Evidenza e compassione - Seconda parte
Abstract
La nozione di Evidenza è una delle più ambigue che la filosofia e il pensiero umano abbiano mai potuto contemplare. Definire l’evidenza vuol dire per prima cosa essere sicuri che questa idea contenga un significato affidabile. Tutto il mondo della natura segue invece leggi probabilistiche, legate alla presenza della Seconda Legge della Termodinamica. L’ideologia della fine del XIX secolo contemplava una costruzione del percorso di conoscenza e di progresso di tipo lineare, legato a mete certe da raggiungere, un progettare e un fare dello scienziato che consisteva nel frammentare ogni problema in tanti quesiti più semplici i quali fossero a loro volta risolvibili. L’accrescere la conoscenza su di un determinato fenomeno avrebbe portato inevitabilmente alla comprensione dello stesso. Era come se lo studioso della natura si fosse trovato di fronte a un libro fatto da pagine che recavano un unico quesito cui rispondere, ottenere la risposta a una di quelle pagine avrebbe consegnato il lasciapassare per poter leggere la successiva. Il versante opposto del termine di Evidenza finì con l’essere rappresentato, nelle attività scientifiche, dal sentimento della Compassione. Tuttavia anche questa disposizione dell’animo umano rivelò delle ambiguità di significato e di obiettivi dipendenti da chi aveva formulato e praticato la Compassione stessa.
Io sono consapevole di un mondo che si estende infinitamente nello spazio e che è stato soggetto ad un infinito divenire nel tempo. Esserne consapevole significa anzitutto che io trovo il mondo immediatamente e visivamente dinanzi a me, che lo esperisco. Grazie alle diverse modalità della percezione sensibile, al vedere, al toccare, all’udire, ecc., le cose corporee sono in una certa ripartizione spaziale qui per me, mi sono alla mano, in senso letterale e figurato, sia che io presti o non presti loro attenzione, sia che io mi occupi o no di esse nel pensiero, nel sentimento, nella volontà... Ma non è indispensabile che gli oggetti si trovino precisamente nel mio campo di percezione. Infatti, insieme con gli oggetti percepiti, sono «qui per me» anche oggetti reali determinati, più o meno noti, senza che siano percepiti e visivamente presenti. Io posso lasciare vagare la mia attenzione dalla scrivania, che vedo ed osservo, alle parti della mia camera che stanno alle mie spalle, sino alla veranda, al giardino, ai bambini che si trovano sotto la pergola, ecc., ossia verso tutti quegli oggetti che «so» essere qua e là nelle mie vicinanze. [...]
Così ad esempio ogni suono in sé e per sé ha un’essenza e anzitutto l’essenza di suono in generale, o meglio di acustico in generale, dove questa essenza è da intendere come un momento da cogliere intuitivamente nel suono individuale (considerato singolarmente o confrontato con altri, per quel che ha di «comune»). Tutto ciò che appartiene all’essenza di un individuo può appartenere anche a un altro individuo.
Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica 1
Articolo
In un contesto di costruzione del sapere scientifico, tra XIX e XX secolo, ricco di importanti aspettative, la formazione della Conoscenza medica avveniva attraverso uno strumentario di tipo puramente induttivo che non ammetteva repliche oppure libere interpretazioni del fatto. Il punto cruciale nello stabilirsi di questo processo, che si verificò nei suoi tratti principali tra il 1870 e il 1924, andrebbe trovato nella poca chiarezza che venne fatta in ambito medico sulla differenza tra i termini della logica di base che rispondono ai nomi di induzione, deduzione e abduzione e che sono alla base della formazione della conoscenza umana 2.
Il procedimento scientifico della seconda metà del XIX secolo, nato dopo le esperienze di grandi figure come Louis Pasteur e Rudolf Virchow e prima ancora quello rivoluzionario elaborato nel XVII secolo da Francesco Bacone, Galileo e Newton, era diventato di tipo induttivo, vale a dire un modo di operare che dichiarava come in seguito alle osservazioni effettuate si potesse ricavare una verità dei fatti. Nel procedimento deduttivo invece gli indizi accumulati in modo induttivo permettevano di formulare una teoria di carattere generale. Queste due modalità logiche, l’induzione e la deduzione, non erano sufficienti nella pratica medica e nel contatto diretto con l’ammalato in cui era necessario applicare anche una valutazione di tipo abduttivo. Quest’ultima portava a formulare un’ipotesi diagnostica legata all’osservazione dei sintomi e dei segni presentati dal paziente senza avere una certezza assoluta a priori dei risultati attesi e della diagnosi. L’abduzione era la base della clinica al letto del paziente, ma venne sempre di più ridimensionata a scapito delle altre due modalità logiche, nonostante proprio sulla base abduttiva si decidessero gli esami e le terapie.
La modalità di ragionamento abduttivo posseduta dalle grandi figure di clinici della fine del XIX secolo fu costretta progressivamente a scontrarsi con le linee guida di tipo costrittivo che sono attualmente in vigore e vengono rigidamente applicate. Si trattava di direttive basate sulla logica aristotelica binaria che identificava con nettezza il bianco o il nero, oppure il tutto o il nulla, sostenuta da una serie innumerevole di ricerche induttive che sembravano costituire un muro invalicabile per qualsiasi forma di critica. Un problema importante di cui tenere conto derivava dal fatto che in campo medico esisteva un piano di lettura tecnico dei problemi, dove per tecnico s’intende la capacità di arrivare al risultato migliore per il paziente rispetto all’uso delle risorse disponibili, mentre occorreva tenere conto anche di un piano di lettura morale ed etico e non sempre questi due aspetti coincidevano (Fig. 1).
Il ragionamento abduttivo, enfatizzato dal filosofo statunitense Charles Sanders Peirce (1839-1914) (Fig. 2) e che era alla base delle decisioni mediche, fu impoverito progressivamente durante il XX secolo, mentre tutto il sapere del medico venne irreggimentato secondo dei passaggi logici rigidamente induttivi. La Scienza come sapere di tipo autorevole dovette misurarsi con la Tecnica, una possibilità di tipo concreto di operare determinate scelte per raggiungere alcuni risultati precisi. La tecnica forniva degli esiti che non sempre rispondevano a dei criteri rivolti al perseguimento del maggior bene possibile per il numero più ampio di individui. Nella seconda metà del XIX secolo s’iniziò a pensare che tutta la medicina fosse legata a dei fattori di tipo monocausale nella genesi delle diverse malattie. Il modello conoscitivo venne legato a questa visione epistemologica improntata a un ottimismo esistenziale ottocentesco. Non esistendo una ricerca scientifica veramente indipendente dagli interessi economici e di potere, si affermò e si continuò a utilizzare un modello logico di tipo binario, sostanzialmente primitivo e anticiclico 3,4.
Esisteva la salute oppure la malattia, due parole che vennero ridotte al significato di veri e propri slogan. Tuttavia il concetto stesso di salute appariva difficile da definire perché vi potevano essere livelli intermedi nella condizione esistenziale dell’individuo dotati tuttavia di una qualità di vita soddisfacente. Questa visione neopositivistica era, all’inizio del secolo XX, parzialmente contrastata dall’umiltà di riconoscere i limiti della scienza medica, dall’attenzione all’unicità della persona, dalla necessità di acquisire un metodo di lavoro artigianale che solo un maestro avrebbe potuto insegnare. Ascoltare i toni e i soffi di un cuore, il respiro del torace, palpare un addome, erano tutte operazioni impossibili da standardizzare, manovre di contatto tra i corpi umani che racchiudevano e racchiudono in sé qualcosa di artistico, un quid che soltanto attraverso l’esempio e l’esperienza si poteva apprendere. Un modo di conoscenza per cui alcuni sono dotati e altri no, per decisione imperscrutabile del caso o, per chi desidera crederci, del destino.
La Grande Guerra del 1914-18 e l’affermazione definitiva della prevalenza della tecnica sulla conoscenza scientifica spazzarono via i residui dell’idealismo. Contava solo la mitragliatrice che fosse in grado di sparare il maggior numero di proiettili al minuto e il cannone in grado di colpire un obiettivo il più lontano possibile. Per ottenere questi risultati ogni tipo di interpretazione probabilistica del mondo divenne superflua. Si prese in considerazione la scelta tra due ipotesi e si agì tra quelle soltanto. Una nuova divinità prese pertanto con sussiego il proprio posto nel Pantheon degli Dei che assicuravano gli uomini di essersi incamminati sulla strada giusta da seguire e il suo nome divenne quello di Evidenza. Questa non ammetteva repliche o divagazioni, legava il proprio essere alla presenza di un altro da sé da emarginare, mettere magari in ridicolo e poi distruggere in una forma di competizione scientifica e sociale a cui le Dittature che germogliarono all’inizio del secolo XX si prestarono di buona lena per rafforzare il proprio consenso 5,6.
La prima vittima di questo stato di cose fu il cambiamento del rapporto tra medico e paziente. Non sarà più la mano e l’occhio del medico a indagare il segno e il sintomo del corpo umano, ma questo inizierà ad essere conosciuto in modo mediato dagli strumenti tecnologici che verranno applicati al corpo. Se l’uomo era definibile e studiabile come una complessa macchina di carne e di sangue perché non scrutarlo allora attraverso altre macchine, naturalmente sempre più perfezionate e affidabili? Le radiografie, l’elettrocardiogramma, gli esami del sangue costituiranno dei cardini conoscitivi obiettivi a cui si dovrà prestare attenzione anche e contro ogni apparenza clinica legata a delle impressioni umane fallibili. Un’evidenza che potrà essere considerata fonte di errori se non sempre e completamente riconducibile alla statistica, o meglio a quanto indicato da una macchina calcolatrice. Si uccise in questo modo la nobile arte della clinica, e si trattò di una morte annunciata, perché il sapere medico venne adattato in una disciplina di più semplice acquisizione, disponibile per utilizzatori molteplici e medici cui bastava seguire dettami frammentati senza mostrare troppa genialità. La divisione specialistica delle competenze portò a una mancanza di responsabilità complessiva sui corpi dei malati. Questa rivoluzione tecnologica comportò anche l’introduzione di nuovi strumenti comunicativi. Il rapporto tra medico e paziente si trasformò attraverso la nascita di una diversa consapevolezza da parte di quest’ultimo. Le persone della borghesia europea leggevano con attenzione giornali e libri ricchi di materiale illustrativo sulle conquiste scientifiche 7.
Non erano più un destinatario di atti medici imperscrutabili, generati da figure autorevoli e circondate da una fama di venerazione quasi magica come era avvenuto per i medici del passato. Stava nascendo una categoria di soggetti consumatori coscienti del prodotto salute i quali, sulla scorta dell’imperante visione razionale del mondo, ritenevano che ogni fenomeno naturale potesse essere riducibile a essere compreso dalla ragione umana. Le malattie avrebbero seguito questa strada e si sarebbero sottomesse al potere investigativo dell’uomo, un medico curante e allo stesso tempo uno scienziato che iniziava a essere giudicato secondo la propria professionalità utilizzando dei parametri considerati come obiettivi. Questa qualità che il nuovo professionista doveva dimostrare si traduceva nel numero di morti evitabili e di successi terapeutici ottenuti cui assisteva un pubblico soddisfatto, ormai di tipo consapevole e costituito da molteplici consumatori informati.
Figure e tabelle
Riferimenti bibliografici
- Husserl E. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. II Volume. Einaudi: Torino; 2002.
- Perozziello FE. Storia del pensiero medico, dal positivismo al circolo di Vienna. III Volume. Mattioli: Fidenza (Parma).
- Barone F. Il neopositivismo logico. Laterza: Bari; 1977.
- Geymonat L. Storia del pensiero filosofico e scientifico. Garzanti: Milano; 1970.
- Rossi P. Le origini della scienza moderna in Europa. Laterza: Roma; 1998.
- Federspil G, Vettor R. La “evidence-based medicine”: una riflessione critica sul concetto di evidenza in medicina. Ital Heart J Suppl. 2001;2.
- Premuda L. Metodo e conoscenza da Ippocrate ai nostri giorni. CEDAM: Padova; 1971.
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