L’altro lato dello schermo all’epoca del COVID-19
Abstract
La pandemia da COVID-19 ha imposto alla comunità umana delle forme nuove di comportamento. Ha fatto diventare ancora più importante l’utilizzo dei moderni mezzi informatici, costringendo le persone a relazionare tra di loro attraverso il Web. Questa situazione senza precedenti nella storia dell’Umanità provocherà delle conseguenze di cui non sono ancora ben conosciuti i limiti e le caratteristiche. È necessario riflettere su queste nuove e innovative condizioni di vita e di interazione sociale.
Articolo
Racconta il grande regista Fritz Lang, quello del film “Metropolis” per intenderci, che verso la fine di marzo dell’anno 1933 fu convocato a Berlino dal ministro della propaganda, il potente dott. Joseph Goebbels. Il Nazismo aveva preso il potere da poco nel gennaio del 1933 grazie a libere e favorevoli elezioni e il ministro non era culturalmente uno sprovveduto. Proveniva da una famiglia di salde convinzioni cattoliche e aveva studiato lettere e filosofia all’università di Bonn, non disdegnando addirittura di ricevere una discreta formazione teologica. Davanti alle perplessità del regista e ai suoi timori, Goebbels gli propose di assumere un ruolo di guida del nuovo cinema tedesco che appariva oramai come una perfetta e articolata macchina di propaganda funzionale alla costruzione del consenso nazista 1,2.
Lang fece presente di essere di etnia ebraica e quindi difficilmente al riparo da possibili critiche e persecuzioni da parte di un partito che si era autoproclamato radicalmente antiebraico. Goebbels gli rispose che non era il caso di preoccuparsi, in quanto erano loro, i Nazisti, a decidere chi fosse ebreo o meno! La sera stessa, come narrato dallo stesso Fritz Lang, il regista lasciò Berlino per Parigi e quindi alla volta degli Stati Uniti. I suoi conti correnti bancari e i suoi beni vennero sequestrati dai Nazisti. Lang aveva compreso tutto. La realtà stava per essere stravolta e manipolata in una forma e quindi in una sostanza quale mai era avvenuto prima.
Tutti i dittatori sanno come la prima cosa da fare quando si raggiunga il potere oppure per conseguirlo consista nell’impadronirsi dei mezzi di comunicazione. Questa procedura può essere condotta in un modo più o meno evidente, dipende unicamente dal sistema politico e sociale in cui viene articolata. Le democrazie liberali hanno costruito nel tempo degli strumenti di parziale garanzia, dei contrappesi studiati per evitare che la voce di chi detiene il potere diventi l’unica percepibile. Nei fatti questo non sempre avviene, tanto che su scala planetaria la manipolazione della realtà è divenuta la regola. Una regola che si declina attraverso la formula: la realtà è quella che viene raccontata. Tuttavia è come la si narra la realtà che fa la differenza, che si costruiscono gli equilibri, perché la forma, in una modalità comunicativa, è di fatto sostanza.
Ogni forma di illusione romantica sull’imparzialità dell’informazione è stata ormai spazzata via dal Web. La molteplicità delle fonti non incrementa le possibilità di conoscenza e questo fattore di confusione, questa nuvola di incertezze e di contraddizioni avvolge la comunità umana. Un insieme destinato a divenire sempre più virtuale, mentre paradossalmente aumenta il numero dei suoi componenti. La costrizione delle libertà individuali a cui la reclusione anti contagio ci ha obbligati ha forse reso più difficile la vita al COVID-19, ma ha provocato un’accelerazione impetuosa verso una nuova dimensione dell’essere dell’individuo. Persone che sono diventate ancora più sole perché le occasioni di interazione umana diretta e reale si sono di colpo rarefatte. Isolati all’interno delle loro case per la maggior parte del tempo, donne e uomini si sono dovuti adattare all’unico modo di potere comunicare con il mondo che fosse rimasto, la Rete. La televisione ha pertanto assunto per una volta una posizione di relativa secondarietà, perché capace di fornire solo rapporti umani mediati e questi non bidirezionali. Come nel mondo distopico di “1984”, il romanzo di George Orwell, è stata concessa a tutti la possibilità di usufruire dell’altro lato dello schermo, una possibilità che nel racconto orwelliano era una prerogativa solo dei pochi capi del mondo, dei personaggi che facevano della propria invisibilità nella società che controllavano il proprio punto di forza. Si trattava di autocrati misteriosi che potevano osservare la vita delle persone senza esserne toccati, potevano dirigere gli altri senza che le decisioni prese e i loro effetti diretti fossero chiaramente percepibili 3.
Una domanda risulta inevitabile ed è un interrogativo a cui non pare facile dare una risposta. Se ogni informazione è diventata accessibile a tutti ed è liberamente scambiabile con gli altri, in cosa può ora risiedere il carattere manipolatorio del Sistema? La prima risposta è la più semplice. Chi detiene una maggiore capacità di diffondere le notizie, vere o false che siano, possiede un vantaggio incolmabile nei confronti di chi siede da solo davanti alla tastiera qwerty del proprio computer oppure digiti in solitario sullo schermo del tablet o dello smartphone. Pertanto la numerosità ripetitiva del dato travalica immediatamente il fattore di verità contenuto nel dato stesso. Per dirla con il dottor Goebbels e una sua presunta citazione, non sappiamo quanto reale ma consona al personaggio: “qualsiasi menzogna ripetuta un milione di volte diventa una verità”.
Cosa rimane in mano ai cercatori di certezze che si scambiano notizie e informazioni in Rete? Unicamente una sensazione consolatoria di avere partecipato a un gioco e di avere avuto un ruolo in un meccanismo molto più grande delle loro singole individualità e certezze. Di rado si incontra attraverso un browser qualcun altro che condivida identiche aspettative e soprattutto una certa interpretazione della realtà comune ai due interlocutori e questa situazione consolatoria riveste le caratteristiche dell’illusione, una possibilità che per qualcuno può prendere la forma dell’allucinazione. Non vi è modo di verificare sul campo la misura di verità contenuta in alcune notizie, perché non è possibile uscire e incontrarsi, scorgere l’espressione di altri visi con nettezza, osservare le disposizioni motorie del corpo dell’interlocutore, lasciare che le sensazioni amplificate dalla vicinanza biologica colmino il fossato del timore e rendano più sicura l’interpretazione del narrato.
Alla fine, dopo tanta virtualità incoraggiata e largamente disponibile, diventa sempre più difficile accorgersi di cosa sia la realtà, di quale sia la natura del terreno su cui stiamo camminando. Come Satana, il personaggio del Paradise Lost di John Milton, finiamo per credere che il nostro regno sia la mente e che in essa possiamo costruirci inferni e paradisi a propria misura, luoghi ritagliati su alcune esigenze che non esistono realmente, ma possiedono una propria concretezza in quanto soddisfano la capacità di continuare a fare sognare l’individuo che li possiede e li anima. Questo è uno degli effetti più insidiosi della pandemia da COVID-19, una secondarietà legata alla reclusione di massa, imposta per necessità e accettata senza protesta perché era necessario ottemperare a un bene maggiore, la salvezza della vita di ognuno e delle persone a lui care.
Su questo ricatto inevitabile è stata pertanto costruita una forma di convivenza alternativa quale mai l’umanità aveva conosciuto in tutta la sua storia. Nel passato l’umanità era stata abituata a sopportare e adeguarsi a periodi di quarantena più o meno lunghi che riguardavano però comunità relativamente circoscritte. Non era mai avvenuto invece che interi continenti si rinchiudessero in sé stessi. Milioni di esseri umani hanno attraversato il confine tra la realtà e la virtualità e ignoro se saranno in grado di tornare indietro. Hanno vissuto attraverso le loro molteplici esperienze e le diverse storie l’intuizione cartesiana che stava alla base del Discorso sul Metodo e temo non ne usciranno completamente illesi: “… Ne conclusi di essere io stesso una sostanza di cui tutta l’essenza o natura consisteva solo nel pensare e che per esistere non aveva bisogno di un luogo, né questo dipendeva da qualcosa di materiale. Ciò che definivo come il mio Io, vale a dire l’anima per cui io sono quel che sono, era qualcosa d’interamente distinto dal mio corpo ed era tanto più facilmente riconoscibile perché se anche il mio corpo non fosse esistito, non per questo il mio Io avrebbe cessato di essere tutto ciò che è …” René Descartes (Cartesio), Discorso sul Metodo, 1637 4
In questo modo si è compiuta la grande mutazione e la realtà è diventata pertanto solo una nuova finestra sullo schermo come intuito qualche anno fa dalla sociologa e psicologa americana Sherry Turkle del M.I.T, un mondo di cui si è signori e che si può padroneggiare e organizzare. Un nuovo contesto che appare per alcuni di compensazione parziale, per altri invece sufficiente e gratificante, di tutto quello che ci è stato tolto dal distanziamento sociale, delle luci, dei colori e dei profumi dell’esistere, una forma certa di sostegno alla nostra transitoria vicenda e alla prevedibile mortalità della condizione umana 5.
Verso la metà degli anni Venti del secolo scorso, il sociologo americano William Thomas elaborò una singolare e innovativa teoria che affermava più o meno così: “Se gli uomini definiscono reali le situazioni esse saranno reali nelle loro conseguenze”. Thomas aveva intuito quello che poteva accadere se si fossero utilizzati i poteri della comunicazione di massa in una modalità priva di controllo. La sua definizione prese con il tempo il nome di Teorema di Thomas e finì per essere alla base delle più importanti strategie comunicative e di disinformazione del XX secolo e del nostro. La socialità delle persone si nutre di comunicazione e questa risulta indispensabile ed esposta ai pericoli della manipolazione. Abolendo il più possibile la comunicazione diretta che si serve della voce e della parola, dello sguardo e dei gesti senza mediazione strumentale, si rende ancora più facile convincere le persone di verità inoppugnabili che sono invece o possono essere soltanto delle menzogne. Mancando nel chiuso delle loro case ogni termine di paragone, ci si abitua a considerare l’immagine equivalente all’essere e pertanto, soprattutto nei soggetti più giovani che sono avvezzi da tempo a essere sempre connessi, si va incontro a una parcellizzazione della coscienza. Se “ogni coscienza è una coscienza percettiva” (Merleau-Ponty) l’unica coscienza ottenibile è ciò che ci viene trasmesso attraverso la diffusione capillare e di massa dell’informazione che si può ottenere attraverso il Web. Diventa allora estremamente semplice ricorrere alla così detta Profezia Autocreatrice, il meccanismo attraverso il quale un concetto falso affermato e diffuso ad arte con una potenza adeguata genera un cambiamento nei comportamenti reali, provocando un salto, sebbene questo possa essere completamente menzognero, tra ipotesi e realtà 6,7.
Si genera pertanto una forma di contagio culturale, pericoloso quanto quello di un virus e contro cui esistono armi molto meno lineari da impiegare. Se la menzogna avvera sé stessa, cosa vi potrà essere di migliore e di più predittivo di un bel sondaggio, uno strumento che crea la sicurezza fallace di un consenso popolare. Una vera e propria illusione di imparzialità instillata d’analisi statistica che mentre diffonde un dato, l’esito del sondaggio, finisce in realtà secondo Thomas per crearlo. In questo modo la realtà si sfarina nelle coscienze e ciò a cui l’individuo finisce per credere risulta solo un sogno da cui si ha paura di essere risvegliati non riuscendo a liberarsi dalla parzialità intrinseca del proprio sogno, perché una visione onirica attendibile e vissuta con coerenza diventa essa stessa la realtà 8.
Questi sono gli effetti secondari, ma non per questo meno rilevanti, che corriamo davanti all’isolamento dell’individuo diffuso in modo universale. Stiamo assistendo a una sostituzione organizzata del mondo e della sua percezione costruita attraverso gli strumenti dell’informatica, un inganno che stiamo vivendo in questo periodo storico a causa della pandemia da COVID-19. Se poi l’inconsistenza della realtà non sia qualcosa che appartiene agli strumenti utilizzati per decifrarla, ma alla realtà stessa, come aveva intuito Italo Calvino poco tempo prima di morire, non so affermarlo con sicurezza 9.
Rimane alla fine la presenza intangibile di un mistero profondo di cui non possediamo tutte le coordinate per cercare di risolverlo. Possiamo solo sforzarci di vivere con consapevolezza la nostra condizione da entrambi i lati dello schermo 10.
Riferimenti bibliografici
- Dal documentario di Jorge Dana. Fritz Lang, il cerchio del destino. 2000.
- AA. VV. Il cinema, Grande Storia Illustrata, Vol. I.. Istituto Geografico De Agostini: Novara; 1981.
- Orwell G. Mondadori: Milano; 2016.
- Descartes R. Il Discorso sul Metodo. Mondadori: Milano; 2000.
- Turkle S. La vita sullo schermo. Apogeo: Milano; 1997.
- Merton RK. In: Teoria e Struttura Sociale, II. Il Mulino: Bologna; 1971.
- Merleau-Ponty M. Fenomenologia della percezione. Bompiani: Milano; 2003.
- Marconi D. Filosofia e Scienza Cognitiva. Laterza: Roma-Bari; 2001.
- Calvino I. Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio. Mondadori: Milano; 2012.
- Perozziello FE. Appena prima della tempesta - Un diario ai tempi del COVID-19. 2020. Publisher Full Text
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