Trapianto di polmone in Italia: conoscenze attuali, esigenze e prospettive
Abstract
Il trapianto polmonare è una procedura chirurgica per patologie polmonari terminali non oncologiche e costituisce per alcune di esse l’unica effettiva opzione terapeutica. Negli ultimi 25 anni abbiamo assistito ad un’evoluzione in differenti campi trapiantologici: indicazioni e timing sono stati ben definiti, la scelta della procedura ottimizzata, la terapia immunosoppressiva migliorata con un incremento dei farmaci disponibili ed una migliore definizione dell’efficacia e degli effetti collaterali. Tuttavia permangono ancora delle limitazioni nella gestione terapeutica dei donatori e dei riceventi, nella salvaguardia dell’organo pre-trapianto, nel delicato equilibrio tra immunosoppressione ed infezioni che incidono sulla sopravvivenza del paziente in lista d’attesa e sottoposto a trapianto. La principale limitazione alla procedura è la carenza di organi utilizzabili. Negli ultimi anni la preservazione e l’utilizzo dell’organo ha visto numerose applicazioni cliniche a partire dall’ottimizzazione della ventilazione e della perfusione del donatore al trattamento ex vivo degli organi marginali o inizialmente rifiutati. Le metodiche di ricondizionamento ex vivo costituiscono un’affascinante prospettiva nello scenario della donazione e il prelievo da donatore con arresto cardiaco dopo morte cerebrale un’ulteriore opzione di ampliamento di disponibilità di organi. Anche nel campo della gestione del ricevente ci sono state evoluzioni con l’impiego di metodiche di ossigenazione extracorporea (ECMO) allo scopo di consentire l’allocazione in emergenza dell’organo. Infine altro argomento importante è la gestione delle infezioni, batteriche multiresistenti, opportunistiche, invasive, ma anche il ruolo delle infezioni virali nel danno d’organo e nel rigetto acuto e cronico. Sebbene, infatti, molte infezioni virali delle alte vie siano autolimitantesi, i pazienti sottoposti a trapianto polmonare hanno una maggiore probabilità di sviluppare gravi complicazioni. Scopo della review è approfondire le suddette problematiche ed evidenziare esigenze e prospettive del trapianto polmonare in Italia.
Aspetti generali
Il trapianto di polmone è diventato una procedura efficace a partire dai primi anni ’90 quando l’introduzione di nuovi farmaci antirigetto e le migliori tecniche operative e intensivistiche hanno consentito di superare i risultati sconfortanti dei primi anni ’60. In Italia i primi trapianti di polmone (e spesso inizialmente di cuore-polmone) sono stati eseguiti a Pavia negli anni ’90; in seguito sono stati attivati gli altri centri: Torino, Milano, Roma, Padova, Siena e successivamente Palermo, Bergamo, Bologna.
Le indicazioni al trapianto polmonare comprendono un vasto numero di patologie polmonari non oncologiche in stadio terminale.
Le indicazioni al trapianto polmonare 1 comprendono un vasto numero di patologie polmonari non oncologiche in stadio terminale ma le indicazioni più frequenti e più universalmente accettate sono la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), la Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF), la Fibrosi Cistica (FC), e l’Ipertensione Polmonare Primitiva (IPP); altre meno frequenti indicazioni sono le Bronchiettasie-nonFC, la Sarcoidosi (S), la Linfangioleiomiomatosi (LAM). Rimangono controverse alcune indicazioni come le collagenopatie con interessamento di altri organi, tra cui principalmente la sclerodermia.
Sicure controindicazioni al trapianto sono oggi le neoplasie, le infezioni attive come l’epatite B e C associate a fibrosi/cirrosi epatica, il fumo e l’uso di droghe in fase attiva o recente, i gravi disturbi psichiatrici e la bassa compliance alle terapie da seguire. La presenza di infezione HIV dopo le positive esperienze con altri trapianti di organo è oggi accettata da alcuni centri2. Colonizzazioni da micobatteri non tubercolari, da aspergillo e da pseudomonas non costituiscono controindicazione assoluta al trapianto in pazienti con fibrosi cistica e bronchiettasie3 mentre grande cautela richiede la colonizzazione da burkolderia cepacia per le riacutizzazioni post-trapianto verosimilmente legate alla colonizzazione dei seni paranasali che devono essere sottoposti a bonifica pre-intervento 4.
I medici non esperti nel trapianto polmonare dovrebbero segnalare i potenziali candidati soprattutto per alcune patologie rapidamente progressive come la IPF e l’IPP.
Le linee guida per la selezione del ricevente vengono riportate nella Tabella I 5. Occorre rilevare che i medici non esperti nel trapianto polmonare dovrebbero segnalare i potenziali candidati soprattutto per alcune patologie rapidamente progressive come la IPF e l’IPP, poiché frequentemente questi pazienti vengono riferiti al centro in stadio molto avanzato con conseguente mortalità in lista di attesa sensibilmente più alta rispetto alle altre patologie.
Gestione del candidato al trapianto polmonare
La riuscita di un intervento di chirurgia maggiore, e in particolare di un trapianto di organo solido, dipende in larga parte dal performance status con il quale il paziente accede alla metodica chirurgica6 7. In particolar modo merita attenzione lo stato nutrizionale in quanto sia un calo ponderale, sia un eccesso ponderale costituiscono un ostacolo al regolare decorso postoperatorio.
Nella fase pre-trapianto è pertanto indispensabile mettere in atto una serie di interventi (nutrizionali, farmacologici, riabilitativi) che consentano ai pazienti, la cui attività neuro-muscolare e cardiocircolatoria si è adattata agli insufficienti standard respiratori, di ottimizzare le performances cardiologiche e motorie in previsione dell’intervento di trapianto.
La riuscita di un intervento di chirurgia maggiore, dipende dal performance status con il quale il paziente accede alla metodica chirurgica.
La riabilitazione pre-trapianto deve essere proposta ed attuata pertanto anche in caso di grave deterioramento della performance cardiorespiratoria con metodiche di allenamento differenziate. Uno studio del 20128 ha dimostrato infatti come I’ “interval training” risulti altrettanto efficace del “continuous training” in questi pazienti.
I risultati del trapianto in Italia e nel mondo
L’affinamento delle tecniche chirurgiche e la disponibilità di nuovi farmaci immunosoppressori hanno comportato un progressivo miglioramento dei risultati precoci e della sopravvivenza a medio-lungo termine dopo trapianto. La maggior parte dei centri utilizza attualmente un protocollo immunosoppressivo di mantenimento con 3 farmaci che comprende ciclosporina/tacrolimus, azatioprina/micofenolato e prednisone.
Nuovi farmaci immunosoppressori sono in fase di sperimentazione clinica con risultati promettenti sul contenimento del rigetto acuto senza aumento delle complicanze infettive.
I dati di sopravvivenza ottenuti dall’International Society of Heart and Lung Transplantation (ISHLT)9 mostrano tassi di sopravvivenza al primo anno superiori al 70%, mentre i risultati complessivi dei centri italiani sono i seguenti: 63% ad 1 anno, 52% a 3 anni, 40% a 5 anni10.
I risultati Italiani denotano sopravvivenze lievemente inferiori rispetto a quelle internazionali, ma i risultati devono essere letti con estrema cautela ed attenzione.
I risultati Italiani denotano sopravvivenze lievemente inferiori rispetto a quelle internazionali, ma i risultati devono essere letti con estrema cautela ed attenzione. Occorre tenere presente infatti che, almeno fino a pochi anni or sono, i centri che afferivano all’ISHLT Registry applicavano la regola della data di inserimento in lista per la scelta del ricevente (ignorando quindi la gravità del paziente); la maggior parte dei trapianti in quel registro si riferisce alla BPCO ed alla fibrosi cistica, che hanno una sopravvivenza post-trapianto migliore, mentre nella nostra realtà è sempre prevalsa una gestione più oculata della clinica dei pazienti in lista attiva trapianto con un sostanziale anticipo dei pazienti con prognosi più severa; nel registro italiano quindi la IPF, che ha una sopravvivenza dopo trapianto inferiore alla BPCO e alla FC ma anche la più alta mortalità in lista attiva, rappresenta la prima indicazione; nelle Figure 1 e 2 sono presentati i dati dei trapianti per diagnosi nel mondo e in Italia.
Le curve di sopravvivenza in realtà sono influenzate oltre che dalla malattia di base e dalla criticità del ricevente anche dalla procedura (il trapianto bilaterale ha una prognosi migliore rispetto al singolo), ma su questo aspetto Italia e resto del mondo si equivalgono. Se analizziamo ancora le curve di sopravvivenza (Figura 3) notiamo un altro dettaglio che merita attenzione; nei primi 4-5 anni la BPCO si comporta come la FC ma successivamente la mortalità comincia decisamente ad aumentare. Questo dato è sicuramente influenzato dal fatto che i pazienti con BPCO sono più anziani e, a prescindere dal trapianto, hanno una mortalità che può dipendere anche da altre comorbilità.
La scelta della procedura
Il trapianto singolo (ST) offre una maggiore disponibilità di organi in una situazione di scarsità di donatori ma garantisce riserve funzionali inferiori rispetto al bilaterale (BT); inoltre può contribuire a fare aumentare le complicanze legate al polmone nativo (infezioni e iperinflazione nella BPCO).
Il trapianto singolo (ST) offre una maggiore disponibilità di organi in una situazione di scarsità di donatori ma garantisce riserve funzionali inferiori rispetto al bilaterale (BT).
Il trapianto cuore-polmone, che storicamente è stata la prima procedura eseguita con successo, oggi conta meno del 3% di tutti i trapianti; questo trapianto oggi è riservato ad alcuni pazienti con la sindrome di Eisenmenger a cui non si può correggere il difetto cardiaco. Inoltre il cuore-polmone è utilizzato occasionalmente in pazienti con scompenso ventricolare sinistro o grave coronaropatia associata a malattia polmonare.
Un’altra tecnica utilizzata in Italia, occasionalmente, è il trapianto lobare da donatore vivente, di cui sono principalmente candidati i piccoli pazienti con FC che possono ricevere un lobo da entrambi i genitori. Nella scelta del trapianto singolo o bilaterale la malattia di base gioca naturalmente un ruolo determinante. Il BT è indispensabile per la FC e per tutte le forme di malattie suppurative; è inoltre molto utile nelle ipertensioni polmonari primitive o secondarie per limitare la sindrome da riperfusione, particolarmente aggressiva in questi casi e di difficile gestione rianimatoria post-trapianto specie nella BPCO 12.
Nella IPF e nella BPCO la scelta è ancora materia di dibattito 12 13 in quanto ST e BT annoverano vantaggi e svantaggi; generalmente si tende a riservare il singolo nei pazienti più anziani (oltre 60 anni) e il bilaterale nei più giovani. Per la BPCO uno studio ha analizzato 9.883 trapianti del registro dell’ISHLT 11 dimostrando un vantaggio in termini di sopravvivenza nel BT variabile dal 4% al 6,3% a 5 anni; vantaggio che probabilmente si perde dopo i 60 anni. Nella realtà italiana il BT ha sopravanzato il ST a partire dal 2006 (Figura 4).
Complicanze e cause di morte
La prima complicanza è costituita dalla “primary graft failure” dovuta all’edema da riperfusione, che in genere si risolve spontaneamente con una attenta gestione dei liquidi e della ventilazione; le cause non sono del tutto note ma il danno da ischemia-riper-fusione e alcune citochine infiammatorie sono certamente in gioco 14.
Successivamente nel corso dei primi mesi possono verificarsi le complicanze infettive e quelle legate all’anastomosi. Le complicanze infettive sono frequenti e includono infezioni virali, batteriche o fungine. Le polmoniti e le infezioni batteriche sono prevalentemente legate allo stato immunosoppressivo, alla ventilazione meccanica, alla tosse inefficace e alla clearence mucociliare limitata dalla sofferenza ischemica dei bronchi; l’origine è legata alla natura della malattia di base (fibrosi cistica e brochiettasie in primo luogo) e in parte alla possibile trasmissione dal donatore. Molto comuni sono le infezioni da Psedomonas e da Stafilococco che possono manifestarsi sia in fase precoce che nel corso degli anni come conseguenza del rigetto cronico.
Un’altra comune infezione è costituita dall’Aspergillo che può localizzarsi sia nel polmone profondo che nelle vie aeree (anastomosi e/o albero bronchiale), soprattutto nei primi 6 mesi. Uno studio monocentrico 15 aveva evidenziato come l’infezione da funghi (e anche quella da CMV) può essere favorita dalle dosi di steroide, spesso utilizzato a bolo nel rigetto acuto. Spesso queste infezioni sono asintomatiche e vengono riconosciute nel corso delle broncoscopie di protocollo; il trattamento con azoli per via orale o anfotericina per aerosol sono risultate in genere efficaci a prevenire l’infezione disseminata. Le infezioni virali rappresentano un altro capitolo molto importante del paziente trapiantato 16-19 e alcuni studi20 21 hanno evidenziato una correlazione tra infezione da CMV e rigetto; uno studio monocentrico ha evidenziato come una aggressiva prevenzione dell’infezione da CMV comporterebbe una riduzione dei rigetti acuti e della bronchite-bronchiolite linfocitica22.
Attualità e prospettive sul “graft”
Allo stato attuale il trapianto polmonare ci impone di sottolineare alcuni aspetti che rendono questa procedura, per quanto concerne i risultati, non ancora ai livelli di altri trapianti, quale il fegato, il rene e il cuore, che garantiscono sopravvivenze del graft sicuramente superiori al polmone.
Il trapianto polmonare ci impone di sottolineare alcuni aspetti che rendono questa procedura non ancora ai livelli di altri trapianti che garantiscono sopravvivenze del graft superiori al polmone.
Su questo punto occorre ricordare che il polmone si caratterizza per due fondamentali aspetti: il primo è quello di essere il più grande organo solido trapiantabile e il secondo che è l’organo di gran lunga più esposto all’ambiente esterno, e quindi più vulnerabile alle infezioni.
Questo non deve comunque sminuire l’importanza del trapianto polmonare che oggi comunque rimane l’unica opzione per pazienti con aspettativa di vita generalmente inferiore ai 2 anni.
Un particolare aspetto che conviene sottolineare è l’approccio dei professionisti delle aree pneumologiche, chirurgiche e rianimatorie nei confronti di questa procedura. Consideriamo infatti che l’Italia si colloca, per quanto riguarda le donazioni, al di sopra della media europea mentre rimane sensibilmente al di sotto per le donazioni di polmone evidenziando una scarsa cultura della gestione del donatore (Figura 5). Un altro aspetto chirurgico che vale la pena di rilevare è che, come in tutte le attività di eccellenza, anche in questa un numero eccessivo di centri non favorisce la crescita o quanto meno la curva di apprendimento. Oggi in Italia si contano numerosi centri di trapianto ma il numero di procedure per anno è spesso inferiore ai grandi centri internazionali. Nella nostra realtà sono pochi i centri che si attestano su un numero di procedure eseguite di 20-30 trapianti all’anno, mentre questa mole di lavoro è pressoché routinaria in centri europei o statunitensi che arrivano a picchi superiori a 50-70 trapianti per anno in strutture di assoluta eccellenza; è evidente che una dispersione dell’esperienza comporta un maggior tributo alla curva di apprendimento ed alla riuscita delle procedure.
Dal punto di vista pneumologico infine una recente survey (2013) fatta dall’AIPO 23 ha interpellato un centinaio di pneumologie italiane su 400 relativamente a questioni riguardanti il trapianto polmonare; alla domanda “Conosci le indicazioni al trapianto polmonare?” l’89% ha risposto affermativamente e di questi il 92% ha risposto di conoscere il timing del trapianto; la maggioranza inoltre ha dichiarato di avere inviato pazienti ad un centro trapianto (Figura 6). Da ciò possiamo arguire come tra i nostri pneumologi in almeno un centinaio di centri la cultura di questa procedura sia sufficientemente diffusa anche se spesso, come già detto, i pazienti vengono riferiti in stadi di malattia piuttosto avanzati.
Attualità e prospettive sul donatore
Un altro aspetto importante è la difficoltà a reperire i donatori, che sono invece decisamente più numerosi per il rene, il fegato e il cuore; ciò dipende dal fatto che da un lato questi ultimi si deteriorino più tardivamente per le loro caratteristiche intrinseche e dall’altro per il fatto che comunque la gestione del donatore multiorgano spesso tende a privilegiare il cuore e il rene, che richiedono una consistente somministrazione di liquidi, favorendo il deterioramento del polmone che spesso va incontro ad edema.
Un altro aspetto importante è la difficoltà a reperire i donatori, che sono invece più numerosi per il rene, il fegato e il cuore.
In questi ultimi anni tuttavia si sono sperimentate forme di ventilazione protettiva 24 che, quando ben applicate, consentono una migliore preservazione dell’organo. Inoltre si sta dimostrando sempre più promettente una nuova procedura che anche nei donatori marginali (così definiti quando il rapporto PaO2/FiO2 è < 300) consente il recupero dell’organo deteriorato. Questa tecnica, denominata “ex-vivo lung perfusion” (EVLP) è stata elaborata da Stig Steen in Svezia nel 200725 e subito adottata nella pratica clinica dal gruppo di Toronto 26, e successivamente da altri anche in Italia 27 28 che hanno dimostrato come sia possibile incrementare il numero di polmoni senza comprometterne i risultati. In sintesi la tecnica consiste nel prelevare il polmone, ventilarlo in modalità protettiva e riperfonderlo su banco con una soluzione che riduce l’imbibizione interstiziale di liquidi ed il carico di mediatori dell’infiammazione; viene effettuata una periodica rivalutazione dei parametri essenziali funzionali al trapianto (rapporto PaO2/FiO2, resistenze vascolari, resistenze delle vie aeree, immagine radiologica). Dopo monitoraggio microbiologico e clearance delle secrezioni con l’ausilio del broncoscopio, nel caso in cui i parametri si dimostrino validi l’organo può essere trapiantato con risultati a breve e medio termine così soddisfacenti che esistono protocolli sperimentali in cui si esegue l’EVLP anche in caso di donatori non marginali29.
Attualità e prospettive sul ricevente critico
Non meno importante è il dibattito sul ricevente critico, che ci autorizza a ben sperare sulla possibilità di mantenere questi pazienti, dipendenti da supporti meccanici, in condizioni di eligibilità per essere ancora trapiantati. In molti casi il ricevente che è dipendente dalla ventilazione meccanica diventa spesso non più eligibile per il trapianto sia per la compromissione di altri organi vitali sia per la comparsa dello stato settico e/o dello shock emodinamico. Oggi viene utilizzata per questi casi in alcune terapie intensive l’Extra Corporeal Membrane Oxygenation (ECMO)30 che consente in genere di assicurare gli scambi dei gas senza ricorrere alla ventilazione invasiva e senza sedazione per il paziente31; probabilmente sarà presto possibile anche garantire la riabilitazione e la mobilizzazione del paziente durante l’applicazione di questa tecnica 32. Anche in Italia in alcuni centri si stanno utilizzando diverse modalità di supporto extra corporeo con buoni risultati 33 34. Da pochi anni inoltre sono state codificate in Italia le regole per l’urgenza del ricevente critico che contemplano appunto l’utilizzo dell’ECMO o di ventilazione meccanica invasiva in assenza di sepsi in pazienti con età inferiore a 50 anni. I risultati dei trapianti di soggetti sottoposti al programma di emergenza nazionale sono comunque a tutt’oggi oggetto di dibattito in quanto vengono riservati organi a pazienti estremamente critici con il rischio di peggiorare la sopravvivenza post-trapianto e di perdere opportunità per soggetti in lista attiva meno critici seppur gravi con outcome verosimilmente più favorevole.
Conclusioni
L’opzione trapiantologica può e deve essere sempre tenuta in considerazione in un algoritmo terapeutico che interessi i pazienti con patologie polmonari non oncologiche end stage.
Le indicazioni al trapianto devono essere patrimonio dello pneumologo ed un contatto con centri trapianto può essere d’aiuto nel dirimere dubbi o controversie.
Le indicazioni al trapianto devono essere patrimonio dello pneumologo che si interessi di tali patologie ed un contatto con i centri trapianto può essere d’aiuto nel dirimere dubbi o controversie (età, comorbilità, patologie sistemiche) per ogni singolo caso.
Una corretta esposizione al paziente ed al curante del rapporto rischio/beneficio è di fondamentale importanza nella gestione dei soggetti con età inferiore indicativamente a 65 anni. L’evoluzione delle metodiche di gestione e di procurement di organi potrebbe infine assicurare ad un numero crescente di pazienti procedure attualmente limitate ad un più ristretto numero di soggetti35.
Figure e tabelle
BPCO |
• BODE index di 7-10 o almeno una delle seguenti: Storia di ospedalizzazioni per riacutizzazioni con ipercapnia Ipertensione polmonare o cuore polmonare o entrambe FEV1 < 20% e eventualmente DLCO < 20% o enfisema omogeneo |
Fibrosi Polmonare Idiopatica |
• Evidenza istologica e radiologica di UIP ed uno dei seguenti: DLCO < 39% del previsto Decremento del FVC del 10% o più al follow-up a 6 mesi Desaturazione < 88% in corso di test di 6 minuti di cammino Aspetto a favo alla TC torace a strati sottili (score di fibrosi > 2) |
• Evidenza istologica di NSIP ed uno dei seguenti: DLCO < 35% del previsto Decremento dell’FVC del 10% ai 6 mesi di follow-up Decremento della DLCO del 15% ai 6 mesi di follow-up |
Fibrosi Cistica |
• FEV1 <30% o rapido declino della funzione respiratoria se FEV1 > 30% (le femmine e i pazienti < 18 anni presentano un deterioramento più rapido) e/o uno dei seguenti: Necessità di aumentare l’erogazione dell’O2 Ipercapnia Ipertensione polmonare |
Ipertensione Polmonare |
• Classe NHYA III-IV in terapia medica ottimizzata |
• 6MWT < 350 mt o in riduzione |
• Fallimento della terapia con epoprostenolo iv o equivalente |
• Cardiac index < 2 L/min/m2 |
• Pressione atriale destra > 15 mmHg |
Sarcoidosi |
• Classe NYHA III-IV o una delle seguenti: Ipossiemia a riposo Ipertensione polmonare Pressione atriale dx > 15 mmHg |
Istiocitosi e LAM |
• Grave riduzione della funzionalità respiratoria e della capacità di esercizio fisico (VO2max < 50% del previsto) |
• Ipossiemia a riposo |
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