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Pubblicato: 2019-04-15

Ossigenoterapia a lungo termine. Stato dell’arte dal 2004 a oggi

UOC Pneumologia UTIIR, Ospedale Madonna delle Grazie, Matera
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Ossigenoterapia a lungo termine Insufficienza respiratoria cronica Ossigenoterapia notturna Ossigenoterapia da sforzo

Abstract

L’Ossigenoterapia a Lungo Termine (OTLT) è parte fondamentale della terapia della insufficienza respiratoria cronica nel paziente pneumologico. Sia le ultime Linee Guida (LG) AIPO del 2004 che le numerose LG nazionali e internazionali che si sono susseguite negli anni hanno avuto come capisaldi due lavori risalenti agli anni ’80 in cui veniva dimostrata, su un numero relativamente piccolo di pazienti, l’efficacia della OTLT nel migliorare la sopravvivenza di soggetti affetti da Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO). D’altro canto, però, la tematica relativa alla OTLT in pazienti con ipossiemia moderata o latente è piuttosto controversa in quanto vi è una certa discrepanza tra i lavori scientifici (spesso contro) e quanto proposto dalle LG  internazionali (spesso a favore). Prendendo inoltre in considerazione l’impatto economico non indifferente della OTLT, pari a più del 15% dei costi annuali diretti per i BPCO 1, la problematica del suo utilizzo diviene stringente. Da qui nasce la necessità di una revisione dei dati di letteratura, dal 2004 ad oggi, allo scopo di effettuare un aggiornamento delle raccomandazioni in OTLT e di evidenziare le criticità dell’impiego della OTLT in quei casi in cui le sue indicazioni non siano sostenute da evidenze scientifiche solide, ma che risultano comunque presenti in numerose LG o documenti di indirizzo proposti in letteratura.

Introduzione

L’Ossigenoterapia a Lungo Termine (OTLT), ovvero somministrata per almeno 15 ore/die, rappresenta il cardine terapeutico nella correzione della ipossiemia stabile dell’insufficienza respiratoria cronica 2.

Tra questi distinguiamo i pazienti con ipossiemia severa franca PaO2 ≤ 55 mmHg (ovvero ≤ 7,5 kPa) e quelli affetti da ipossiemia borderline, detta anche moderata con PaO2 tra 56 e 60 mmHg (ovvero 7,5 e 8 kPa).

La AOT (Ambulatory Oxygen Therapy) viene definita come l’ossigenoterapia con device portatile durante l’esercizio fisico e durante le attività quotidiane, mentre la NOT (Nocturnal Oxygen Therapy) indica l’ossigenoterapia somministrata durante il sonno.

Per POT (Pallative Oxygen Therapy) si intende la somministrazione palliativa di ossigeno per ridurre la sensazione di dispnea in soggetti con patologie irreversibili o cardio-respiratorie end-stage. I benefici sulla sopravvivenza della OTLT nei pazienti con Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) sono stati dimostrati per la prima volta in due studi pubblicati negli anni ’80, lo studio NOTT e lo studio MRC che rappresentano ancora, anche se retrodatati, il fondamento della OTLT nei pazienti BPCO ipossiemici 3 4. In questi studi e nello studio post-hoc del NOTT 5 è stato dimostrato il miglioramento della sopravvivenza sia nei pazienti con ipossiemia severa stabile che nei pazienti con ipossiemia moderata (PaO2 tra 56 e 60 mmHg) associata alla presenza di cuore polmonare cronico. Da allora è stato difficile, per motivi etici, proporre studi clinici in cui il braccio placebo non assumesse OTLT. L’assunzione di parametri aggiuntivi all’ipossiemia moderata come la policitemia, la cardiopatia ischemica e le aritmie, è stata riportata in diverse linee guida internazionali e nazionali ad effetto cascata con scarsa documentazione in letteratura 2 3 5. Anche le indicazioni alla OTLT nelle patologie polmonari non BPCO con ipossiemia sono state estrapolate dalle evidenze di questi studi eseguiti in pazienti con BPCO.

Da qui nasce la necessità di una revisione dei dati di letteratura, dal 2004 ad oggi, allo scopo di effettuare un aggiornamento delle raccomandazioni in OTLT e di evidenziare le criticità dell’impiego della OTLT in quei casi in cui le sue indicazioni non siano sostenute da evidenze scientifiche solide, ma che risultano comunque presenti in numerose linee guida o documenti di indirizzo proposti in letteratura.

Il Position Paper AIPO, consultabile online sul sito , ha revisionato 192 voci bibliografiche prodotte al 2014 all’agosto 2018 e comprende 45 pagine; la sintesi, di cui questo articolo è produzione, ne può essere un utile compendio.

Indicazioni alla OTLT nella BPCO

Ipossiemia continua severa

I dati di letteratura sono solidi a favore della OTLT nei pazienti con ipossiemia continua severa e ne rappresentano l’indicazione assoluta.

Dopo i primi due trial pubblicati negli anni ’80, altri lavori hanno confermato il ruolo favorevole della OTLT nel miglioramento della sopravvivenza 6 7, la qualità di vita, la performance neuropsichica 8 9 e la riduzione dei costi di ospedalizzazione 10.

È mandatario prescrivere OTLT a favore di pazienti affetti da BPCO con ipossiemia continua severa (PaO2 ≤ 55 mmHg); la prescrizione deve prevedere ≥ 15 ore al giorno di OTLT.

Ipossiemia continua borderline e ipossiemia latente

Nei pazienti con ipossiemia moderata o latente le evidenze scientifiche sull’utilizzo della OTLT non sono altrettanto solide. In due trial degli anni ’90 non veniva dimostrata l’efficacia sulla mortalità della OTLT nei pazienti con ipossiemia moderata o lieve 11 12, anche se venivano riportati benefici sulla dispnea e/o su altri sintomi clinici. I risultati erano contrastanti in lavori che prendevano in esame gli effetti sulle ospedalizzazioni 13 14, sulla performance dell’esercizio fisico 15 e sulla qualità di vita 16.

La AOT è stata storicamente utilizzata nei pazienti con desaturazione da sforzo, ma normossiemici a riposo, al fine di migliorare la saturazione ossiemoglobinica e la capacità all’esercizio fisico. Una Cochrane del 2005 ha dimostrato il miglioramento di alcuni parametri in corso di esercizio fisico 17 diversamente dai risultati di trial a lungo termine real-life 14 18 dove non si mostravano sostanziali benefici.

Nel 2015 in una review sistematica con metanalisi (18 trial e 431 partecipanti) Uronis HE et al. 19 hanno dimostrato tuttavia che l’ossigenoterapia riduceva in maniera significativa la dispnea nei soggetti BPCO con ipossiemia lieve, rispetto a quelli che utilizzavano aria.

Il recente lavoro del LOTT Research Group 20 di Albert RK et al., trial randomizzato unblinded, sembra aver fatto luce sul problema dell’indicazione della OTLT nei pazienti con ipossiemia moderata e latente, rimanendo al momento lo studio più robusto che ha valutato pazienti in OTLT domiciliare con ipossiemia moderata a riposo (SaO2 tra 89% e 93%), o ipossiemia moderata da sforzo (SaO2 ≥ 80% per ≥ 5 minuti e < 90% per ≥ 10 secondi al 6 Minutes Walk Test o 6MWT); sono stati studiati 738 pazienti di 42 centri tra cui a 220 pazienti con ipossiemia moderata veniva prescritto O2 per 24 h a 2 litri al minuto, mentre a 148 pazienti con desaturazione moderata da sforzo veniva prescritto O2 durante sforzo (2 litri al minuto di base con eventuale aggiustamento al fine di mantenere una SaO2 ≥ 90% per almeno due minuti al 6MWT) e notturno (2 litri al minuto). Tutti utilizzavano ossigeno (liquido o concentratore) + portatile; il follow-up durava da 1 a 6 anni. Il gruppo controllo che non faceva uso di ossigenoterapia era costituito da 370 pazienti.

La OTLT non mostrava migliorare la sopravvivenza ed il tempo della prima ospedalizzazione per qualunque causa (outcome primari). Anche la valutazione degli altri outcome secondari (incidenza di riacutizzazioni, aderenza alla ossigenoterapia, sviluppo di severa desaturazione da sforzo, metri percorsi al 6MWT, qualità di vita, funzione polmonare, frequenza di ospedalizzazioni totali, frequenza di ospedalizzazioni legate alla BPCO, frequenza di ospedalizzazioni non legate alla BPCO, stato nutrizionale, rischio di patologie cardiovascolari, funzione neurocognitiva, ansia, depressione) non mostrava differenza significativa tra il gruppo in ossigenoterapia e quello controllo.

Controverso è anche l’utilizzo della OTLT nei pazienti con desaturazione da sforzo in un setting rigidamente riabilitatitvo. Il 47% dei pazienti BPCO che afferiscono ad un programma riabilitativo presenta desaturazione da sforzo al 6MWT 21. Questo può compromettere l’intensità del training; tali pazienti non riescono a tollerare alti carichi di lavoro 22 e questo limita l’efficacia del training stesso 23. La somministrazione di O2 riduce invece la ventilazione minuto e ritarda quindi l’iperinsufflazione e la conseguente dispnea 24; pertanto garantisce una maggiore tolleranza ai carichi di lavoro.

Peraltro anche il recente lavoro di Sahin H et al. 25 ha dimostrato che i pazienti BPCO in OTLT beneficiano maggiormente, rispetto ai BPCO non in OTLT, dei programmi di riabilitazione respiratoria, soprattutto riguardo il MWT e la dispnea.

Al momento possiamo affermare che la AOT non migliora la sopravvivenza, il tempo della prima ospedalizzazione per qualunque causa, l’incidenza di riacutizzazioni, l’aderenza alla ossigenoterapia, lo sviluppo di severa desaturazione da sforzo, i metri percorsi al 6MWT, la qualità di vita, la funzione polmonare, la frequenza di ospedalizzazioni totali, la frequenza di ospedalizzazioni legate alla BPCO, la frequenza di ospedalizzazioni non legate alla BPCO, lo stato nutrizionale, il rischio di patologie cardiovascolari, la funzione neurocognitiva, l’ansia, la depressione.

La AOT sembra invece, in un setting riabilitativo, migliorare la capacità all’esercizio fisico. Quindi la AOT – in pazienti che presentano solo desaturazione da sforzo al 6MWT e non siano eleggibili per OTLT – dovrebbe essere prescritta in un setting riabilitativo con verifica del miglioramento della capacità all’esercizio fisico. La prescrizione di AOT dovrebbe seguire criteri di rigida selezione e periodici controlli, essere riservata a coloro che escono di casa quasi ogni giorno e svolgono quotidianamente una discreta attività fisica.

La eventuale prescrizione di AOT deve fare seguito a un 6MWT in cui si documenti una riduzione al di sotto del 90% della SpO2 al sesto minuto; la prescrizione deve essere per le ore/die che verosimilmente il soggetto utilizza quotidianamente per l’attività fisica.

Peraltro lo studio LOTT ha messo fortemente in discussione l’indicazione alla OTLT nei pazienti con PaO2 tra 56 e 60 mmHg, ovvero tra 7,5 e 8 Kpa mediante l’utilizzo di “parametri aggiuntivi”.

OTLT in altre patologie

Per estensione, la OTLT è stata suggerita per patologie diverse dalla BPCO, come le interstiziopatie 26, l’ipertensione arteriosa polmonare 27, la fibrosi cistica 28, le patologie neuromuscolari e della parete toracica, lo scompenso cardiaco congestizio cronico o anche a scopo palliativo.

Nonostante l’uso frequente della OTLT allo scopo di ridurre la dispnea e migliorare la ossiemia vi è una scarsa evidenza circa la sua efficacia in queste patologie e mancanza di RTCs (Randomized Controlled Trials) se non nei soggetti che sviluppano ipertensione polmonare secondaria a BPCO, purché retrodatati.

In una review sistematica del 2001 Crockett AJ et al. 29 evidenziavano la mancanza di effetti della OTLT sulla sopravvivenza in pazienti con ILD (Interstitial Lung Diseases). Peraltro l’ipossiemia durante l’esercizio fisico è una caratteristica frequente nei pazienti con IPF, e tale fattore è strettamente collegato alla prognosi. Non vi sono dati certi sull’efficacia della ossigenoterapia nei pazienti con IPF 30, ma essa è fortemente raccomandata da molte linee guida 31.

Possiamo pertanto affermare che le indicazioni alla OTLT nelle patologie non-BPCO sono quindi estrapolate dalle evidenze nei pazienti con BPCO, ma senza delle solide basi provenienti da RCTs. Nelle ILD si potrebbe considerare la possibilità della POT nei casi di severa dispnea accompagnata da ipossiemia lieve. Nelle patologie neuromuscolari e della gabbia toracica, in cui la NIV rappresenta il trattamento di scelta, la OTLT deve essere utilizzata insieme alla NIV nei soggetti in cui l’ipossiemia non viene corretta da quest’ultima.

NOT (Nocturnal Oxygen Therapy)

L’utilizzo di NOT in pazienti con BPCO avanzata con desaturazione durante il sonno non migliora la qualità del sonno 32, non migliora l’emodinamica polmonare, non modifica la sopravvivenza 33 34.

È recentemente partito lo studio protocollo INOX (International Nocturnal Oxygen) a cura di Lacasse Y et al. 35, studio multicentrico, randomizzato controllato in doppio cieco che include pazienti BPCO con insufficienza respiratoria notturna (> 30% del tempo di sonno trascorso con saturazione < 90% in due registrazioni distinte); avrà la durata di tre anni; l’outcome primario è costituito dalla mortalità; gli outcome secondari includono qualità di vita, utility measures, costi e compliance.

In attesa dei risultati dello studio INOX la NOT dovrebbe essere prescritta secondo le attuali LG prestando particolare attenzione alla titolazione con saturimetria notturna.

Nella sindrome obesità-ipoventilazione (OHS), caratterizzata da obesità, BMI > 30 e insufficienza respiratoria cronica globale da svegli in assenza di altre cause di ipoventilazione, ovvero patologie neuromuscolari o metaboliche o polmonari o della parete toracica 36, la ossigenoterapia è frequentemente aggiunta alla BILEVEL o alla CPAP 37.

Uno studio osservazionale 38 riportava che nei pazienti con OHS l’ossigenoterapia era un fattore indipendente correlato alla mortalità. Mentre un altro lavoro 39 non giungeva alle medesime conclusioni. Due studi 40 41 hanno riportato un incremento della PaCO2 a seguito della esposizione a 20 minuti di ossigeno a concentrazioni intermedie o elevate in una discreta percentuale di pazienti con OHS stabile. Recentemente, nel 2016, una post-hoc analisi di un trial randomizzato controllato 42 ha studiato il ruolo della ossigenoterapia a medio termine in 302 pazienti con OHS trattati con NIV, CPAP o solo con modifica degli stili di vita (gruppo controllo). Gli autori hanno rilevato che la ossigenoterapia a medio termine interferiva marginalmente sui test di funzionalità respiratoria, sulla qualità di vita, sui parametri polisonnografici e sui sintomi.

Pertanto i pazienti con OSA, OHS, Overlap Syndrome non devono essere trattati con NOT. Il supplemento di ossigeno in corso di NIV deve essere considerato nei soggetti in cui vi è indicazione a tale trattamento.

I soggetti con scompenso cardiaco cronico possono presentare ipossiemia notturna correlata a ipoventilazione notturna, alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione e a disturbi respiratori sonno correlati [(DRS) dovuti ad apnea centrale (CSA) associato a Cheyne-Stokes (CSR)].

A parte alcuni studi non randomizzati 43 44 in cui si registra un miglioramento dell’AHI e del tempo di sonno, due studi RCT su soggetti con scompenso cardiaco cronico severo e CRS mostravano un significativo miglioramento con NOT del tempo totale di sonno 45 46, nonché delle apnee centrali, ma non dei sintomi correlati alla frammentazione del sonno 46. Non si documentava un miglioramento dei parametri ecocardiografici, una riduzione del BNP, una riduzione delle aritmie durante il sonno 43 44 46 47, ma solo un modesto miglioramento della classe NYHA 48. Contrastanti i dati sulla qualità di vita 46 49 50 e la capacità cognitiva 46 49; la NOT sembra migliorare la capacità all’esercizio fisico 48 51.

Quindi la NOT può essere prescritta in pazienti con scompenso cardiaco cronico e terapia medica massimale, documentata ipossiemia notturna, ma senza OSA o OHS e che non presentino i criteri prescrittivi per la OTLT.

Il flusso di O2 dovrebbe essere basso, il miglioramento dei DRS verificato con MCR o polisonnogramma, il miglioramento della ipossiemia notturna verificato con saturimetria notturna.

I pazienti con insufficienza respiratoria cronica ipercapnica e ipossiemia notturna, non eleggibili per OTLT, potrebbero utilizzare la NOT in associazione alla NIV 52.

POT (Pallative Oxygen Therapy)

Negli ultimi anni si è registrato un incremento della POT nei pazienti end stage; lo studio di Gershon AS et al. 53 ha evidenziato che nella decade 2004-2014 nei pazienti BPCO end-life si è registrato un incremento dell’1% annuo dei servizi di terapia palliativa, nonché dell’1,1% della POT, mentre l’utilizzo degli oppioidi è rimasto stabile intorno al 40% dei pazienti. È anche possibile che la riduzione della dispnea sia solo un beneficio soggettivo ed in qualche misura palliativo; è stato infatti visto che i caregiver di pazienti end-stage lung in OTLT ne riferiscono un beneficio sulla dispnea refrattaria anche in assenza di ipossiemia dimostrabile 54. Una recente Cochrane del 2016 55 che includeva 33 studi e 901 pazienti BPCO con ipossiemia lieve o non ipossiemici trattati con OTLT rilevava una riduzione significativa della dispnea durante esercizio e attività fisica rispetto al placebo aria, ma non migliorava la qualità di vita. Nei pazienti neoplastici spesso è consentita la OTLT a scopo palliativo, ma non è stata dimostrata l’efficacia rispetto alla somministrazione di aria ancorché in un numero limitato di pazienti 56. Il lavoro RCT di Abernethy 57 non mostrava invece differenze comparando aria con POT nella misurazione della dispnea e qualità di vita. Alle stesse conclusioni giungeva il lavoro di Currow 58. L’aggiunta di POT alla terapia con oppioidi non aggiunge ulteriore miglioramento della dispnea 59.

Pertanto i pazienti affetti da neoplasia o patologie cardiorespiratorie end-stage non devono essere trattati con POT se non ipossiemici o con ipossiemia lieve. Opportuna è invece la terapia con oppioidi.

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Affiliazioni

Esmeralda Kacerja

UOC Pneumologia UTIIR, Ospedale Madonna delle Grazie, Matera

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UOC Pneumologia UTIIR, Ospedale Madonna delle Grazie, Matera

Elio Costantino

UOC Pneumologia UTIIR, Ospedale Madonna delle Grazie, Matera

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2019

Come citare

Kacerja, E., Carlucci, B., Moio, M. A., Pontillo, A., Romeo, D., & Costantino, E. (2019). Ossigenoterapia a lungo termine. Stato dell’arte dal 2004 a oggi. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 34(1-2), 16-21. https://doi.org/10.36166/2531-4920-2019-34-10
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