La pneumoconiosi dell’odontotecnico
Abstract
Le pneumoconiosi rientrano nella classificazione delle pneumopatie infiltrative diffuse ad eziologia nota provocate dall’inalazione cronica di polveri sottili organiche e inorganiche per motivi professionali. Tali sostanze sono in grado di determinare in maniera lenta e graduale danni polmonari, talvolta permanenti, e possono mimare altre patologie respiratorie con quadro clinico-radiologico sovrapponibile. Il nostro case report mostra un giovane paziente ucraino con un esordio clinico graduale, ma ingravescente ed un quadro radiologico compatibile con pneumopatia infiltrativa diffusa, in particolare con sarcoidosi. Un’attenta anamnesi lavorativa, alcune peculiarità del quadro radiologico non perfettamente compatibili con granulomatosi sarcoidea, nonché il reperto istologico, ci facevano porre diagnosi di berilliosi in tecnico odontoiatrico. Il paziente confessava infatti l’esposizione da diversi anni a polveri sottili legate alla lavorazione di protesi dentarie, in assenza di sufficienti presidi di sicurezza.
Caso clinico
Paziente V.Y., 43 anni, di origine ucraina, non fumatore, non atopico, giungeva alla nostra osservazione, trasferito dal Pronto Soccorso, lamentando da alcuni mesi dispnea ingravescente e, da circa una settimana, febbricola persistente e sudorazione. Il paziente riferiva inoltre un recente episodio di emoftoe. Dall’anamnesi patologica remota si evinceva esclusivamente ipertensione arteriosa in trattamento farmacologico. Gli esami ematochimici risultavano nella norma in assenza di rialzo degli indici di flogosi (10,4x103 leucociti/uL, proteina C reattiva pari a 0,5 mg/dL). L’emogasanalisi arteriosa mostrava una lieve alcalosi respiratoria con tensione dell’ossigeno nella norma (pH 7,46, PaCO2 34 mmHg, PaO2 82 mmHg, HCO3- (c) 22 mmol/L). Alla fibrolaringoscopia lo specialista otorinolaringoiatra non evidenziava nulla di organico a carico della laringe e dell’ipofaringe con normale motilità cordale e assenza di tracce ematiche o fonti di sanguinamento evidenti. Il paziente veniva sottoposto pertanto ad una prima valutazione radiologica con TC torace ad alta risoluzione (HRCT) che mostrava multipli micronoduli distribuiti nell’interstizio peribroncovascolare e nei setti interlobulari, diffusi in entrambi i polmoni, prevalentemente a carico dei lobi superiori e del lobo medio (Fig. 1); alcune bronchiolectasie al lobo superiore di destra; rare bolle enfisematose e multiple tumefazioni linfonodali con pareti parzialmente calcifiche a sede ilo-mediastinica (diametro max 15 mm) (Fig. 2). Il radiologo poneva pertanto l’ipotesi diagnostica di sarcoidosi come quella apparentemente più plausibile.
Si praticava intradermoreazione secondo Mantoux, ponendosi il quadro in diagnosi differenziale con forme infettive nonché tubercolari, ma la lettura risultava negativa a 48-72 ore. In assenza di emoftoe da alcuni giorni, si praticava esame spirometrico che evidenziava un deficit ventilatorio di tipo ostruttivo di grado lieve. Si decideva pertanto di eseguire videofibrobroncoscopia che evidenziava una mucosa lievemente congesta ed iperemica con scarse secrezioni a carattere sieroso in assenza di fonti di sanguinamento in atto o pregresse, e si procedeva all’esecuzione di broncolavaggio (BL) per esame microbiologico compresi flora aspecifica e ricerca Bacillo di Koch (BK), lavaggio bronco-alveolare (BAL) dal segmentario ventrale del lobo superiore destro per studio immunologico del polmone profondo, biopsie polmonari transbronchiali del lobo superiore del polmone di destra per esame istologico. I risultati erano i seguenti: il BAL mostrava numerosi macrofagi positivi alla colorazione Oil Red O (>10%) per inclusi lipidici intracitoplasmatici; incremento della quota linfocitaria con inversione del rapporto CD4/CD8. La ricerca del BK risultava negativa, mentre l’esame colturale su BL mostrava isolamento di Klebsiella pneumoniae sensibile a molteplici antibiotici, motivo per cui il paziente iniziava terapia farmacologica mirata sulla scorta dell’antibiogramma.
L’esame istologico descriveva “un quadro morfologico di due piccoli lembi stromali sedi di modificazioni fibrotiche associate a flogosi cronica con formazione di aggregati istioidi fino a configurare una formazione granulomatosa in assenza di elementi gigantocellulari multinucleati e pertanto non caratteristicamente sarcoidea”. Gli aspetti descritti, unitamente all’indagine immunoistochimica per CD68, risultavano in accordo con una diagnosi di pneumoconiosi (Fig. 3). Nonostante le difficoltà comunicative con il paziente legate a problemi linguistici, grazie anche alla possibilità di colloquio con la sorella, si evinceva l’anamnesi lavorativa di tecnico odontoiatrico. In dettaglio il paziente praticava nel suo Paese tale attività da circa 15 anni con verosimile esposizione a polveri sottili legate alla lavorazione di protesi dentarie e confessava di non usare, nella gran parte dei casi, sufficienti presidi di sicurezza. In assenza della possibilità di eseguire il test di stimolazione linfocitaria per una diagnosi di certezza, sulla scorta dei dati clinici, radiologici ed anamnestici si giungeva alla diagnosi di esclusione di berilliosi: tale patologia ha strette analogie con la sarcoidosi, pertanto solo un’attenta valutazione anamnestica o, quando disponibile, un test in vitro di proliferazione al berillio dei linfociti, permettono una diagnosi differenziale tra le due patologie. Al paziente è stata suggerita la sospensione, almeno temporanea, della sua attività lavorativa, ed è stato trattato con terapia corticosteroidea per via orale con graduale riduzione del dosaggio (prednisone 25 mg BID per 60 giorni, a seguire prednisone 25 mg QD). Il follow-up stabilito prevedeva una prima valutazione a 3 mesi comprensiva di esami funzionali ed emogasanalisi arteriosa, ed una successiva a 6 mesi comprensiva di HRCT per valutare anche l’andamento radiologico della malattia; tuttavia il paziente, dopo una prima fase di miglioramento clinico, decideva di rientrare nel suo Paese di origine dove avrebbe proseguito le cure ed il follow-up suggeriti.
Discussione
Le pneumoconiosi rappresentano un gruppo di patologie polmonari fibrosanti provocate dall’accumulo a livello polmonare di particelle inalate per motivi professionali che possono determinare insorgenza di insufficienza respiratoria cronica con alto tasso di complicanze infettive e neoplastiche. Le forme più frequenti sono dovute ad inalazione di polveri inorganiche nei minatori o nei lavoratori in ambito manifatturiero. La malattia colpisce in primis il lavoratore esposto, tuttavia anche l’esposizione ambientale indiretta può provocare danni, come nel caso di mogli e figli dei lavoratori i cui abiti sono ricoperti di polveri di asbesto o di individui che vivono nei pressi di fabbriche. La gravità della malattia è strettamente correlata al materiale inalato nonché all’intensità e durata dell’esposizione. Ogni sostanza inalata determina una differente patologia.
L’esposizione al silicio può provocare la silicosi cronica che si sviluppa diverse decadi dopo l’esposizione e si manifesta radiologicamente con noduli prevalenti ai lobi superiori e calcificazioni a guscio d’uovo nei linfonodi, associati o meno a manifestazioni cliniche. L’esposizione ad ingenti quantità di silice può invece determinare accelerazione di malattia o silicosi acuta con sintomatologia ingravescente ed alto tasso di mortalità. Le forme progressive evolvono generalmente in fibrosi massiva, con coalescenza dei noduli di silicio e insorgenza di insufficienza respiratoria.
L’asbesto è stato utilizzato per secoli in ambito industriale e viene rilasciato dalla rottura delle fibre di diversi minerali (in particolare crisotile, amosite, crocidolite); è ormai noto che un’esposizione prolungata alle polveri di asbesto può determinare tumore polmonare e mesotelioma pleurico, nonché l’asbestosi, patologia polmonare fibrosante caratterizzata dalla presenza di placche pleuriche (aree di tessuto fibroso ispessito) spesso calcifiche, che possono restare asintomatiche o evolvere nella forma fibrosante vera e propria e/o determinare versamento pleurico come risposta all’irritazione pleurica con conseguenti manifestazioni cliniche associate.
La pneumoconiosi da “polvere di carbone”, nota anche come “polmone nero”, fu riconosciuta come entità distinta nel 1940; si caratterizza per la presenza di piccoli focolai ai campi polmonari superiori che riflettono l’inalazione delle polveri potendo restare asintomatica o, talvolta, evolvere nella forma di fibrosi massiva progressiva con distorsione dell’architettura polmonare parenchimale ed insorgenza di dispnea ingravescente.
Altre patologie correlate all’esposizione a sostanze inalanti sono le polmoniti da ipersensibilità (HP) note come “polmone del contadino”, caratterizzate da pneumopatie infiltrative diffuse da risposta immunologica all’inalazione di antigeni soprattutto in ambito agricolo (contatto con volatili, fertilizzanti, ecc.).
In letteratura sono descritti solo alcuni casi di pneumoconiosi in odontotecnici: nel 2017 Okamoto e altri riportarono il caso di una donna tecnico odontoiatrico di 40 anni con diagnosi di pneumoconiosi da indio (come confermato anche dal riscontro di elevati livelli sierici di indio) 1. La HRCT mostrava lesioni parenchimali lineari, noduli centrolobulari, fibrosi subpleurica e riduzione di volume, prevalentemente ai lobi superiori tanto da porsi in diagnosi differenziale con la fibroelastosi pleuro-parenchimale (PPFE). L’esame istologico effettuato su biopsia polmonare chirurgica evidenziava aree di fibrosi peribronchiolare e fibroelastosi con macrofagi pigmentiferi e granuloma da corpo estraneo (quadro non compatibile con PPFE).
Nel 2016 Han Loong Tan e altri pubblicarono il caso di una donna di 38 anni, odontotecnico, inizialmente trattata per tubercolosi polmonare senza miglioramento clinico, con quadro radiologico di opacità reticolo-nodulari, tree-in-bud a carico dei lobi superiori bilaterali, lobo medio e lobo inferiore destro, linfoadenopatie mediastiniche. L’esame colturale per micobatteri risultava negativo. Una biopsia polmonare TC-guidata eseguita su una delle consolidazioni evidenziava area di proliferazione istiocitica con materiale dentario internamente 2.
In effetti, negli studi odontoiatrici, come evidenziato dalla letteratura, i tecnici odontoiatrici sono esposti a una grande varietà di particelle 3, in particolar modo a berillio. Il berillio è un metallo molto duro, ma anche molto flessibile, pertanto viene utilizzato in molte lavorazioni come in quelle aerospaziali, di ceramiche o di cavi elettrici. La ceramica costituisce una delle componenti delle protesi dentarie, pertanto gli odontotecnici possono essere cronicamente esposti a polveri di berillio. In effetti, nel caso da noi descritto il quadro clinico e radiologico è altamente suggestivo di berilliosi. Questa è una patologia granulomatosa, descritta per la prima volta nel 1946 da Hardy e Tabershow, che può potenzialmente interessare ogni organo e apparato 4. L’organo più frequentemente colpito è il polmone con un interessamento prevalentemente di tipo reticolo-nodulare ai lobi superiori e presenza di adenomegalie. Quadri alternativi radiologici prevedono la presenza di noduli centrolobulari o ground glass opacities. Generalmente la malattia è lentamente progressiva, giungendo a dei quadri di fibrosi con formazione di pseudomasse nelle fasi tardive. La berilliosi può anche avere un interessamento multiorgano con la formazione, raramente, di granulomi ad esempio a livello epatico, pertanto in questi pazienti è indicata anche un’attenta valutazione sistemica.
Nella maggior parte dei casi, il quadro clinico-radiologico della berilliosi è quasi del tutto sovrapponibile a quello della sarcoidosi 5. Si stima che il 6% dei pazienti con diagnosi di sarcoidosi sia in realtà affetto da berilliosi 6.
La patologia entra pertanto in diagnosi differenziale con la sarcoidosi in primis, ma talvolta con la fibrosi polmonare idiopatica, le polmoniti da ipersensibilità, l’asma e altre malattie granulomatose come la tubercolosi e la silicosi.
La radiografia generalmente non è dirimente, potendo risultare normale soprattutto negli stadi iniziali di malattia. Nelle fasi avanzate possono risultare evidenti la fibrosi interstiziale, le irregolarità pleuriche, le ground-glass opacities. Generalmente la HRCT mostra noduli parenchimali nelle fasi iniziali e, successivamente, aree di ground glass, linfoadenopatie mediastiniche, fibrosi polmonare interstiziale, ispessimenti pleurici. Emogasanalisi arteriosa e prove funzionali devono essere eseguite per un corretto inquadramento clinico.
La diagnosi definitiva di berilliosi è basata pertanto su un’attenta raccolta anamnestica, sulla positività ematica o su BAL del test di proliferazione linfocitaria al berillio, nonché sul riscontro anatomo-patologico su biopsia polmonare di infiammazione granulomatosa 3. Il test di proliferazione linfocitaria al berillio, laddove sia possibile eseguirlo, ha un’elevata sensibilità e può essere eseguito sia su sangue periferico che su BAL 7.
L’obiettivo del trattamento della berilliosi è ridurre la sintomatologia e rallentare la progressione della malattia, pertanto il primo approccio consiste nell’interrompere l’esposizione al berillio. Uno stretto follow-up è indicato in tali pazienti comprensivo degli esami funzionali e della radiografia. È consigliabile praticare il vaccino antiinfluenzale e antipneumococcico, nonché astenersi dal tabagismo. Quando compaiono sintomi clinici in associazione ad alterazioni funzionali, una terapia steroidea di supporto, eventualmente associata ad ossigenoterapia, andrebbe tempestivamente introdotta 8. La terapia corticosteroidea andrebbe inizialmente somministrata a dosaggi elevati e soltanto dopo diversi mesi si osserva la risoluzione della sintomatologia con la possibilità di ridurre gradualmente il dosaggio. I pazienti non responsivi vanno trattati con farmaci immunosoppressori come metotrexate e azatioprina monitorando periodicamente emocromo e funzionalità epatica. Tutti i pazienti vanno sottoposti a stretto follow-up clinico, funzionale e strumentale 9.
Conclusioni
Abbiamo presentato questo caso di malattia da esposizione cronica al berillio in odontotecnico basandoci su una diagnosi di esclusione in assenza della concreta possibilità di effettuare il test di stimolazione linfocitaria, in quanto tale condizione entra in diagnosi differenziale con specifiche patologie che sono state scartate sulla scorta degli esami radiologici e cito-istologici effettuati. Il paziente (odontotecnico) presentava un’anamnesi lavorativa compatibile con l’esposizione cronica al berillio poiché lavorava la ceramica, che costituisce una delle componenti delle protesi dentarie, senza i necessari dispositivi di protezione individuale. Le pneumoconiosi rappresentano un argomento ampiamente descritto, ma colmo di possibili correlazioni tra attività lavorative ed esposizioni croniche a polveri sottili di vario genere; in effetti la malattia da esposizione cronica al berillio nell’odontotecnico è un argomento non molto presente in letteratura sul quale sarebbe utile raccogliere dati ed esperienze dei singoli centri.
Figure e tabelle
Riferimenti bibliografici
- Okamoto M, Tominaga M, Shimizu S. Dental technicians’ pneumoconiosis. Intern Med. 2017; 56:3323-6. DOI
- Loong TH, Faisal M, Soo CI. Dental technician pneumoconiosis mimicking pulmonary tuberculosis: a case report. BMC Pulm Med. 2016; 16:131. DOI
- Balmes JR, Abraham JL, Dweik RA. An official American Thoracic Society statement: diagnosis and management of beryllium sensitivity and chronic beryllium disease. Am J Respir Crit Care Med. 2014; 190:e34-59. DOI
- Hardy H, Tabershaw Ir. Delayed chemical pneumonitis occurring in workers exposed to beryllium compounds. J Ind Hyg Toxicol. 1946; 28:197-211.
- Mayer AS, Hamzeh N, Maier LA. Sarcoidosis and chronic beryllium disease: similarities and differences. Semin Respir Crit Care Med. 2014; 35:316-29. DOI
- Fireman E, Haimsky E, Noiderfer M. Misdiagnosis of sarcoidosis in patients with chronic beryllium disease. Sarcoidosis Vasc Diffuse Lung Dis. 2003; 20:144-8.
- Harber P, Su J, Alongi G. Beryllium BioBank: 2. Lymphocyte proliferation testing. J Occup Environ Med. 2014; 56:857-60. DOI
- Sood A. Current treatment of chronic beryllium disease. J Occup Environ Hyg. 2009; 6:762-5. DOI
- Thomas CA, Deubner DC, Stanton ML. Long-term efficacy of a program to prevent beryllium disease. Am J Ind Med. 2013; 56:733-41. DOI
Affiliazioni
Licenza
Questo lavoro è fornito con la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Copyright
© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2020
Come citare
- Abstract visualizzazioni - 580 volte
- PDF downloaded - 558 volte