Correva l'anno 2018
Pubblicato: 2019-04-15

Oncologia Toracica

UO Pneumologia Oncologica, Azienda Ospedaliera San Camillo- Forlanini, Roma

In questa breve revisione parlerò di 3 studi, pubblicati nel 2018, che sono destinati a modificare alcune strategie nel trattamento di I linea del NSCLC (Non-Small-Cell Lung Cancer). Le scoperte scientifiche degli ultimi 10-15 anni hanno individuato terapie personalizzate, diverse dalla chemioterapia, per molti sottotipi di carcinoma polmonare: quelli mutati per EGFR, ALK e ROS1, trattati con farmaci a bersaglio molecolare, e quelli con un’espressione di PD-L1 > 50%, trattati con l’immunoterapia. Nonostante la chemioterapia rimanesse l’unica opzione in circa la metà dei casi di NSCLC, sembrava destinata ad essere progressivamente soppiantata da farmaci meno aggressivi e più rispettosi della qualità della vita dei pazienti.

Lo studio pubblicato da Leena Gandhi e coll. sul New England Journal of Medicine 1 ha segnato in un certo senso un’inversione di tendenza in questo processo. Il Keynote-189 è un RCT (Randomized Controlled Trial) condotto su 616 pazienti affetti da NSCLC non squamoso (IV stadio) trattati con 4 cicli di chemioterapia con cisplatino (o carboplatino) e pemetrexed, cui seguiva una terapia di mantenimento con pemetrexed ogni 3 settimane + pembrolizumab o placebo (ogni 3 settimane, fino a 35 cicli). Veniva effettuata una stratificazione per espressione del PD-L1 (> 1% vs < 1%), utilizzo di cis- o carboplatino e storia di fumo; i primary endpoint erano la sopravvivenza complessiva (OS) e quella libera da malattia (PFS). La OS a 12 mesi era 69,2% nel gruppo del pembrolizumab rispetto a 49,4% nel gruppo del placebo (HR 0,49, IC 0,38-0,64). La mediana di OS non veniva raggiunta nel gruppo del pembrolizumab, mentre era 11,3 mesi nei pazienti trattati con placebo. La PFS a 12 mesi era 34,1% vs 17,3%; la PFS mediana era 8,8 mesi vs 4,9 (HR 0,52, p < 0,001). L’aggiunta di pembrolizumab si dimostrava vantaggiosa in tutti i sottogruppi, incluso quello dei pazienti con espressione di PD-L1 < 1% (HR = 0,59, IC 95% 0,38-0,92); sebbene all’aumentare dell’espressione di PD-L1 si osservasse un progressivo incremento dell’efficacia del trattamento combinato.

Per quanto riguarda gli effetti avversi, il braccio del trattamento combinato presentava una maggiore percentuale di effetti avversi, ma non c’era interferenza tra quelli della chemioterapia e quelli dell’immunoterapia, ad eccezione dei casi di danno renale acuto, che si osservavano nel 5,2% nel gruppo del pembrolizumab e nello 0,5% nel gruppo del placebo. Si verificavano 3 decessi da polmonite immuno-mediata nei pazienti trattati con la combinazione chemio-immunoterapia.

L’osservazione che la terapia combinata (chemio + immuno) avesse una maggiore efficacia rispetto alla chemioterapia standard, soprattutto in presenza di un’elevata espressione di PD-L1, ha posto il problema di quale dovrebbe essere l’approccio terapeutico di I linea in questo sottogruppo di pazienti (PD-L1 > 50%), attualmente trattati con il solo pembrolizumab. Bria e coll. hanno tentato di dare una risposta a questa domanda con una meta-analisi pubblicata su Seminars in Oncology 2. Lo studio confrontava la OS come endpoint primario, la PFS e l’ORR (tasso di risposta obiettiva) come endpoint secondari, tra i RCT che analizzavano l’efficacia del pembrolizumab, somministrato in monoterapia oppure in associazione (rispetto alla chemioterapia standard). La revisione sistematica della letteratura e degli abstract presentati nei principali congressi oncologici identificava quattro RCT: due analizzavano l’efficacia della monoterapia (Keynote-024 e Keynote-042) e due della terapia combinata (Keynote-189 e Keynote-407). L’HR cumulativo non mostrava una significativa differenza in OS della terapia di combinazione rispetto alla monoterapia. Era presente, però, un significativo beneficio in termini di risposta, testimoniato da valori di HR cumulativo per ORR e PFS significativamente inferiori nei pazienti sottoposti alla terapia di combinazione. Malgrado il piccolo numero di RCT inclusi nella meta-analisi, i risultati sembrano suggerire che, in presenza di un paziente con NSCLC che esprime il PD-L1 > 50% delle cellule neoplastiche, la terapia di combinazione debba essere preferita quando è richiesta una rapida riduzione delle dimensioni del tumore in un paziente in buone condizioni generali, mentre la monoterapia con pembrolizumab possa rappresentare il trattamento “standard”. In conclusione, la scelta andrà orientata sulle caratteristiche del paziente e della malattia, dopo un’attenta considerazione del differente tipo di efficacia e del diverso profilo di tossicità delle due opzioni terapeutiche.

Il terzo studio che ho scelto, il FLAURA, è un RCT che potrebbe modificare radicalmente la gestione dei pazienti con NSCLC e mutazione “sensibilizzante” del gene per l’EGFR. È ormai assodato che gli inibitori delle tirosin-chinasi dell’EGFR (EGFR-TKI) aumentano di circa il doppio la PFS di questi pazienti rispetto alla chemioterapia (11 vs 5,6 mesi). Successivamente interviene una resistenza al farmaco che, nella metà dei casi, è dovuta allo stesso meccanismo: la sostituzione di una treonina con una metionina in posizione 790 (T790M). L’osimertinib è un EGFR-TKI di terza generazione che riesce a legarsi in maniera irreversibile alla molecola anche in presenza della mutazione T790M ed è stato finora utilizzato in seconda linea, cioè dopo la comparsa della mutazione di resistenza. Lo studio FLAURA randomizzava 556 pazienti con NSCLC EGFR-mutato ad assumere in I linea un EGFR-TKI di I generazione oppure osimertinib. La PFS mediana risultava essere circa doppia nel gruppo sperimentale (18,9 vs 10,2 mesi, HR 0,46, IC 95% 0,37-0,57, p < 0,001) e così la durata mediana della risposta radiologica (17,2 vs 8,5 mesi). Sebbene i dati sulla sopravvivenza complessiva fossero immaturi al momento della pubblicazione dello studio, a 18 mesi era vivo l’83% dei pazienti in terapia con osimertinib vs il 71% di quelli nel braccio di controllo (HR 0,63 IC 95% 0,45-0,88). Il profilo di tossicità era simile nei due gruppi, con una maggiore frequenza degli eventi gravi nel gruppo di controllo.

Quando compare progressione di malattia in corso di EGFR-TKI, la ricerca della T790M presenta diverse difficoltà: le condizioni generali possono precludere l’esecuzione della re-biopsia oppure le sedi della progressione possono essere difficilmente accessibili o, ancora, il prelievo può non essere sufficiente per l’analisi molecolare. Per queste ragioni si ricorre spesso alla biopsia liquida che però è ancora gravata da una bassa sensibilità. La somministrazione di osimertinib in I linea potrebbe aggirare tutte queste difficoltà e agire anche nei casi di comparsa precoce di T790M, responsabili del fallimento degli EGFR-TKI a pochi mesi dall’inizio della terapia. Lo studio FLAURA lascia però alcuni interrogativi, tra cui il fatto che non vengano forniti i dati definitivi sulla sopravvivenza e che non siano ancora chiari i meccanismi di resistenza all’osimertinib e la loro influenza sulla OS dei pazienti trattati con questo farmaco in prima linea.

Riferimenti bibliografici

  1. Gandhi L, Rodríguez-Abreu D, Gadgeel S, KEYNOTE-189 Investigators. Pembrolizumab plus chemotherapy in metastatic non-small-cell lung cancer. N Engl J Med. 2018; 378:2078-92.
  2. Pilotto S, Carbognin L, Rossi A. Avoiding chemotherapy for advanced nononcogene addicted NSCLC overexpressing PD-L1: rule or option?. Semin Oncol. 2018; 45:176-80.
  3. Soria JC, Ohe Y, Vansteenkiste J, FLAURA Investigators. Osimertinib in untreated EGFR-mutated advanced non-small-cell lung cancer. N Engl J Med. 2018; 378:113-25.

Affiliazioni

Stefania Greco

UO Pneumologia Oncologica, Azienda Ospedaliera San Camillo- Forlanini, Roma

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2019

Come citare

Greco, S. (2019). Oncologia Toracica. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 34(1-2), 7-8. https://doi.org/10.36166/2531-4920-2019-34-05
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