La Federazione Italiana contro la Tubercolosi nell’evoluzione della Tisio-Pneumologia italiana
Articolo
Egregio Direttore,
in relazione all’articolo “Federazione Italiana contro la Tubercolosi nell’evoluzione della Tisio-Pneumologia Italiana”, non abbiamo potuto fare a meno di notare una carenza informativa importante. Nell’articolo non si fa riferimento a quella che è stata la realtà sanatoriale più grande e completa in Italia e in Europa, il “Villaggio di Sondalo”. La semplice citazione della “Pineta di Sortenna” non rende giustizia al ruolo del complesso monumentale valtellinese che ha plasmato la storia della lotta al “mal sottile”. La Pineta di Sortenna ed il sanatorio di Prasomaso sono stati tra i primi istituti alpini per la cura della tubercolosi (TB), il primo destinato ai facoltosi che potevano pagare mentre il secondo funzionava come ente di assistenza popolare. Il ruolo del “Villaggio Sondalino” non è paragonabile a quello dei suddetti istituti.
I primi sanatori in Europa furono costruiti a Gobesdorf in Germania e a Davos in Svizzera (il paese più in alto d’Europa) mentre in Italia i primi realizzatori di sanatori climatici in quota furono i professori Angelo Gatti ed Ausonio Zubiani, il primo milanese ed il secondo valtellinese di Sondalo. Nel 1932, tra le Alpi del Nord Italia, a Sondalo, alle pendici del monte Sortenna, a 1.000 metri sopra il livello del mare, cominciò la costruzione del più grande sanatorio d’Europa costituito da 9 padiglioni di 10 piani ciascuno. Illuminato sostenitore dell’opera fu Eugenio Morelli, tisiologo di fama, discepolo di Carlo Forlanini e docente di Patologia Speciale Medica all’Università di Pavia. Il clima del Villaggio si presentava ottimale: secco, poco piovoso, con inverni freddi ma non rigidi e con scarsa escursione termica fra giorno e notte. Costante ed abbondante il regime dei venti, buona la potenza delle radiazioni solari, favorita anche dal riverbero delle nevi sulle montagne. La grande attenzione che veniva attribuita alle condizioni climatiche spiega il motivo per cui i padiglioni venivano dotati di ampie e spaziose verande dove i pazienti trascorrevano lunghe ore. Un altro elemento non secondario che consigliò la scelta di Sondalo fu l’acquiescenza della popolazione locale. I sondalini avevano imparato a convivere con le strutture che sorgevano sul versante di Sortenna ricavandone benefici per l’economia locale e quando iniziò a diffondersi la notizia della costruzione di un altro grande sanatorio, essi ebbero la lungimiranza di considerare tale evento come una possibilità di crescita per la comunità più che un rischio. Dopo solo 8 anni, nel 1940, i nove padiglioni di degenza ed il padiglione amministrativo erano completati e pronti per essere arredati (Figura 1); secondo il progetto iniziale quattro dovevano essere riservati alle donne, quattro agli uomini, uno alla chirurgia ed uno ai servizi. I problemi economici dovuti alla guerra ne ritardarono l’apertura fino al 1946. L’apertura fu fortemente appoggiata da un colonnello americano il quale, dovendosi recare a Merano con un gruppo di ufficiali medici alleati, anziché passare per Verona e la valle dell’Adige, preferì passare per lo Stelvio e quindi attraversare la Valtellina; notò i padiglioni e si adoperò a Roma per la loro apertura in quanto vi erano enormi problemi nel fronteggiare la recrudescenza della TB. La gestione venne assunta dall’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità Pubblica che, attraverso mille peripezie, riuscì ad arredare ed aprire il complesso con l’aiuto fondamentale del “dono Svizzero”, organizzazione di aiuto alle popolazioni provate dalla guerra, che si impegnò a fornire al padiglione chirurgico gli strumenti tecnici indispensabili e le apparecchiature radiologiche. Il resto dell’arredamento e delle apparecchiature venne in gran parte recuperato da quanto lasciato in Italia dagli Americani prima del ritorno in patria.
Venne intrapresa una intensa attività di ricerca non solo applicata alla diagnosi e terapia ma anche di base. A Sondalo venne individuata la natura chimica del fattore vasocostrittore piastrinico (5 idrossitriptamina) e vennero descritti due metodi istochimici, uno per il surfattante alveolare ed uno per le solfomucine. Tra il 1956 ed il 1973 venne pubblicata la rivista “Annali Medici di Sondalo”. L’attività chirurgica che veniva praticata era ai massimi livelli per l’epoca. Gli annali dell’odierno “Ospedale E. Morelli” sono pieni di descrizioni di interventi chirurgici che oggi farebbero rabbrividire mentre all’epoca erano routinari. Le tecniche di toraco-mioplastiche, piombaggio e creazione di pneumotorace terapeutico sono giusto un esempio di come ed in che misura un paziente poteva essere “demolito” dal chirurgo. L’idea di base era banale, ovvero ridurre l’apporto di ossigeno alle caverne tubercolari per rendere la sopravvivenza difficoltosa ai micobatteri che sono aerobi obbligati. Vari metodi di collasso-terapia di Forlanini e di Monaldi oggi sono procedure piene di fascino storico, ma nel villaggio Sondalino erano pratica quotidiana.
Il complesso monumentale occupa tuttora 350.000 m2 con una rete stradale di 13 km di strade interne e 7 km di passeggiate ed un volume complessivo di 600.000 m3. Nel periodo di massima attività, il Villaggio, con i suoi 3.500 posti letto, i suoi cinema ad anfiteatro, negozi di vario tipo, ed un ufficio postale aveva una popolazione maggiore di quella del paese sottostante. Dal novembre del 1946 al dicembre del 1965 nel sanatorio di Sondalo entrarono 52.616 pazienti e ne furono dimessi per guarigione o stabilizzazione 35.016. Tale fermento sociosanitario è stato bene immortalato nel film di Vittorio De Sica “Una breve vacanza” del 1973 e nella serie televisiva “Inverno di malato” di Carlo Lizzani del 1983. Il razionale di tali strutture sanatoriali si basava sulla convinzione che l’altitudine, il riposo prolungato, l’esposizione alla luce solare (climatoterapia ed elioterapia), la buona situazione igienica e nutrizionale rappresentassero tutte insieme un ottimo trattamento terapeutico. Nonostante le centinaia di sanatori costruiti in tutto il mondo, non esiste una prova scientifica che il “trattamento sanatoriale” abbia avuto un effetto tangibile sull’evoluzione della malattia. Tuttavia è innegabile che il raggruppamento di migliaia di pazienti nello stesso luogo abbia permesso di eseguire studi specifici ed incomparabili.
Egregi Colleghi,
grazie per la vostra attenzione al nostro articolo sulla Federazione Italiana contro la Tubercolosi, comparso, a chiusura della Serie storica dedicata alla Pneumologia, sul 3° fascicolo 2014 della Rassegna di Patologia dell’Apparato Respiratorio. Detto articolo, secondo l’indicazione del titolo, era limitato soltanto al ruolo svolto dalla Federazione nella lotta contro la tubercolosi e più recentemente contro le malattie polmonari croniche sociali, trascurando apparentemente notizie riguardanti altre realtà. L’importante argomento da Voi segnalato, però, era stato trattato, con molto risalto, sempre nell’ambito della Serie storica, dal Prof. Giovanni Foddai nel 6° fascicolo 2012 della Rassegna con il titolo: Il Villaggio Sanatoriale di Sondalo: “la Montagna incantata italiana”.
Siamo stati lieti di leggere anche il vostro contributo perché, oltre a confermare quanto già detto da Giovanni Foddai, ha aggiunto alcuni interessanti particolari. Da precisare soltanto che Eugenio Morelli, quando guidò il gruppo di tecnici preposto alla costruzione del Villaggio, aveva lasciato da alcuni anni la Cattedra di Patologia Medica dell’Università di Pavia e dirigeva la prima Cattedra e la prima Scuola di Specializzazione di Tisiologia dell’Università di Roma, inizialmente nell’Ospedale “B. Ramazzini” poi nel glorioso Istituto “Carlo Forlanini. Da rilevare infine che l’articolo che ha aperto la nostra Serie con il ricordo di Eugenio Morelli e della prima fase dell’Istituto “Carlo Forlanini” di Roma, ha avuto come autore il Prof. Martino Zubiani, nipote di quell’Ausonio Zubiani da Voi giustamente ricordato fra i realizzatori dei primi sanatori climatici della Valtellina.
Con viva cordialità.
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