Trapianto di polmone nella BPCO: PRO
Introduzione
Il trapianto polmonare costituisce una procedura terapeutica per patologie polmonari non oncologiche terminali (end stage) per le quali la terapia, medica e/o chirurgica, è fallita o per le quali non esiste terapia efficace. L’obiettivo primario del trapianto è il miglioramento della sopravvivenza, l’obiettivo secondario è il miglioramento della qualità di vita.
Benché in Italia da più di vent’anni questo approccio terapeutico sia utilizzato da diversi centri che hanno maturato una consolidata esperienza dopo una congrua curva di apprendimento, l’atteggiamento dello pneumologo nel riferire il paziente affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva ai centri trapianto è ancora controverso e spesso influenzato da pregressi fallimenti per risultati ritenuti non soddisfacenti o dal decesso in lista attesa trapianto polmonare del paziente riferito.
Nel corso degli anni si è avuto un miglioramento in differenti campi della pneumologia e della trapiantologia del quale hanno beneficiato i pazienti affetti da BPCO.
In realtà nel corso degli anni si è avuto un miglioramento in differenti campi della pneumologia e della trapiantologia del quale hanno beneficiato i pazienti affetti da BPCO; tale miglioramento può essere ricondotto ad alcuni diversi fattori:
- definizione più corretta della mortalità del paziente affetto da BPCO con differenti indici;
- affinamento della selezione del donatore ed ampliamento del pool di donatori;
- miglioramento della scelta della procedura più corretta (trapianto singolo, bilaterale);
- miglioramento delle metodiche di immunosoppressione e della gestione delle infezioni batteriche e virali.
Lo scopo dell’articolo è evidenziare come il progresso conseguito abbia comportato un’evoluzione nella valutazione e nella gestione trapiantologica dei pazienti con BPCO.
Timing
Negli ultimi 20 anni il timing di riferimento e di inserimento in lista attiva del paziente con BPCO è forse il punto che ha avuto una maggiore evoluzione nella selezione del paziente ottimale.
Quando in Italia i primi centri di Trapianto Polmonare hanno cominciato a selezionare i pazienti per la procedura, i capisaldi erano i seguenti: FEV1 < 25%, PaCO2 > 55 mmHg e ipertensione arteriosa polmonare. A posteriori indici troppo aspecifici ed ampi. Dopo 10 anni di attività trapiantologica, infatti, nel gruppo di pazienti sottoposti a trapianto si era ottenuto un miglioramento della qualità di vita 1 ma non un significativo miglioramento della sopravvivenza nei confronti dei pazienti non trapiantati inseriti in lista attiva 2. È apparso chiaro che a fronte di una sopravvivenza post-trapianto non molto differente rispetto alle altre patologie (fibrosi polmonare idiopatica, fibrosi cistica, ipertensione arteriosa polmonare e deficit di alfa1-antitripsina) la differenza consisteva soprattutto nella più lunga sopravvivenza del paziente BPCO in lista attiva non trapiantato. Ciò che pertanto doveva essere perfezionato era il corretto momento di inserimento in lista trapianto.
Nel 2006 sono state pubblicate le linee guida per la selezione dei pazienti da indirizzare al trapianto polmonare, a tutt’oggi valide 3, che hanno dato nella BPCO un importante riferimento allo pneumologo per inviare il paziente al centro trapianto e sottoporlo alla procedura: BODE index tra 7-10 o almeno una delle seguenti possibilità: storia di ripetute riacutizzazioni associate ad ipercapnia (PaO2 > 50 mmHg); ipertensione polmonare, cuore polmonare o entrambi nonostante ossigenoterapia; FEV1 < 20% e enfisema omogeneo o DLCO < 20%.
Nel 2006 sono state pubblicate le linee guida per la selezione dei pazienti da indirizzare al trapianto polmonare, che hanno dato nella BPCO un importante riferimento allo pneumologo per inviare il paziente al centro trapianto e sottoporlo alla procedura.
Il BODE index 4 è un indice prognostico multifattoriale che ci indica infatti che solo i pazienti del quarto quartile con un punteggio tra 7-10 hanno una sopravvivenza a 48 mesi del 20% e sono pertanto i candidati ottimali al trapianto, mentre i pazienti con punteggio 5-6, terzo quartile, hanno una sopravvivenza del 60% circa, sovrapponibile ai pazienti trapiantati, e pertanto devono essere riferiti al centro ma non ancora sottoposti alla chirurgia trapiantologica. In più il BODE index indirettamente consiglia al centro trapianto di lavorare, con terapia medica e riabilitazione, sui 4 parametri (FEV1, Dispnea, Esercizio e Body Mass Index) per ottenere un guadagno in punteggio tale da ritardare l’inserimento in lista attiva con un vantaggio in termini di sopravvivenza pre trapianto; ciò anche in considerazione del fatto che la curva di sopravvivenza dopo il trapianto non migliora significativamente se il paziente con BPCO viene trapiantato in un quartile meno compromesso 5. Il BODE index non è stato superato dall’attuale suddivisione degli stadi della BPCO (da 1 a 4) in gruppi (da A a D) poiché aggiungendo una sola variabile allo stato funzionale (sintomi o numero di riacutizzazioni) le curve di sopravvivenza non confortano a 5 anni lo pneumologo nella scelta dei pazienti per la procedura, in quanto anche i più gravi (gruppo D) hanno complessivamente una sopravvivenza superiore al 60% a 5 anni 6-10.
Per quanto riguarda la correlazione tra sopravvivenza e riacutizzazioni i dati della letteratura sono numerosi e ci si può riferire, per esempio, ad uno studio 11 che ha evidenziato come i pazienti con 3 o più riacutizzazioni annue avessero una sopravvivenza del 25% circa a 5 anni, quelli con 1 o 2 del 50% circa, ed, in particolare, i pazienti con plurime riammissioni in ospedale avessero una sopravvivenza del 20% contro il 40% se le riacutizzazioni provocavano una sola ospedalizzazione annua. In sintesi i pazienti con 3 o più riacutizzazioni annue, specie se comportano almeno un’ospedalizzazione l’anno possono essere considerati come almeno eligibili per una valutazione pre-trapianto.
Per quanto concerne l’ipertensione polmonare e il cuore polmonare cronico è da tempo stato chiaro che la sopravvivenza è correlata con i livelli di pressione media in arteria polmonare (PAPm) con una sopravvivenza per valori superiori a 45 mmHg inferiore al 20% a 5 anni. I pazienti che presentano una PAPm < 25 mmHg hanno una sopravvivenza sovrapponibile alla popolazione normale mentre tra 25 e 45 mmHg la prognosi peggiora con l’incremento della pressione ma è sempre superiore alla sopravvivenza media post trapianto 12. Uno studio recente 13 conferma la prognosi sfavorevole dei pazienti con PAPm > 40 mmHg ma, pur fenotipizzando maggiormente la prognosi sulla base di diverse caratteristiche (DLCO, età, SvO2 classe WHO), non aggiunge molto al timing ponendo cut-off di PAPm (25-40) troppo ampi 14. Come vedremo in seguito l’ipertensione polmonare ci indirizza anche alla scelta della procedura più idonea.
Infine per quanto riguarda la funzionalità respiratoria l’indicazione ad un FEV1 < 20%, una DLCO < 20% ed enfisema omogeneo trae origine dallo studio NETT (National Emphysema Treatment Trial) in cui si è studiato l’effetto sulla sopravvivenza dei pazienti con BPCO della riduzione di volume chirurgica a confronto della terapia medica. In questo studio la sopravvivenza nel braccio chirurgico è risultata superiore al braccio medico solo nei pazienti con FEV1 > 20%, enfisema eterogeneo (o DLCO < 20%), prevalente nei lobi superiori e scarsa capacità di esercizio fisico. In questi casi la valutazione chirurgica di riduzione volumetrica deve precedere l’indicazione al trapianto 15.
Il donatore
Il paziente con BPCO è tendenzialmente un paziente con età superiore a 60 anni e, nella carenza di donazioni, potrebbe essere valutato poco etico indirizzare organi a pazienti più anziani nella gestione della lista attiva. Il problema si può risolvere ampliando il numero di donatori ottimizzando il fabbisogno delle liste trapianto.
Solo circa il 10-20% dei donatori multiorgano può donare i polmoni, per motivi correlati ad infezioni in terapia intensiva, e, soprattutto, per la gestione dei liquidi e della ventilazione nel paziente con morte cerebrale.
Infatti solo circa il 10-20% dei donatori multiorgano può donare i polmoni, per motivi correlati ad infezioni in terapia intensiva, e, soprattutto, per la gestione dei liquidi e della ventilazione nel paziente con morte cerebrale. Un approccio più generoso nella gestione dei fluidi comporta una salvaguardia di altri organi ed apparati (cuore, reni, fegato) a discapito dei polmoni. Inoltre una gestione poco oculata della ventilazione può comportare danni alveolari irreversibili e danneggiamento degli scambi respiratori che sono un punto imprescindibile per la selezione del donatore 16. Recenti studi hanno dimostrato come la gestione protettiva della ventilazione ha statisticamente incrementato il pool di donatori, così come la Ex Vivo Lung Perfusion (EVLP) metodica di ventilazione e perfusione a bassi flussi su banco del polmone non idoneo prelevato dal donatore multiorgano, consente di riottimizzare il rapporto ventilazione/perfusione rendendolo utilizzabile 17. Non è escludibile un futuro impiego dell’EVLP routinario a scopo protettivo o in associazione ad alti dosaggi di terapia antibiotica in caso di infezioni polmonari non altrimenti gestibili in vivo per il rischio di effetti collaterali nei confronti di altri organi utilizzabili in ambito trapiantologico (in particolare rene e fegato) 18. Un’ultima frontiera è costituita dal prelievo di organi in pazienti a cuore non battente o recuperati dopo arresto cardiorespiratorio e rianimazione 19 20. Un ampliamento del pool di donatori non può che migliorare le potenzialità dei centri trapianto e di ciò possono beneficiare tutti i pazienti in lista attiva.
La scelta della procedura
Anche la procedura, trapianto singolo o bilaterale, è di fondamentale importanza sull’outcome del paziente sottoposto a trapianto polmonare per BPCO, con caratteristiche fisiopatologiche completamente differenti rispetto alla fibrosi polmonare idiopatica.
Il dilemma per entrambe le patologie è lo stesso: in caso di carenza di organi è meglio applicare una procedura singola su due pazienti o una doppia su un solo paziente? 21-24 Devono essere valutati, oltre all’età, almeno due fattori: la colonizzazione infettiva e la presenza di ipertensione polmonare.
Nel primo caso ovviamente la procedura bilaterale è d’obbligo per il rischio di trasmissione infettiva al polmone trapiantato, in particolare in regime di immunosoppressione previsto post-trapianto.
Nel caso di ipertensione polmonare e di trapianto polmonare singolo, al momento della riperfusione dell’organo, pressoché tutta la gittata cardiaca viene deviata sul polmone trapiantato con rischio di edema da riperfusione. In tal caso la compliance dell’organo si riduce e con essa la ventilazione che viene deviata in aree a più alta compliance (polmone nativo); conseguentemente il rapporto ventilazione/perfusione diventa assai sfavorevole con tutta la perfusione sul polmone trapiantato e tutta la ventilazione sul polmone nativo a compliance maggiore. La gestione rianimatoria postoperatoria si complica (ventilazione separata, vasodilatatori, ossido nitrico per via ventilatoria) e la mortalità precoce post-trapianto aumenta.
La problematica, pur presente, è meno pressante in caso di fibrosi in quanto, anche con la riduzione della compliance dovuta ad un eventuale edema da riperfusione, le resistenze viscoelastiche del polmone fibrotico nativo sono mediamente superiori a quelle del trapiantato riperfuso, consentendo un rapporto ventilazione/perfusione sul polmone trapiantato più favorevole e riducendo le difficoltà rianimatorie. Pertanto si può dire che in caso di ipertensione polmonare la procedura singola è preclusa ad un enfisematoso, anche in condizioni critiche o in caso di carenza di organi, mentre è percorribile con alto rischio nella fibrosi polmonare idiopatica.
Infine in caso di procedura singola, nella BPCO a lungo termine, l’intrappolamento aereo del polmone nativo tende a dislocare il mediastino e comprimere il trapiantato, richiedendo, in seconda istanza se non eseguite pre-trapianto, procedure di riduzione di volume chirurgica (o endoscopica) sul nativo.
La procedura singola è stata attualmente sostituita da una procedura bilaterale specie nei soggetti più giovani, associata ad una migliore sopravvivenza, che si avvicina a quella dei pazienti trapiantati per fibrosi cistica.
Si spiega pertanto perché la procedura singola, che costituiva nella BPCO la più rappresentata negli scorsi decenni, è stata attualmente sostituita da una procedura bilaterale specie nei soggetti più giovani, associata ad una migliore sopravvivenza, che si avvicina a quella dei pazienti trapiantati per fibrosi cistica.
La gestione post-trapianto
Negli ultimi anni si è assistito ad un ampiamento delle possibilità di terapia immunosoppressiva ma anche delle metodiche diagnostiche e degli approcci terapeutici delle malattie infettive.
Negli ultimi anni si è assistito ad un ampiamento delle possibilità di terapia immunosoppressiva ma anche delle metodiche diagnostiche e degli approcci terapeutici delle malattie infettive.
La gestione clinica postchirurgica è un delicato equilibrio tra la terapia immunosoppressiva e l’infezione, virale, batterica, micotica. Senza volersi addentrare in particolare su argomenti infettivologici si può esemplificare come, per esempio, nei confronti del Citomegalovirus (CMV) i tempi possono essere considerati maturi per una gestione personalizzata che ci permette in tempo reale di valutare l’equilibrio tra carica infettiva e risposta immunitaria, e di bilanciare approcci di tipo profilattico o terapeutico preventivo 25. Di questi vantaggi per tutta la popolazione sottoposta a trapianto possono ovviamente beneficiare anche i pazienti con BPCO.
Conclusioni
Negli ultimi 10 anni si è assistito ad un progressivo affinamento nella selezione del paziente candidabile al trapianto polmonare, dopo esclusione di altre opzioni chirurgiche o endoscopiche e dopo definizione di più affidabili parametri fisiopatologici e prognostici.
La gestione rianimatoria del donatore pre-trapianto e del ricevente post-trapianto è migliorata così come l’equilibrio complesso tra immunosoppressione (con nuove terapie) e infezione (con nuovi farmaci e nuove metodiche diagnostiche).
Anche il procurement di organi è in continua evoluzione, non tanto spingendosi oltre nel campo della donazione marginale quanto ampliando il pool di donatori con il ricondizionamento (EVLP) e/o la donazione a cuore non battente, in attesa di buone notizie dall’ambito delle cellule staminali che vedono al momento per il polmone la difficoltà di un organo con tipologie di cellule molto differenti. Infine la scelta della procedura più consona per età e comorbilità pone le basi per una minore incidenza di complicazioni post-trapianto,
Una serie di buoni motivi, in continua evoluzione, per non precludere una possibilità terapeutica importante ai pazienti affetti da BPCO.
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