CORTICOVID: evidenze e risvolti pratici dell’utilizzo dei corticosteroidi nel COVID-19
Abstract
La malattia da Coronavirus 2019 (COVID-19) costituisce la più grande sfida sanitaria ed economica dell'ultimo secolo. Dall’inizio del 2020, il personale medico mondiale si è trovato ad affrontare questa emergenza in assenza di trattamenti supportati da evidenze certe. Per la prima volta siamo stati reclutati per combattere una guerra dove la maggior parte di armi erano “sconsigliate” e “navigare a vista” rappresentava la routine quotidiana. Sono passati pochi mesi da quando, versione dopo versione, l’organizzazione mondiale della sanità pubblicava interim guidance in cui si schierava contro l’utilizzo di corticosteroidi nel trattamento del COVID-19. Ad oggi, abbiamo invece a disposizione sempre più dati provenienti da studi clinici che indicano una ridotta mortalità per tutte le cause inferiore a 28 giorni dalla terapia. Questa revisione della letteratura mira a riassumere brevemente le basi fisiopatologiche, le evidenze al momento disponibili e a trarne alcuni concetti applicabili nella pratica clinica quotidiana.
Introduzione
La malattia COronaVIrus Disease 19 (COVID-19) è associata ad elevata morbilità e mortalità a livello globale, costituendo la più grande sfida sanitaria ed economica dell’ultimo secolo. SARS-CoV-2 ha mostrato una elevatissima capacità di trasmissione e contagio, sottolineando la necessità di strategie terapeutiche standardizzate, a basso costo e di facile accessibilità anche per i Paesi con limitate risorse economiche. COVID-19 presenta ampia eterogeneità di manifestazioni cliniche, variando da portatori asintomatici, a soggetti cosiddetti “super-spreaders” fino a polmoniti interstiziali di entità variabile. La patogenesi e la conseguente risposta immunologica non sono completamente chiare.
Basi fisiopatologiche dell’utilizzo del cortisone nel COVID-19
Dal punto di vista fisiopatologico i casi più severi di malattia sono il risultato di una tempesta citochinica in risposta alla replicazione virale che provoca dal punto di vista anatomopatologico una malattia sistemica caratterizzata da danno alveolare acuto, alterazioni trombotiche intra- ed extrapolmonari causanti disfunzione d’organo 1. Questa condizione sembrerebbe essere indotta dall’attivazione aberrante di un elevato numero di cellule immunitarie (linfociti B e T, neutrofili, monociti, macrofagi, ecc.) che conduce al rilascio di un’enorme quantità di citochine proinfiammatorie (tra le più rilevanti IFN-γ, IL-1β, IL-6, IL-12 e TNF-α). Lo squilibrio di fattori proinfiammatori e la disfunzione della barriera alveolo-capillare che induce stravaso di liquidi, neutrofili, emoglobina libera e citochine all’interno del parenchima polmonare sono alla base del quadro clinico della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). Le prime analisi delle popolazioni di pazienti affetti da COVID-19 documentano una stretta correlazione tra severità della malattia, marker infiammatori (livelli di citochine circolanti, ferritina sierica, LDH, linfopenia) e marcatori di coagulopatia (PT e D-dimero) 2-4.
Quadri di malattia più severa risultano frequenti in pazienti affetti da comorbilità croniche, quali ad esempio ipertensione, obesità, diabete mellito, cardiopatia ischemica cronica 5. Il fattore nucleare kβ (NF-kβ) sembra avere un ruolo centrale nella cascata infiammatoria. In particolare, la sua attivazione è scatenata da molecole attivanti l’immunità innata (quali lipopolisaccaridi, DNA, stress chimici e fisici e citochine infiammatorie), le quali favoriscono la degradazione proteolitica del complesso NF-kβ/Ikβ. Una volta spaiato, NF-kβ promuove l’attivazione a cascata di citochine e chemochine. Il sistema antinfiammatorio endogeno ha tra i principali protagonisti i glucocorticoidi. Grazie alla loro natura lipofilica, esercitano la loro azione legandosi a specifici GREs (Glucocorticoid-Responsive Elements) situati nella regione promotrice di determinati geni. Inoltre, interferiscono con l’attività di NF-kβ inattivandolo direttamente o favorendo la trascrizione della proteina inibitrice Ikβa 6. Sulla base di tali premesse, si è prospettata la potenzialità dei glucocorticoidi nel ripristinare l’omeostasi tissutale e favorire la risoluzione del danno alveolare acuto 7. Sono già riconosciute solide evidenze riguardanti l’efficacia della terapia steroidea nei quadri di ARDS non virale, prevalentemente secondaria a polmonite o sepsi 8. Un recente trial randomizzato controllato, multicentrico spagnolo in pazienti con ARDS moderato-severa ha dimostrato significativi benefici in termini di durata della ventilazione e mortalità totale con un ciclo terapeutico di desametasone della durata di 10 giorni 9. Già nel 2017 una task-force internazionale di esperti in Critical Care Medicine suggeriva l’utilizzo dei corticosteroidi nei pazienti con iniziale ARDS di grado moderato-severo e shock settico non responsivo ai fluidi o all’utilizzo di vasopressori 10.
Evidenze a favore dell’utilizzo del cortisone nel COVID-19
Nei primi giorni di febbraio, all’alba della pandemia da SARS-CoV-2, Russell e colleghi prendevano in considerazione la possibilità di trattamento con steroidi 11. La loro breve revisione, basata sulle poche esperienze con SARS, MERS ed influenza, sconsigliava il trattamento con corticosteroidi al di fuori di trial clinici nei pazienti COVID-19 11. Sulla stessa lunghezza d’onda, Shang e collaboratori “aprivano” ad un cauto utilizzo della terapia steroidea nei pazienti più severi con cicli di breve durata a medio dosaggio (< 0,5-1 mg/kg/die per 7 giorni) 12. Uno studio multicentrico osservazionale condotto dal gruppo italiano del prof. Confalonieri ha evidenziato un’associazione tra la somministrazione di metilprednisolone e la riduzione della mortalità e la diminuzione della dipendenza dal ventilatore 13. Tali riflessioni hanno dato il via ad una serie di trial clinici volti ad indagare l’efficacia della terapia steroidea in pazienti COVID-19 da ogni parte del mondo, revisionati in una recente metanalisi pubblicata su JAMA e di seguito brevemente illustrata 14.
Lo studio brasiliano Metcovid ha incluso 416 pazienti randomizzati a due bracci di trattamento: metilprednisolone per via endovenosa al dosaggio di 0,5 mg/kg/die per 5 giorni + cure standard vs cure standard (ceftriaxone e macrolide). Nonostante non sia stata dimostrata una significativa differenza in termini di sopravvivenza, una lieve riduzione della mortalità era presente nei pazienti over 60 con status infiammatorio più marcato 15. Lo studio CoDEX ha arruolato pazienti con ARDS moderata-severa per valutare la superiorità della terapia steroidea con desametasone (20 mg/die per 5 giorni con riduzione per altri 5 giorni) rispetto allo standard of care. È stato osservato che tale strategia sperimentale consentiva una riduzione significativa della durata della terapia ventilatoria senza mostrare differenze in termini di mortalità 16.
REMAP-CAP è uno studio multicentrico internazionale open-label dove, a differenza dei precedenti, i pazienti sono stati stratificati in base alla gravità della malattia (moderata vs severa). Circa 400 pazienti sono stati randomizzati in 3 gruppi: dose fissa di idrocortisone (50 mg 4 volte al giorno per 7 giorni), shock dependent dosing strategy (idrocortisone 100 mg 4 volte al giorno per 7 giorni) oppure nessuna terapia steroidea. I risultati non hanno evidenziato superiorità della terapia steroidea nel ridurre la necessità di supporto cardiorespiratorio e la mortalità 17.
Il trial francese CAPE COVID ha arruolato 149 pazienti con insufficienza respiratoria. Nel braccio di trattamento il protocollo prevedeva 200 mg di idrocortisone al giorno per 7 giorni e poi una graduale riduzione per un totale di 14 giorni di terapia. Il trattamento proposto non ha dimostrato benefici in termini di mortalità e rapidità di miglioramento degli scambi respiratori 18.
Gli studi REMAP-CAP e CAPE COVID sono stati interrotti precocemente durante la fase di arruolamento a causa della forte evidenza riscontrata nei dati preliminari diffusi dallo studio RECOVERY e pubblicati sul New England Journal of Medicine a Luglio 2020 19. Condotto in 176 ospedali del Regno Unito, tale studio ha incluso 6.425 pazienti con diagnosi sospetta o confermata per infezione da SARS-CoV-2. 2.104 pazienti hanno ricevuto cure standard insieme a desametasone 6 mg/die per un massimo di 10 giorni, mentre i restanti il solo standard of care. I risultati preliminari mostrano una riduzione del 35% della mortalità nei pazienti in ventilazione meccanica invasiva trattati con desametasone ed una riduzione del 20% nei pazienti trattati con ossigenoterapia. Inoltre, il desametasone utilizzato nei pazienti che ricevono ventilazione meccanica invasiva sembra determinare outcome favorevoli anche per quanto riguarda la durata dell’ospedalizzazione e la probabilità di dimissione a 28 giorni. Nessun beneficio è stato invece evidenziato in coloro che non stavano ricevendo supporto ventilatorio. La numerosità del RECOVERY trial ha influito sul risultato straordinariamente positivo della già citata recente metanalisi riguardante il trattamento corticosteroideo nei pazienti critici affetti da COVID-19 14. In questa metanalisi, che ha incluso 7 studi clinici per un totale di 1.703 pazienti reclutati da Paesi di 5 continenti, la somministrazione di corticosteroidi è stata associata a una ridotta mortalità per tutte le cause inferiore a 28 giorni dalla randomizzazione. Non è stato suggerito un aumento del rischio di gravi eventi avversi. Da questa metanalisi e dal recente documento OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) riguardante l’utilizzo dei corticosteroidi nel COVID-19 20 abbiamo ricavato alcune implicazioni per la pratica clinica.
All’atto pratico: come usare il cortisone nel COVID-19
In quali pazienti affetti da COVID-19 usare corticosteroidi?
L’utilizzo di corticosteroidi è suggerito dall’OMS 20:
- nei pazienti con COVID-19 “critico”, definito come sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), sepsi, shock settico o altre condizioni che richiedano supporti come la ventilazione meccanica (invasiva o non invasiva) o la terapia vasopressoria;
- nei pazienti con COVID-19 “grave”, dove la severità si riferisce al mantenimento di una saturazione di ossigeno < 90% in aria ambiente, ad una frequenza respiratoria elevata (> 30 atti/minuto negli adulti e nei bambini > 5 anni) o a segni di grave distress respiratorio (utilizzo di muscoli accessori, incapacità di completare le frasi).
Da queste indicazioni si può facilmente dedurre che il paziente COVID-19 con insufficienza respiratoria deve essere candidato al trattamento con corticosteroide. Inoltre, la metanalisi condotta dal gruppo WHO (World Health Organization) evidenzia che i corticosteroidi sono associati a una mortalità più bassa tra i pazienti critici che non ricevono ventilazione meccanica invasiva o farmaci vasoattivi alla randomizzazione; da questo aspetto possiamo dedurre che non è consigliabile attendere l’aggravamento del paziente con insufficienza respiratoria per iniziare la terapia corticosteroidea. Non viene invece al momento suggerito dall’OMS il trattamento corticosteroideo nei pazienti con COVID-19 “non grave” ossia che non rientrano all’interno delle categorie sopra espresse, in maniera indipendente dall’ospedalizzazione. Tale raccomandazione è di natura condizionale e deriva da prove (di scarsa evidenza) che suggeriscono un potenziale aumento del 3,9% nella mortalità a 28 giorni tra i pazienti con COVID-19 non-grave. L’OMS considera comunque la possibilità di avviare una terapia corticosteroidea e predilige un processo decisionale condiviso con il paziente riguardo tale scelta 20.
Quale molecola utilizzare e a che dosaggio?
Le evidenze al momento disponibili non consentono di porre una assoluta preferenza riguardante i vari principi attivi, che differiscono in quanto a potenza antinfiammatoria, attività mineralcorticoide ed emivita. Ad esempio, il desametasone è la molecola con maggiore attività antinfiammatoria e con maggior emivita, il metilprednisolone presenta anch’esso elevata attività antinfiammatoria e un’emivita di circa 12-36 ore, entrambi hanno una ridotta attività mineralcorticoide. L’idrocortisone ha invece potenza antinfiammatoria inferiore e una emivita tra le 8 e le 12 ore 20. Un riassunto delle equivalenze tra i dosaggi delle diverse molecole è consultabile in Tabella I. La comparazione tra le emivite e l’attività antinfiammatoria è invece illustrata in Tabella II.
Es. Una dose di 6 mg di desametasone è equivalente (in termini di effetto glucocorticoide) circa a 160 mg di idrocortisone, 40 mg di prednisone, 32 mg di metilprednisolone 14.
Le evidenze al momento disponibili riguardano desametasone, idrocortisone e in minor misura il metilprednisolone 14.
Tre studi hanno utilizzato il desametasone: due (DEXA-COVID, CoDEX) hanno utilizzato il dosaggio di 20 mg al giorno per 5 giorni, riducendolo poi a 10 mg al giorno, mentre lo studio RECOVERY ha eseguito dosaggio di 6 mg al giorno per 10 giorni 9,15,18. Altri tre hanno utilizzato l’idrocortisone, in particolare lo studio CAPE-COVID utilizzando 200 mg/die per 4-7 giorni, riducendo poi a 100 mg/die per 2-4 giorni ed infine a 50 mg/die per 2 giorni; lo studio REMAP-CAP e lo studio COVID STEROID invece hanno utilizzato idrocortisone 200 mg al giorno per 7 giorni 17,18,23.
Infine, tre studi hanno utilizzato il metilprednisolone; lo Steroids-SARI (NCT04244591) al dosaggio di 40 mg ogni 12 ore per 5 giorni, il GLUCOCOVID al dosaggio di 40 mg ogni 12 ore per 3 giorni con décalage a 20 mg ogni 12 ore per i successivi 3 giorni e il Metcovid al dosaggio di 0,5 mg/kg ogni 12 ore per 5 giorni 15. Nello studio osservazionale condotto dal gruppo italiano veniva eseguita una dose da carico di 80 mg, a seguire una dose di 80 mg/die per almeno 8 giorni e comunque fino a che il paziente non raggiungeva un rapporto PaO2/FiO2 > 350 mmHg, e poi una riduzione a 16 mg per os o 20 mg due volte al giorno ev, fino alla sospensione che richiedeva un rapporto PaO2/FiO2 > 400 mmHg 13.
La metanalisi condotta dal gruppo WHO e pubblicata su JAMA a settembre 2020 conclude che gli odds ratio per l’associazione tra corticosteroidi e mortalità (riduzione di mortalità per tutte le cause a 28 giorni) sono simili per il desametasone e l’idrocortisone. Paragonando i dosaggi (ridotti vs elevati), non ci sono al momento prove che suggeriscano che una dose più alta di corticosteroidi sia associata a un beneficio maggiore rispetto a una dose inferiore di corticosteroidi 14.
Quale formulazione scegliere?
I corticosteroidi sistemici possono essere somministrati sia per via orale che per via endovenosa. Sebbene la biodisponibilità del desametasone sia molto alta, il paziente critico potrebbe avere un assorbimento ridotto, tale per cui sarebbe da preferire la somministrazione endovenosa 20.
Quando iniziare e per quanto prolungare il trattamento?
È possibile ipotizzare che gli effetti benefici della terapia steroidea nei pazienti COVID-19 siano strettamente dipendenti dall’utilizzo secondo il concetto “the right dose, the right time” ossia giusta dose al momento giusto. Ma qual è il momento giusto? L’analisi dei sottogruppi condotta nello studio RECOVERY suggerisce che l’inizio della terapia 7 o più giorni dopo l’insorgenza dei sintomi può essere più vantaggiosa rispetto al trattamento iniziato entro 7 giorni dall’esordio delle manifestazioni cliniche. Questo risultato è coerente con l’ipotesi secondo cui il farmaco corticosteroideo eserciterebbe a pieno la sua potenza antinfiammatoria al termine della fase “replicativa” virale, ossia durante la fase “infiammatoria” dell’infezione virale 24,25. Nella pratica clinica è tuttavia complesso, se non impossibile, datare con certezza l’insorgenza dei sintomi e un eventuale inizio “ritardato” della terapia steroidea dovuto ad un errore nella stima della data di esordio nel paziente grave o critico potrebbe ridurne gli effetti sulla mortalità. Per tale motivo l’OMS considera preferibile iniziare subito il trattamento corticosteroideo nei pazienti gravi o critici anche a meno di 7 giorni dal presunto “esordio sintomi” piuttosto che attendere 20.
La durata del trattamento analizzato negli studi sopracitati era generalmente breve, variando tra un minimo di 5 e un massimo di 14 giorni; la maggior parte dei pazienti inclusi nella metanalisi ha ricevuto corticosteroidi sotto forma di desametasone 6 mg al giorno per un massimo di 10 giorni. Il trattamento è stato generalmente interrotto alla dimissione dall’ospedale (cioè la durata del trattamento potrebbe essere inferiore alla durata prevista nei protocolli) 20.
Prevenire gli effetti collaterali
Nella metanalisi sopracitata 14 le complicanze della terapia corticosteroidea non sono analizzabili in modo affidabile a causa dei limiti dei dati disponibili. Infatti, gli eventi avversi gravi sono stati segnalati solo in 6 dei 7 studi inclusi. Inoltre, tra gli studi, era presente una notevole eterogeneità nelle definizioni e nei metodi di valutazione delle complicanze. Del resto, la conoscenza dei possibili eventi avversi correlati con la terapia corticosteroidea sistemica è il primo passo per la prevenzione e il trattamento di tali eventi. La Tabella III riassume i principali effetti indesiderati della terapia corticosteroidea. La maggior parte si correla alla durata e al dosaggio della terapia 27; ciò nonostante sono riportati casi di effetti collaterali anche in associazione a basse dosi e a breve durata di terapia. Va comunque considerato che, di fronte all’opportunità di avviare una terapia corticosteroidea nei pazienti affetti da COVID, la maggior parte degli effetti collaterali è reversibile.
Discutiamo ora gli accorgimenti riguardanti alcuni dei più comuni effetti collaterali.
- Iperglicemia. I corticosteroidi sistemici causano un aumento dose-dipendente, solitamente lieve, della glicemia a digiuno e postprandiale nei pazienti in assenza di diabete mellito preesistente. I pazienti con diabete mellito o ridotta tolleranza al glucosio mostrano un più difficoltoso controllo glicemico. Per tali motivi il documento OMS consiglia il monitoraggio glicemico in tutti i pazienti affetti da COVID-19 grave e critico sottoposti a terapia corticosteroidea, indipendentemente dall’anamnesi positiva per patologia diabetica, con una particolare attenzione ai pazienti affetti da alterazioni del metabolismo glucidico 20.
- Gastrolesività. I glucocorticoidi aumentano il rischio di gastrite, tuttavia non ci sono evidenze a favore dell’avvio di una terapia con inibitori di pompa protonica come profilassi nei soggetti che assumono corticosteroidi. L’assunzione contemporanea di corticosteroidi e FANS o ASA aumenta il rischio di ulcere e complicazioni gastrointestinali, per cui in questi gruppi di pazienti può essere considerata una terapia con inibitori di pompa protonica 28.
- Soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. La somministrazione di glucocorticoidi esogeni può sopprimere l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. La brusca interruzione o la rapida sospensione dei glucocorticoidi in questi pazienti può causare sintomi di insufficienza surrenalica. Una terapia corticosteroidea di breve durata (fino a tre settimane), anche se a una dose abbastanza elevata, può essere semplicemente interrotta e non è necessaria la riduzione graduale. Tuttavia, in caso di terapie più durature, paziente fragili o condizioni cliniche gravi è possibile eseguire una progressiva riduzione della terapia corticosteroidea 29.
- Miopatie. La miopatia da glucocorticoidi non è frequente nei soggetti trattati per meno di 10 giorni, tuttavia maggiore è il dosaggio di glucocorticoidi maggiore è la possibilità che la miopatia insorga acutamente. La miopatia da glucocorticoidi si manifesta in maniera progressiva con debolezza della muscolatura prossimale, inizialmente interessando gli arti inferiori 30.
- Osteoporosi. La terapia con glucocorticoidi è associata ad un apprezzabile rischio di perdita ossea, dovuta all’incremento del riassorbimento e alla riduzione della neoformazione ossea. L’incidenza di fratture si correla al dosaggio e alla durata della terapia, tuttavia è stato segnalato un incremento del rischio di frattura anche a basso dosaggio o durata della terapia inferiore a 30 giorni. La supplementazione di calcio e vitamina D è indicata nei pazienti con una durata del trattamento corticosteroideo ≥ 3 mesi (niente a che vedere con la durata “breve” proposta dall’OMS). Viene invece consigliata la terapia farmacologica nei pazienti uomini di età ≥ 50 anni e le donne in postmenopausa con osteoporosi accertata che assumono o trattamento con glucocorticoidi (qualsiasi dose per qualsiasi durata) 31.
- Effetti neuropsichiatrici. Nella maggior parte dei casi sono riscontrabili lievi e reversibili alterazioni come labilità emozionale, depressione, delirio, confusione, disorientamento, deficit cognitivi ed alterazioni del ritmo sonno-veglia, specialmente se la somministrazione non segue il fisiologico ritmo circadiano 32.
Conclusioni
La pubblicazione dei risultati preliminari dello studio RECOVERY e i dati ricavati dalla metanalisi prospettica elaborata dal gruppo OMS hanno ribaltato l’iniziale scetticismo del mondo medico all’utilizzo dei corticosteroidi nel trattamento del COVID-19, attualmente raccomandati nella cura della malattia severa o critica. Ulteriori studi sono necessari per determinare “il giusto momento, il giusto dosaggio, la giusta molecola”. Tuttavia, abbiamo oggi a disposizione evidenze di buona qualità che riguardano un farmaco economico, accessibile e conosciuto da almeno cinquanta anni, quindi, perché non utilizzarlo?
Figure e tabelle
Principio attivo | Dose in mg | |||||||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
• Idrocortisone | 20 | 40 | 60 | 80 | 100 | 120 | 140 | 160 | 200 | 400 | 625 | 2500 |
• Prednisone | 5 | 10 | 15 | 20 | 25 | 30 | 35 | 40 | 50 | 100 | 156 | 625 |
• Prednisolone | 5 | 10 | 15 | 20 | 25 | 30 | 35 | 40 | 50 | 100 | 156 | 625 |
• Triamcinolone | 4 | 8 | 12 | 16 | 20 | 24 | 28 | 32 | 40 | 80 | 125 | 500 |
• Metilprednisolone | 4 | 8 | 12 | 16 | 20 | 24 | 28 | 32 | 40 | 80 | 125 | 500 |
• Betametasone | 0,75 | 1,5 | 2,25 | 3 | 3,75 | 4,5 | 5,25 | 6 | 7,5 | 15 | 23,5 | 94 |
• Desametasone | 0,7 | 1,5 | 2,25 | 3 | 3,75 | 4,5 | 5,25 | 6 | 7,5 | 15 | 23,5 | 94 |
• Deflazacort | 6 | 12 | 18 | 24 | 30 | 36 | 42 | 48 | 60 | 120 | 188 | 750 |
Molecola | Attività antinfiammatoria in relazione a quella dell’idrocortisone | Durata di azione (ore) |
---|---|---|
• Idrocortisone | 1 | 8-12 |
• Cortisone acetato | 0,8 | 8-12 |
• Prednisone | 4 | 12-36 |
• Prednisolone | 4 | 12-36 |
• Metilprednisolone | 5 | 12-36 |
• Desametasone | 30 | 36-72 |
• Betametasone | 30 | 36-72 |
• Dermatologici | Assottigliamento della cute, ecchimosi, irsutismo, acne, strie rubre, eritema del volto |
• Oftalmologici | Cataratta, incremento della pressione intraoculare, glaucoma, esoftalmo |
• Cardiovascolari | Ritenzione di fluidi, ipertensione, aterosclerosi, aritmie, alterazioni delle lipoproteine sieriche |
• Gastrointestinali | Gastrite, ulcera peptica, steatoepatite |
• Ossa e muscoli | Osteoporosi, necrosi avascolare, miopatie |
• Neurocognitivi | Euforia, disforia, depressione, insonnia, mania/psicosi |
• Metabolici | Iperglicemia, insufficienza surrenalica |
• Immunitari | Incremento del rischio infettivo |
• Ematologici | Leucocitosi (neutrofilia) |
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