Un polmone “ematologico”
Abstract
In questo articolo viene presentato il caso di un paziente di 58 anni giunto alla nostra attenzione con un quadro clinico-radiologico caratterizzato da patologia polmonare (dispnea ingravescente, febbre, addensamenti polmonari bilaterali e insufficienza respiratoria acuta). Il ragionamento clinico e la sindrome laboratoristica evidenziata (pancitopenia, incremento dei valori di ferritina, transaminasi e LDH), unitamente al riscontro ecografico di splenomegalia, hanno condotto all’ipotesi diagnostica di Sindrome Emofagocitica. Tale rara e grave entità clinica può essere primitiva o, più frequentemente, secondaria, in particolare ad infezioni, patologie infiammatorie o neoplasie, soprattutto linfomi. L’esame citologico sul BAL (lavaggio bronchiolo-alveolare) ha poi evidenziato la presenza di pneumociti di secondo ordine atipici come da Danno Alveolare Diffuso, macrofagi alveolari con pigmento emosiderinico e cellule linfoidi ad abito blastico, confermando quindi il sospetto di sindrome emofagocitica secondaria a patologia neoplastica. Le successive indagini diagnostiche (tra cui una biopsia osteo-midollare) hanno condotto alla diagnosi definitiva di linfoma di derivazione dai linfociti T periferici NOS extranodale, a fenotipo T citotossico. La sindrome emofagocitica è caratterizzata dalla proliferazione non maligna di istiociti che vanno successivamente incontro ad un’incontrollata emofagocitosi nel midollo osseo, milza e linfonodi; se associata a linfoma, si manifesta con esordio acuto ed esplosivo, spesso mascherando la patologia linfoproliferativa sottostante, che risulta quindi di difficile diagnosi. In questo particolare caso, la patologia respiratoria con cui il paziente si era presentato alla nostra attenzione era dovuta alla presenza nel polmone sia del processo linfoproliferativo stesso sia della sindrome emofagocitica secondaria; tale associazione di elementi era risultata ben evidente all’esame citologico sul BAL. In conclusione, lo pneumologo non è certamente lo specialista più direttamente coinvolto nello studio e nella cura di queste patologie, tuttavia il caso da noi descritto conferma quanto la valutazione di problematiche respiratorie non possa limitarsi allo studio del polmone solo.
Articolo
In settembre 2006 un uomo di 58 anni, agronomo, forte fumatore, con domicilio in Africa, è giunto alla nostra attenzione (Ospedale Morgagni-Pierantoni, Forlì) per la persistenza, da oltre una settimana, di febbre elevata associata a dispnea rapidamente ingravescente. All’Rx del torace erano presenti addensamenti polmonari bilaterali interessanti soprattutto i campi medio-superiori ed in particolare l’emitorace sinistro. Nell’arco di poche ore la funzione respiratoria è andata rapidamente peggiorando fino ad un quadro di severa insufficienza respiratoria che ha richiesto prima ventilazione meccanica non invasiva mediante maschera facciale poi intubazione oro-tracheale. All’esame obiettivo si evidenziavano sibili espiratori diffusi, l’emodinamica era caratterizzata da tachiaritmia a complessi stretti (frequenza cardiaca 140-150 bpm e pressione arteriosa 140/80 mmHg) ed erano presenti agli arti inferiori lesioni cutanee di aspetto vasculitico. Gli esami di laboratorio avevano evidenziato piastrinopenia, con numero di piastrine totali pari a 54 × 10^3/mmc [intervallo di riferimento 140-400], e leucopenia, con globuli bianchi totali pari a 2,30 × 10^3/mmc [intervallo di riferimento 4,00-10,00] e la seguente formula leucocitaria: neutrofili 1,70 × 10^3/mmc (74,1%), linfociti 0,24 × 10^3/mmc (10,6%), monociti 0,12 × 10^3/mmc (5,2%) ed eosinofili 0,20 × 10^3/mmc (8,5%). Gli esami della coagulazione erano risultati nella norma: tempo di protrombina 1,1 [intervallo di riferimento 1,0-1,2], tempo di tromboplastina parziale 28 secondi [26-38] e fibrinogeno 312 mg/dl [150-450]; ferritina ed LDH erano risultati marcatamente elevati, rispettivamente 10767,0 mg/ml [intervallo di riferimento 20,0-330,0] e 2517 U/I [230-460]. Gli indici di flogosi aspecifica risultavano aumentati con PCR pari a 4,61 mg/dl [0,05-0,50] e VES 33 mm/h [2-30], alterati i valori di transaminasi (AST 468 U/L e ALT 222 U/L) ed elevati anche i trigliceridi a 750 mg/dl [20-175].
Visto il quadro laboratoristico, è stata eseguita un’ecografia addominale che ha evidenziato la presenza di splenomegalia con aspetto fibrosico all’ilo e netto ampliamento del fegato ad ecostruttura addensata fibrosteatosica; a livello del sesto segmento era presente lesione focale rotonda di circa 8 cm ipoecogena rispetto al parenchima circostante (ma non liquida) a profili discretamente netti e ad ecostruttura interna finemente granulare con setti che al color-doppler sono risultati vascolari e dislocazione dei vasi portali adiacenti alla lesione. La colecisti risultava a pareti spesse, contenente fango e formazioni litiasiche; non risultava apprezzabile significativa dilatazione delle vie biliari e i reni risultavano nella norma.
Una successiva TC del torace ad alta risoluzione ha mostrato estese aree di addensamento alveolare a vetro smerigliato con ispessimento dei setti interlobulari prevalentemente nel lobo superiore sinistro (aspetto a “crazy paving”) e multiple opacità di tipo nodulare con diametro massimo di circa 5 cm e “halo sign” periferico; erano presenti inoltre circoscritte aree di “honeycomb lung” nel lobo superiore destro e inferiore sinistro, con conseguente riduzione di volume (Figura 1).
La prima ipotesi diagnostica considerata è risultata essere una sindrome emofagocitica e tale ipotesi risultava formulabile in base a: 1) quadro clinico (febbre e splenomegalia); 2) sindrome laboratoristica (leucopenia, piastrinopenia, ipertrigliceridemia, iperferritinemia > 500 μg/L); 3) pattern radiologico (suggestivo anche di interessamento polmonare da processo linfoproliferativo). La sindrome emofagocitica che esordisce in età adulta rappresenta generalmente una forma secondaria e le possibili cause possono essere rappresentate da infezioni, patologie infiammatorie o neoplasie (soprattutto linfomi).
Le possibili cause di sindrome emofagocitica possono essere rappresentate da infezioni, patologie infiammatorie o neoplasie (soprattutto linfomi).
Nel nostro caso, sono state pertanto effettuate accurate indagini microbiologiche, tra cui la ricerca del parassita malarico su sangue mediante striscio sottile e goccia spessa, emocolture, urinocolture, indagini sierologiche e lavaggio bronchiolo-alveolare (BAL); in particolare il BAL può avere un ruolo determinante nel definire l’eziologia di addensamenti polmonari diffusi 1 e l’esame estemporaneo della citologia (ROSE) può ulteriormente migliorare la resa diagnostica portando ad una diagnosi più precoce (cruciale in pazienti gravemente compromessi come nel nostro caso) 2. L’esame citologico estemporaneo del BAL effettuato utilizzando la colorazione Diff-Quick ha evidenziato cellule da Danno Alveolare Diffuso (DAD), macrofagi alveolari con pigmento emosiderinico e cellule linfoidi ad abito blastico, confermando il sospetto clinico-laboratoristico di sindrome emofagocitica, verosimilmente associato a patologia neoplastica. A questo punto risultava necessario verificare l’origine della neoplasia e, alla luce anche dell’esame obiettivo, sono state richieste: 1) biopsia cutanea delle lesioni evidenziate agli arti inferiori; 2) biopsia osteo-midollare.
La biopsia cutanea ha evidenziato un massivo infiltrato nodulare sia peri-vascolare che peri-annessiale interessante il derma a tutto spessore e l’ipoderma con aspetti di interessamento epidermico; tale infiltrato era costituito da elementi linfoidi di grandi dimensioni con scarso citoplasma a margini indistinti e nuclei voluminosi, pleomorfi a contorni irregolari, con numerose mitosi (Figura 2A). All’indagine immunoistochimica tali elementi cellulari sono risultati a fenotipo linfoide T citotossico (CD3+, CD8+, CD4-, CD5-, CD20-, CD79a-, CD56-, CD5-, CD68-, BCL2-, CD10-, granzyme B-, perforina-, CD25-, CD30-). Il quadro morfologico descritto è risultato diagnostico di localizzazione cutanea di linfoma di derivazione dai linfociti T periferici NOS extranodale, a fenotipo T citotossico (Figura 2B).
Alla biopsia osteo-midollare il midollo è apparso ipercellulato per età con iperplasia della mielopoiesi maturante e della megacariocitopoiesi con megacariociti con nuclei distrofici, ipercromici, a contorni irregolari; l’eritropoiesi maturante era ridotta (Figura 2C). Erano presenti inoltre alcuni macrofagi in attività emofagocitica con il caratteristico aspetto “a melograno”. All’indagine immunoistochimica si osservava un infiltrato linfoide a fenotipo T (CD8+, CD3+, CD5-, CD56-, CD20-, granzyme B-, perforina-, CD25-, CD30-, EBV-, CMV-), pari a circa il 2% della popolazione totale (Figura 2D). Il quadro morfologico e fenotipico fu diagnostico di localizzazione interstiziale midollare di linfoma T citotossico associato ad emofagocitosi.
La sindrome emofagocitica è caratterizzata da proliferazione non maligna di istiociti che vanno incontro ad incontrollata emofagocitosi nel midollo osseo, milza e linfonodi.
La sindrome emofagocitica è una patologia rara e grave, caratterizzata da proliferazione non maligna di istiociti che vanno incontro ad incontrollata emofagocitosi nel midollo osseo, milza e linfonodi.
L’incidenza è stimata approssimativamente a 1,2 casi per milione all’anno 3. Dal punto di vista clinico si caratterizza per febbre, epato-splenomegalia, linfadenopatia, rash e pancitopenia; l’esordio è tipicamente acuto con decorso rapidamente progressivo e la patologia è generalmente letale per emorragia, insufficienza multiorgano o infezione, se non viene avviato alcun trattamento precoce 4.
Alcuni elementi laboratoristici caratteristici sono ipertrigliceridemia, iperferritinemia, ipofibrinogenemia e alterazione della funzionalità epatica.
Esistono specifici criteri per la diagnosi che includono la presenza di almeno 5 dei seguenti 8 criteri: febbre, splenomegalia, citopenia periferica (coinvolgente almeno 2 linee cellulari), ipertrigliceridemia o ipofibrinogenemia, emofagocitosi, aumento dei livelli di ferritina (> 500 μg/L), aumento dei livelli di CD25 solubile o ridotta/assente attività NK e conferma istologica su midollo osseo, linfonodi o milza 5.
Clinicamente si caratterizza per febbre, epato-splenomegalia, linfadenopatia, rash e pancitopenia; l’esordio è tipicamente acuto.
Il nostro paziente aveva cinque di questi criteri inizialmente (febbre, splenomegalia, citopenia periferica coinvolgente la linea dei globuli bianchi e piastrine, ipertrigliceridemia e iperferritinemia) che ci hanno condotto a sospettare una sindrome emofagocitica che è stata confermata ulteriormente dal riscontro nel lavaggio bronchiolo-alveolare (BAL) di macrofagi alveolari con attività emosiderofagica. Vista l’importanza dell’inizio precoce del trattamento (che prevede in primis la rimozione delle cause sottostanti), sono stati richiesti una serie di esami finalizzati alla ricerca di una possibile eziologia dell’emofagocitosi nel nostro caso.
Nella sindrome emofagocitica possono essere distinte una forma primitiva e una forma secondaria. La forma primitiva (o familiare) è una patologia autosomica recessiva o X-correlata che tipicamente si manifesta in età infantile, anche se sono stati riportati rari casi in giovani o addirittura adulti 5. Fin dalla prima descrizione della mutazione del gene della perforina, sono state acquisite numerose conoscenze sulle mutazioni genetiche alla base della sindrome emofagocitica 6; tuttavia ancora il 20-50% dei geni coinvolti risulta sconosciuta e la patogenesi ancora da chiarire 7; sono note le mutazioni coinvolgenti il gene per la perforina e per MUNC 13-14 (presenti nel 40% circa dei casi e che determinano un alterato rilascio dei granuli citotossici da parte delle cellule NK), ma anche mutazioni più rare interessanti i geni SH2D1A/SAP, RAB27A e CHS1/LYST 5, determinanti anch’esse alterazioni delle proteine coinvolte nel processo di rilascio dei granuli citolitici da parte di cellule Natural Killer e linfociti T citotossici. La forma secondaria (o sporadica), dovuta probabilmente a deficit proteici funzionali di questo processo biologico 4, può associarsi a diverse patologie tra cui infezioni batteriche (Mycobacterium tubercolosis, Mycoplasma pneumoniae), protozoarie o virali (virus di Epstein Barr, citomegalovirus, HIV, Herpes virus, rosolia), patologie infiammatorie (ad esempio nell’artrite reumatoide giovanile), neoplasie (soprattutto linfoma di Hodgkin e linfoma non-Hodgkin a cellule T, più raramente linfoma a cellule B) 8 e immunodeficienze acquisite (HIV). Anche se l’esatta patogenesi non è ben conosciuta, è chiaro però che le manifestazioni cliniche della sindrome emofagocitica sono dovute a 1) iperattivazione di linfociti T CD8+ e macrofagi; 2) proliferazione, migrazione ectopica e infiltrazione da parte di queste cellule di vari organi; 3) ipercitochinemia con livelli persistentemente elevati di citochine pro-infiammatorie determinanti disfunzione d’organo progressiva fino anche alla morte. Questi fattori sono alla base del quadro clinico caratterizzato da febbre, epatosplenomegalia, sanguinamento, rash cutanei, anomalie del SNC, bi-citopenia o pancitopenia, coagulopatie, iperlipidemia, ipofibrinogenemia, iperferritinemia, alterazione delle transaminasi, iperbilirubinemia, ipoalbuminemia e iponatriemia.
I linfomi che esordiscono con sindrome emofagocitica sono spesso di difficile diagnosi in quanto raramente si manifestano con importanti linfoadenopatie o masse tumorali.
Nel nostro caso, l’esame citologico estemporaneo del BAL (ROSE) aveva evidenziato la presenza di pneumociti di secondo ordine atipici come da Danno Alveolare Diffuso e cellule linfoidi di grandi dimensioni ad abito blastico. Tale quadro poteva essere compatibile per esempio con un quadro di intensa flogosi di natura infettiva oppure con un coinvolgimento polmonare da processo linfo-proliferativo. La sindrome emofagocitica associata a linfoma si manifesta con un quadro clinico acuto ed esplosivo, che spesso maschera la patologia linfoproliferativa sottostante 9; i linfomi che esordiscono con sindrome emofagocitica sono spesso di difficile diagnosi in quanto raramente si manifestano con importanti linfoadenopatie o masse tumorali. In questo caso la presenza di lesioni cutanee ha consentito l’esecuzione di biopsie incisionali con diagnosi di localizzazione cutanea di linfoma di derivazione dai linfociti T periferici, extranodale a fenotipo T citotossico.
Un trattamento precoce è in grado di ridurre la mortalità dal 95% al 30-35%.
Fondamentale è iniziare il trattamento il più precocemente possibile in tutte le forme, indipendentemente dal fatto che siano primitive o secondarie; le forme emofagocitiche primitive possono richiedere il trapianto di cellule staminali 10, ma inizialmente possono essere trattate con lo stesso protocollo. Un trattamento precoce è in grado di ridurre la mortalità dal 95% al 30-35% e consiste nella combinazione di immunosoppressori e chemioterapici pro-apoptotici 7 10; ad esempio i trial HLH-94 e HLH-2004 hanno proposto l’utilizzo di desametasone ad alte dosi, etoposide e ciclosporina A, globulina antitimociti. Un tentativo con soli steroidi può essere fatto in caso di accertate forme secondarie ed alcuni pazienti possono anche rispondere, ma vi deve essere uno stretto monitoraggio clinico e il trattamento completo deve essere iniziato entro 24-48 ore in caso di non miglioramento. Terapie di salvataggio possono includere anche plasmaferesi, anticorpo anti-CD52 Alentuzumab, antitrombina III, anticorpo anti-TNF Infliximab, anticorpo anti-CD25 Daclizumab 7 11.
In questo particolare caso l’inquadramento del problema respiratorio con cui il paziente si era presentato alla nostra osservazione era secondario all’interessamento polmonare da processo linfoproliferativo e alla stessa sindrome emofagocitica secondaria. Questo appariva evidente all’esame citologico del lavaggio bronchiolo-alveolare. La presenza di altri criteri clinici e laboratoristici di emofagocitosi ci hanno indotto a ricercare le sottostanti cause di tale meccanismo di emofagocitosi. Lo pneumologo non è certamente lo specialista più direttamente coinvolto in queste patologie, tuttavia il caso da noi osservato è dimostrazione del fatto di come la valutazione di problematiche respiratorie non debba concentrarsi strettamente sul problema pneumologico.
Figure e tabelle
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