenza nella popolazione generale dei servizi offerti tramite l’utilizzo delle tecnologie digitali crea una barriera di diffidenza, portando i pazienti a scegliere lunghe liste di attesa per delle visite in presenza al posto dei consulti tramite piattaforme di televisita 51. Rimane tuttavia di grande interesse il ruolo della telemedicina nella gestione delle patologie respiratorie croniche. Nei pazienti affetti da asma e BPCO, gli strumenti di telemedicina hanno dimostrato efficacia nel migliorare l’aderenza terapeutica e la capacità di gestione dei sintomi 52, con un conseguente impatto positivo sulla qualità di vita 53. Per quanto concerne il telemonitoraggio, invece, rimangono molte perplessità circa il suo ruolo nel ridurre il tasso di riacutizzazioni e la mortalità in questi pazienti 54. Inoltre, i dati sul miglioramento della qualità di vita 53,55, sulla riduzione dei ricoveri ospedalieri e sugli accessi ai dipartimenti di emergenza-urgenza 56-58 sono discordanti e non universalmente accettati. Nonostante ciò, la possibilità di monitorare in maniera non invasiva dati clinici dei pazienti domiciliari tramite il telemonitoraggio rappresenta un tema di stretta attualità. Così come nei pazienti con patologie respiratorie ostruttive 59, anche nella gestione delle malattie neuromuscolari e nei disturbi respiratori del sonno vi è un uso sempre crescente del telemonitoraggio e dei sistemi di telesalute e televisita. Nei pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), l’uso di apparecchi domiciliari per la valutazione della capacità vitale forzata (FVC) e della massima pressione inspiratoria (MIP) ha mostrato buona correlazione con le rilevazioni eseguite in regime ambulatoriale. In particolare, i valori di sensibilità e specificità nel predire un FVC < 50% sono risultati incoraggianti, seppur su un campione esiguo di pazienti. Teoricamente, con l’uso di queste apparecchiature domiciliari, sarebbe possibile impostare un follow up più frequente, con maggiori chance di individuare precocemente i pazienti con una progressione di malattia più precoce 60. Anche lo studio delle attività quotidiane è considerato parte integrante nella valutazione di questi pazienti. Tra i mezzi proposti per questo scopo troviamo apparecchi in grado di registrare durata e caratteristiche del cammino 61, applicazioni per ripotare informazioni sulla forza muscolare (spinale e bulbare), sullo stato di nutrizione, sulle problematiche respiratorie, sul tono ed il timbro di voce nonché su eventuali alterazioni della sfera psichica ed emotiva 62,63. A questo proposito, anche l’utilizzo dei social media, con la creazione di gruppi di supporto virtuali, si propone di ridurre la distanza medico-paziente, creando una rete sociale e di sostegno per questi pazienti così fragili 61. Come nelle altre patologie, anche nei pazienti affetti da OSAS la telemedicina trova svariati campi di azione. In particolare, ci sono tre momenti fondamentali in cui questi sistemi possono rivelarsi utili:
- Diagnosi: durante la pandemia, la polisonnografia eseguita in laboratori del sonno dedicati ha lasciato sempre maggiore spazio agli studi eseguiti in regime domiciliare. Infatti, il monitoraggio cardiorespiratorio notturno e la polisonnografia domiciliare hanno mostrato risultati paragonabili a quelli degli stessi esami condotti in strutture ospedaliere 64,65. Coma-Del-Corral et al., enfatizzando questo concetto, hanno dimostrato come sia possibile creare delle unità virtuali per lo studio dei disturbi del sonno, prescindendo dalla collocazione geografica del paziente 66.
- Trattamento: la televisita ed i sistemi di telesalute trovano applicazione sia nella titolazione che nel nursing e nell’educazione all’utilizzo della CPAP. Grazie a specifiche piattaforme web, è possibile non solo monitorare i dati della titolazione, ma anche modificare i parametri della CPAP, con risultati migliori per il paziente. Tramite la televisita, inoltre, è possibile istruire il paziente all’uso più corretto della CPAP e di tutte le sue componenti, garantendogli non solo una maggiore efficacia terapeutica, ma anche l’apprendimento nella gestione domiciliare delle apparecchiature. Quest’ultimo fattore è spesso utilizzato come punto di partenza per incrementare l’aderenza alla PAP terapia.
- Follow up: l’utilizzo della televisita in associazione ad altri strumenti di supporto 67-69 (siti web, sistemi di feedback, etc.) sembra garantire una maggiore compliance a breve e medio termine 70-73. Con questi sistemi, inoltre, è possibile individuare precocemente i pazienti con maggiori problematiche di adattamento, intervenendo tempestivamente per ottimizzare la terapia con CPAP 74.
Conclusioni
In conclusione, la pandemia da COVID-19 può diventare un catalizzatore per l’evoluzione della medicina, dove i fabbisogni del paziente diventano il centro attorno al quale far ruotare gli sforzi della pneumologia. Così facendo, il rapporto di fiducia e la coesione di intenti tra medico e paziente ne risultano rafforzati, con un conseguente incremento della aderenza terapeutica ed un’ottimizzazione dei risultati clinici.
Figure e tabelle
BPCO e Asma | Disturbi respiratori del sonno | Malattie neuromuscolari | Patologie interstiziali diffuse | |
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Gestione della patologia respiratoria cronica durante la pandemia da SARS-CoV-2 | I pazienti che presentino un peggioramento dei sintomi respiratori e/o febbre devono essere sottoposti a test per ricerca SARS-CoV-2 Prosecuzione terapie in corso Evitare uso di nebulizzatori Evitare test di funzionalità respiratoria non strettamente necessari Minimizzare contatti interpersonali; utilizzare sistemi di telecomunicazione per mantere relazioni sociali Evitare trigger per riacutizzazioni (esposizione ad inalanti, fumo, etc.) Re-training periodico sulla tecnica inalatoria Utilizzo di strumenti di automonitoraggio (Peak Flow Meter, diari giornalieri dei sintomi, etc.) Considerare, qualora possibile, l’autosomministrazione dei farmaci biologici | Prosecuzione delle poligrafie, delle polisonnografie e delle titolazioni in laboratorio solo in caso di minimo rischio di trasmissione del SARS-CoV-2 in comunità o in caso di pazienti ad alto rischio (in relazione al giudizio clinico) Le procedure non urgenti dovrebbero essere posticipate Minimizzare visite in presenza; preferire telemedicina Utilizzo DPI da parte dei caregiver e del personale sanitario per rischio di aerosolizzazione legato alla terapia con CPAP Utilizzo di filtri antivirali sul circuito di ventilazione per minimizzare dispersione di eventuali particelle virali | Minimizzare contatti interpersonali; utilizzare sistemi di telecomunicazione per mantere relazioni sociali Limitare il numero di caregiver Utilizzo DPI da parte dei caregiver e del personale sanitario per rischio di aerosolizzazione legato alla terapia ventilatoria Prosecuzione terapie in corso Considerare tele-riabilitazione o programmi di riabilitazione domiciliare Garantire supporto psicologico tramite sistemi di telemedicina Minimizzare l’accesso alle strutture sanitarie Utilizzo di filtri antivirali sul circuito di ventilazione per minimizzare dispersione di eventuali particelle virali | Minimizzare visite in presenza; preferire telemedicina Discussioni team multidisciplinari tramite teleconsulto Le visite e le procedure urgenti dovrebbero essere posticipate Prosecuzione terapie in corso (pirfenidone, nintedanib, terapie immunosoppressive, ossigenoterapia domiciliare) In caso di necessità per nuova terapia immunosoppressiva, utilizzare prednisolone al dosaggio di 20 mg/die o inferiore. Utilizzare altri immunosoppressori solo come seconda scelta Considerare tele-riabilitazione o programmi di riabilitazione domiciliare Proseguire valutazioni per trapianto polmonare nei centri di riferimento secondo i protocolli vigenti |
Definizione | |
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Telesalute | L’insieme delle informazioni mediche scambiate dagli operatori sanitari di centri differenti attraverso l’uso delle apparecchiature elettroniche al fine di migliorare la salute del paziente 76 |
Teleconsulto | Valutazione di un particolare caso clinico tra medici situati in postazioni remote tra loro attraverso l’analisi del maggior numero di informazioni a loro disposizione, anche attraverso l’utilizzo della video conferenza, in relazione allo specifico “know how” di ciascun professionista 77 |
Telemedicina | Erogazione di prestazioni sanitarie tramite l’utilizzo di tecnologie di informazione e comunicazione, ove la distanza risulti un fattore critico per lo scambio di informazioni utili alla diagnosi, al trattamento, alla prevenzione ed all’educazione del paziente da parte degli operatori sanitari 78 |
Telemonitoraggio | L’utilizzo di sistemi audio, video o di altre apparecchiature elettroniche per monitorare lo stato di salute di un paziente a distanza 79 |
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