Il punto di vista del tisiologo e del filosofo sul futuro della Tisiologia
Abstract
Quale sarà il futuro della tubercolosi? In che modo la globalizzazione ne modificherà patogenesi ed espressione clinica? In che modo ricerca e prassi medica potranno interagire per mantenere la centralità del paziente e tutelare la comunità? Il nuovo pericolo della tubercolosi multi-resistente (MDR-TB) ed estremamente-resistente (XDR-TB) è in incremento, esso è sostenuto da trattamenti antitubercolari inadeguati che hanno selezionato ceppi farmaco-resistenti di Mycobacterium tuberculosis oggi difficilmente aggredibili. Nel XIX secolo le epidemie tubercolari in assenza di terapie antibiotiche hanno probabilmente consentito la sopravvivenza di soggetti geneticamente resistenti al morbo ma suscettibili ad altre malattie che si sono così diffuse. Allo stesso modo la nuova epidemia potrebbe influenzare la futura epidemiologia delle malattie internistiche. Per contrastare un tale cambiamento possiamo soltanto impegnarci per trattare adeguatamente tutte le forme tubercolari farmaco-sensibili e per fare questo abbiamo bisogno di una rete di competenze che affronti contemporaneamente gli aspetti sociali, psicologici, etici e le politiche sanitarie e sia in grado di sensibilizzare la popolazione e formare il personale. Tisiologi e filosofi hanno avviato le loro considerazioni partendo dal concetto Husserliano di “mondo della vita” cioè il mondo vivente dell’umanità effettiva, percepibile ed esperibile solo dalla nostra coscienza, in contrasto con il mondo “reale” che è una sovracostruzione teoretico-logica. Il mondo della vita del malato tubercolare è caratterizzato dallo stigma che fa del malato un soggetto indesiderabile e discriminato. Inoltre l’attuale tendenza della Medicina – guidata dalla Tecnica – a guardare il malato come un entomologo guarderebbe un insetto rende il mondo della vita del tubercolotico ancora più opprimente e frena ogni sua richiesta di aiuto al proprio medico così impedendo che una malattia contagiosa venga curata. L’umanizzazione del sistema di controllo della tubercolosi dovrebbe essere il nuovo obbiettivo dei tisiologi.
Introduzione
La Pneumologia può essere considerata la branca anticipatrice della Medicina Interna e la Tisiologia la branca fondante della Pneumologia 1 e conseguentemente della stessa Medicina Interna (Figura 1).
È noto infatti che la tubercolosi oltre a coinvolgere il polmone (80%), può coinvolgere tutti gli altri organi o apparati: pleura, pericardio, meningi (con la temibile meningite tubercolare), ossa e dischi intervertebrali (l’insidiosa spondilodiscite tubercolare), le linfoghiandole, l’apparato genito-urinario e più raramente la mammella, la cute, l’occhio, il sistema nervoso, l’intestino, il fegato.
I quadri tubercolari inoltre sono differenti a seconda che colpiscano gli adulti o i bambini, i soggetti immunocompetenti o gli immunocompromessi. Pertanto anche nelle branche di pediatria e di immunologia la tubercolosi assume un ruolo di rilievo.
Infine la psicologia trova nello stigma legato alla malattia e nella conseguente risposta depressiva di isolamento sociale del malato, materia di approfondimento.
Tubercolosi e globalizzazione
Non è facile prevedere se la tubercolosi sarà la malattia del futuro, certamente non è una malattia del passato. Ha subìto un forte ridimensionamento nei paesi industrializzati, ma in ampie regioni del pianeta è tuttora una priorità sanitaria. La sua diffusione in tutto il corso della storia dell’uomo è stata favorita dai movimenti migratori, i quali, dalla fine dello scorso secolo, agevolati da una facilità di spostamento prima impensabile, coinvolgono un numero enorme di persone.
Oggi quasi un miliardo, cioè una persona ogni sette, sono migranti: 740 milioni di migranti nazionali, 200 milioni di migranti internazionali 2. E nel prossimo futuro si profila un serio pericolo per tutti gli interventi di contenimento della malattia e dell’infezione, la tubercolosi multi-farmaco-resistente (MDR e XDR). Non solo per l’attuale mancanza di farmaci capaci di combatterla adeguatamente, ma anche perché è diagnosticata con estrema lentezza: si stima che nel 2008 si siano verificati 440.000 casi di TB resistente ai farmaci, ma di questi ne sono stati notificati solo 28.000, il 7%.
Non è facile prevedere se la tubercolosi sarà la malattia del futuro, certamente non è una malattia del passato.
Il trattamento di queste forme è efficace, anche se solo nella metà dei casi, con l’uso di tecniche diagnostiche e di farmaci costosi e pertanto improponibili nei paesi a basso livello economico, dove tali forme sono più diffuse e gli insuccessi di trattamento e la mortalità sono elevati 3. È reale quindi il rischio di una lenta sostituzione, nei malati e negli infetti di tutto il mondo, dei bacilli tubercolari sensibili ai farmaci di prima e seconda linea con altri bacilli resistenti.
Dato il fenomeno crescente delle migrazioni, il futuro della tubercolosi sarà dunque forgiato dalla globalizzazione? Diventeranno più frequenti le forme extrapolmonari e i quadri “farmaco resistenti e atipici” mentre la diffusione dell’infezione, specialmente MDR e XDR, innescherà processi patofisiologici e modificazioni epigenetiche tali da cambiare il volto della medicina interna dei prossimi decenni?
La risposta è nelle mani della ricerca medica e delle sue possibilità di apportare, attraverso le istituzioni sanitarie degli Stati nazionali (incluso il nostro SSN), cambiamenti reali nella gestione della tubercolosi. Ma a tale proposito le perplessità non mancano ed è importante conoscerle e dibatterne i contenuti.
Un invito in tal senso giunge dai filosofi, attenti a non separare gli aspetti umanistici della medicina dalla sua “tecnica”. Il rischio, avvertono, è che la medicina, sotto la spinta della scienza, snaturi il rapporto tra medico e malato, considerando quest’ultimo come un entomologo guarderebbe un insetto.
Nella gestione della tubercolosi, più che in altre patologie, vi è la necessità che i fattori sociali e psicologici si integrino con l’azione diagnostica e farmacologica.
Nei paragrafi che seguono saranno espressi i due punti di vista, quello umanistico della filosofia e quello oggettivo della tecnica medica, e se ne tenterà una sintesi. Giacché nella gestione della tubercolosi, più che in altre patologie, vi è la necessità che i fattori sociali e psicologici, sia individuali che collettivi, si integrino con l’azione diagnostica e farmacologica.
Un paradosso della scienza medica: dimenticare il malato
Agli inizi del Novecento la scienza aveva raggiunto risultati straordinari non soltanto nel campo della fisica, ritenuta la regina delle scienze, ma anche nelle altre sue branche. La stessa scienza medica poteva vantare risultati così importanti da non potersi ignorare nemmeno in campo filosofico. Tuttavia non pochi filosofi polemizzavano con gli scienziati a causa della loro tendenza a privilegiare i fatti “bruti” rispetto alla loro interpretazione. Tra di essi Edmund Husserl (1859-1938) dedicò l’ultima sua opera, La crisi delle scienze europee, a denunciare il fatto che le scienze naturali non riuscissero a comprendere la vita umana, ridotta ad un mero fatto fisiologico: «Nella miseria della nostra vita – si sente dire – questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude per principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, … i problemi del senso o del non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso... essi concernono l’uomo nel suo comportamento di fronte al mondo circostante umano ed extra-umano, … la mera scienza di fatti non ha nulla da dirci a questo proposito; essa astrae appunto da qualsiasi soggetto» 4.
Con le sue riflessioni Husserl ha anticipato una polemica che ancora oggi vede contrapposti da una parte i filosofi di ambito umanistico, dall’altra coloro che hanno fatto proprio il cosiddetto “scientismo”, cioè l’atteggiamento che vede nella scienza la sola attività in grado di rispondere anche a quelle questioni (quali l’etica o il benessere umano) tradizionalmente riservate alla filosofia. Contro il diffondersi del naturalismo, che considera gli esseri umani parte integrante del mondo della natura, Husserl si è posto come un antesignano della filosofia umanistica, giacché per lui «considerare la natura che vale nella prospettiva del mondo della vita come un che di estraneo allo spirito e fondare le scienze dello spirito sulle scienze naturali, presumendo di renderle esatte, è un controsenso» 5.
Di fronte al carattere unilaterale della scienza, Husserl aveva operato una fondamentale distinzione a proposito del concetto di corpo. Aveva cioè distinto tra il mero corpo fisiologico (Körper), oggetto della medicina, e il corpo proprio, cioè il corpo individuale senziente di ognuno di noi (Leib), che non è soltanto un oggetto corporeo. Se già questa distinzione denunziava la miopia del riduzionismo tipico della scienza, nella Crisi, che è il suo testamento filosofico, Husserl introduce un concetto ancor più calzante, quello di “mondo della vita” (Lebenswelt), cioè il mondo vivente dell’umanità effettiva. Questo mondo non è quello che è nella sua oggettività, ma è il mondo come appare (non a caso la filosofia di Husserl si dice “fenomenologia”) e vale per le persone che lo vivono.
La crisi delle scienze dipenderebbe per Husserl dall’incomprensione di questo mondo, percepibile ed esperibile solo dalla nostra coscienza: «Il contrasto tra l’elemento soggettivo del mondo della vita e del mondo “obiettivo” e “vero” sta semplicemente in questo: che quest’ultimo è una sovracostruzione teoretico-logica, di qualche cosa di principio non percepibile, mentre l’elemento soggettivo del mondo della vita si distingue proprio per la sua esperibilità» 6.
Nella tubercolosi il “mondo della vita” è condizionato dallo stigma legato alla malattia.
Nella tubercolosi il “mondo della vita” (Lebenswelt) è condizionato dallo stigma legato alla malattia, cioè quel processo che inizia quando un particolare tratto o una caratteristica di un individuo o di un gruppo viene considerato indesiderabile e svalutato 7. Il malato di tubercolosi, stigmatizzato, introietta questo disvalore e sviluppa spontaneamente un senso di vergogna, disgusto e colpa nei confronti del proprio corpo (Leib) che lo inducono a nascondere la malattia. Per la medicina, intesa come tecnica, la conseguenza di tale processo è, da un lato, la difficoltà a diagnosticare rapidamente l’organismo ammalato (Körper) di chi vuole nascondere la propria malattia e, dall’altro, la difficoltà ad avviare lo screening dei contatti per curare i soggetti contagiati, con conseguente diffusione dell’infezione nella popolazione 8.
Lo stigma rende i due mondi impermeabili e ostacola la loro comunicazione. Perciò, se non si vuole fare del malato uno sconosciuto soppiantato da un corpo-cosa, la Tisiologia non dovrebbe trascurare la “dimensione storica”, per usare un’espressione husserliana, e recuperare quell’attitudine umanitaria che già Ippocrate postulava come indispensabile al medico. Per dimensione storica Husserl intende non il mondo obiettivo delle scienze, ma il mondo valido soggettivamente. Ad esempio, il mondo storico al quale i greci rivolgevano le loro preoccupazioni e i loro sforzi, la realtà che valeva nella dimensione del loro “mondo della vita” includeva, tra l’altro, gli dei.
Tale realtà e una maggiore umanità sono oggi sempre più reclamate dai medici e sono state implicitamente riprese dalla cosiddetta “medicina narrativa”, la cui impostazione è apparentemente in contrasto con la normale medicina basata sull’evidenza, ma in realtà è complementare a essa. La prima si occupa infatti della malattia e si basa sulla capacità di ascoltare il malato (ad esempio, non riducendo il ruolo dell’anamnesi ad una sbrigativa raccolta della successione dei sintomi, ma lasciando che il paziente stesso interpreti il suo male), la seconda si occupa della patologia e agisce in base alle tecniche diagnostiche.
La ricerca medica e la “nuova vision” della tubercolosi
Se dunque la prassi tisiologica ha necessità di occuparsi del Leib del malato, nondimeno la ricerca ad essa collegata ha il compito di sviluppare nuove tecniche per meglio comprendere, prevenire e diagnosticare la malattia e curare il Körper tisico. Così la tisiologia del nuovo millennio, ha ristrutturato i pilastri dell’immunologia antitubercolare tradizionale ed ha aperto la strada ad una innovativa speculazione scientifica che oggi come in passato amplia l’intero sguardo della medicina interna.
Malattie del connettivo come l’artrite reumatoide, del metabolismo come il diabete o la stessa sindrome metabolica sono state messe etiologicamente in relazione con forme di infezione tubercolare pregressa.
Si è notato che l’epidemiologia attuale dell’artrite reumatoide ricalca l’epidemiologia della tubercolosi di 100-200 anni fa.
Artrite reumatoide, una conseguenza della tubercolosi? Si è notato che l’epidemiologia attuale dell’artrite reumatoide ricalca l’epidemiologia della tubercolosi di 100-200 anni fa 9. Inoltre recenti scoperte derivate dall’analisi dei polimorfismi genetici associati con le malattie hanno identificato un link tra geni coinvolti nella risposta all’infezione tubercolare e geni coinvolti nella suscettibilità all’artrite reumatoide 9. Risultato: l’artrite reumatoide e forse anche altre malattie autoimmuni potrebbero essere moderne manifestazioni della pressione genetica selettiva esercitata dalle epidemie tubercolari del recente passato. In pratica, è possibile che le epidemie tubercolari, per esempio quelle verificatesi nel XIX secolo, abbiano causato la morte degli individui geneticamente recettivi alla tubercolosi lasciando sopravvivere quelli geneticamente resistenti, nei quali tuttavia tale resistenza poteva associarsi con una contemporanea suscettibilità all’artrite reumatoide.
Che la tubercolosi possa “complicar” a volte il diabete è nozione comune. Non altrettanto che il diabete sia una complicanza della tubercolosi.
Tubercolosi, effetto e causa del diabete? Che la tubercolosi possa “complicar” a volte il diabete è nozione comune. Non altrettanto che il diabete sia una complicanza della tubercolosi 10. Alcuni studi hanno documentato una responsabilità dell’insulina nella fagocitosi del mycobacterium tuberculosis ipotizzando che l’insulino-resistenza rappresenti un rischio per lo sviluppo della malattia tubercolare 11.
Tubercolosi e sindrome metabolica. La bacillemia che fa seguito all’infezione tubercolare dissemina i micobatteri al di fuori dei polmoni coinvolgendo il tessuto adiposo che in risposta all’infezione aumenta la produzione di adipochine, in particolare il monocyte chemoattractant protein-1 (MCP-1) che è una linfochina con potente attività pro-infiammatoria. MCP-1 induce nell’uomo sia il reclutamento di macrofagi da parte del tessuto adiposo sia la resistenza insulinica. Inoltre la persistente stimolazione immunitaria induce adipolipogenesi con incremento del grasso viscerale e della quantità di acidi grassi, i quali nel fegato inducono gliconeogenesi e aumento della glicemia 12.
La tubercolosi nel futuro
L’incoraggiamento dei filosofi affinché gli aspetti umanistici della tisiologia prevalgano sulla “tecnica” medica si sposa con l’obbiettivo dell’Organizzazione Mondiale Sanità di azzerare i morti per tubercolosi entro il 2050 13.
Il percorso è tuttavia irto di ostacoli, il primo è la diffusione della TB MDR o tubercolosi multiresistente ai farmaci. Sin dall’introduzione della prima terapia antibiotica con streptomicina nel 1950, ci si rese conto della rapida insorgenza di ceppi tubercolari resistenti al farmaco 14 tuttavia a partire dagli anni ’90 la loro crescita ha creato preoccupazione nei paesi industrializzati. Per esempio negli Stati Uniti, fino al 1986, le forme di TB MDR costituivano meno dello 0,5% dei nuovi casi, ma già nel 1991 avevano raggiunto il 6,9% 15. La loro comparsa rispecchia lo schema dell’evoluzione in biologia, proposto da Charles Darwin già nel 1859, attraverso la selezione 16. La pressione selettiva in questo caso non è stata esercitata dalla natura ma indotta da una cattiva gestione terapeutica: terapie scorrette per scelta di farmaci, posologia, dosaggio e tempi di trattamento.
Il secondo ostacolo è costituito pertanto dalle scarse competenze e da una insufficiente preparazione medica.
Infine il terzo ostacolo nel percorso verso l’eradicazione della tubercolosi è rappresentato dalla difficoltà a introdurre nei paesi ad alta endemia tubercolare le innovazioni diagnostiche e terapeutiche. Esse richiedono un prolungato processo formativo e una supervisione degli operatori in loco per assicurare l’appropriatezza d’uso ed evitare risultati incongrui quale la stessa creazione delle resistenze, legate a una gestione impropria del trattamento.
Non abbiamo mezzi efficaci per combattere la TB/MDR. La ricerca si è fermata nel momento in cui gli epidemiologi dei paesi industrializzati hanno erroneamente ritenuto scomparsa la tubercolosi e ci troviamo oggi di fronte a ceppi resistenti a tutti i farmaci conosciuti; l’unica possibilità per impedire la loro rapida diffusione è scongiurare l’insorgenza di nuove resistenze attraverso il corretto monitoraggio della terapia antitubercolare attuata in tutti i casi farmaco-sensibili.
La tubercolosi multiresistente è il risultato di sistemi sanitari che non funzionano o che funzionano male, di mancanza di risorse economiche ed umane. Essa è a un tempo il principale ostacolo al controllo della tubercolosi e la più grande sfida della tisiologia che richiede una rete di competenze per affrontare contemporaneamente gli aspetti sociali e le politiche sanitarie e sia in grado di sensibilizzare la popolazione e formare il personale. Soprattutto essa si dovrebbe ispirare ad un’etica medica il cui principio basilare sia, seguendo Kant, «considerare il paziente, sempre come fine e non come mezzo» 17.
La sintesi
La soluzione dei dubbi emersi risiede quindi, almeno in parte, nella formazione dei medici ma anche dei cittadini. Per questi ultimi è auspicabile l’intervento mirato dei mass-media. Per i medici invece non sarebbe inutile organizzare corsi nei quali il personale sanitario, oltre a cimentarsi con i problemi della recrudescenza della tubercolosi, patologia che evidenzia la precarietà esistenziale della medicina, magari possa leggere La montagna incantata di Thomas Mann, incentrata sulle vicende umane di un sanatorio svizzero, o La signora delle camelie di Alexandre Dumas, tormentata dal “mal sottil”.
La ragione di questo auspicio sta nel fatto che il mondo dell’arte, a differenza di quello della scienza, ha saputo immedesimarsi nel dramma della tisi. Esso lo ha infatti considerato sullo sfondo esistenziale di quel “mondo della vita”, cui prima abbiamo accennato. Ma, a prescindere dalla tisi, un programma di medicina narrativa che prevedesse la lettura di testi come La morte di Ivan Il’iˇc di Tolstoj sarebbe un arricchimento di qualunque medico e gli assicurerebbe un utile esercizio di empatia.
“Una terribil tosse l’esil petto le scuot”. Suggestioni artistiche della malattia polmonare
La tisi è il morbo che più si è prestato al melodramma. Considerata la malattia romantica per eccellenza, ha trovato la sua celebrazione in opere famose. La traviata di Verdi porta nel suo titolo l’insinuazione moralistica che il malato di tisi sia causa del suo male per la dissolutezza di vita. Qui la tisi è però una malattia non ripugnante, che si presta anche a un’interpretazione spiritualistica. Il suo malato ha una mente sanissima in un corpo in disfacimento.
La bohème di Puccini, a sua volta, tratta una vicenda ancor più patetica, perché la malattia si sposa con l’estrema povertà.
La montagna incantata di Mann accompagna al disfacimento fisico un’esuberanza psichica ritenuta generalmente una caratteristica della malattia. La descrizione dell’accesso di tosse è impressionante. Ecco come il protagonista del romanzo, l’ingegner Castorp, ne viene per la prima volta a conoscenza nel sanatorio di Davos, nelle Alpi svizzere: «… una tosse come questa non c’è mai stata, almeno per me… Non è più una tosse viva. Non è secca… Sembra quasi di vedere dentro alla persona, in uno spettacolo di limo e pantano».
Nello stesso tempo quel luogo di pena ha il privilegio di nutrire discorsi vivaci e appassionanti, come se la natura compensasse con l’effervescenza della mente il disfacimento del corpo.
La genialità di questi personaggi illustri ha alimentato la leggenda dell’eccellenza mentale dei tisici senza tuttavia metterli al riparo dalla repulsione sociale. In una sua lettera George Sand racconta che Chopin, il quale nel 1839 si era recato con lei in Spagna per trascorrervi la stagione invernale, venne sfrattato per la paura del contagio e costretto a spostarsi su un carro data l’impossibilità di trovare una carrozza.
Conclusioni
La ricomparsa odierna della tubercolosi (anche nei paesi più sviluppati) non può essere affrontata con le sole armi del progresso scientifico e tecnologico. Gli storici della medicina hanno messo in evidenza la comune fenomenologia tra i casi clinici attuali e quelli ottocenteschi del “mal sottil”.
La ricomparsa odierna della tubercolosi non può essere affrontata con le sole armi del progresso scientifico e tecnologico.
A loro avviso, non si può cioè prescindere dal carattere di malattia sociale della tubercolosi: «… oggi il grosso dei casi si concentra nelle grandi città…, dove i gruppi a rischio (senza-tetto, tossicodipendenti, carcerati, migranti, anziani, soggetti con infezione da Hiv/Aids, ecc.) condividono la condizione di compromissione immunitaria con i gruppi di popolazione addensati nei quartieri poveri delle città ottocentesche» 18.
Non bastano dunque le misure di sanità pubblica, occorre chiamare in causa le condizioni di vita che sono all’origine del male per combatterlo più efficacemente.
La filosofia ha più volte denunciato i limiti della scienza in generale (e di quella medica in particolare) quando, sganciandosi da quel mondo della vita da cui essa stessa è sorta, diventa disumanizzante. Un individuo che si ammali non può che condividere la fondatezza di tale denuncia se vede che i medici, reificandolo, si concentrano esclusivamente sul suo organismo, come un ingegnere di fronte all’avaria di un motore. Il malato non è solo un organismo biologico da curare, ma una persona legata al mondo della vita, con la sua cultura, i sui valori e la sua specifica situazione esistenziale. Non a caso i filosofi esistenzialisti hanno più volte ribadito il concetto di Husserl, secondo cui le scienze della natura, quali la fisica e la chimica, non possono pretendere di esaurire la sfera biologica.
Certo, i medici specialisti potrebbero sollevare fondate obiezioni verso questa istanza, a partire dal tempo limitato a loro disposizione che la rende di difficile applicazione. Persino negli Stati Uniti, paese considerato all’avanguardia, il tempo medio di cui dispone un paziente, non diciamo per “narrar”, ma solo per descrivere il suo inconveniente, prima di essere interrotto dal medico, è di circa ventidue secondi, «e il tempo totale che un medico dedica a un paziente è di cinque minuti, compresi “Piacere di conoscerla” e altre formule di cortesia» 19.
Come però ha notato un celebre medico e filosofo, Karl Jaspers, la specializzazione è bensì un fatto irreversibile, tuttavia le indagini specialistiche «contraddicono le loro buone intenzioni se non trovano un punto di sintesi nello sguardo superiore di un medico che abbia dinanzi ai propri occhi il tutto dell’uomo nella sua situazione reale» 20.
Ma la Tisiologia, branca fondante della Medicina Interna, gode di un vantaggio. La necessità di integrare i fattori sociali e psicologici, sia individuali – lo stigma – che collettivi, con l’azione diagnostica e farmacologica, fa sì che essa non si muova nell’ambito di un riduzionismo biologico, come è tipico di altre specializzazioni, ma in quello di un approccio globale al paziente, considerato come unità psicosomatica.
Perciò il tisiologo (al pari della sua progenie, gli internisti) è spinto dal processo di globalizzazione in atto nel mondo a conciliare gli strumenti scientifici con quelli antropologici e culturali: egli «si deve fare portabandiera di una nuova medicina per il prossimo futuro…», un obbiettivo che secondo i filosofi è, più in generale, degli internisti 21.
È vero che «il medico internista ha una grande responsabilità: quella di doversi fare carico di una cultura contraria allo spezzettamento, alla frammentazione, alla disumanizzazione» 21 ma ciò vale ancor di più per il tisiologo suo progenitore, obbligato dalla Storia a ricucire col filo dell’umanizzazione i pezzi di una scienza medica lacerata dalla sua stessa Tecnica.
Figure e tabelle
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