Patologie Infettive Respiratorie e Tubercolosi
Articolo
Sfogliando la letteratura internazionale mi sento di dire che è stato un anno “interlocutorio”. Molto si è discusso sul versante epidemiologico e metodologico, anche alla luce delle recenti epidemie e del sempre più frequente riscontro di resistenze batteriche oramai verso tutti gli antibiotici disponibili. Sta nascendo, mi sembra, la necessità di implementare strategie di sorveglianza epidemiologica e linee di ricerca che tengano conto anche dei fattori ambientali e di interazione del nostro organismo con la flora batterica presente fuori e dentro il nostro organismo e questo per tutte le età della nostra vita.
Partendo da queste considerazioni inizio subito con la recensione del primo articolo di Sanjay Sethi pubblicato su Ann Am Thorac Soc di gennaio 2014 1 che “parla” di BPCO, infezione e microbioma.
Il microbioma è definito come la collezione completa dei microbi (batteri, funghi, virus) che coesistono naturalmente nel corpo umano. Lo studio del microbioma umano può condurre a nuovi concetti e linee guida di valore nel campo della nutrizione umana, nella scoperta di nuovi farmaci e nella medicina preventiva. Il dato più sconvolgente è che il genoma delle comunità microbiche che vivono nel corpo umano (microbioma) contiene circa 100 volte più geni rispetto a quelli del genoma umano. In altre parole il “metagenoma umano” cioè il set di tutti i genomi contenuti nel nostro corpo è circa 100 volte più esteso del “genoma umano” finora considerato. A tal fine il National Institutes of Health Americano ha lanciato recentemente il progetto denominato “The Human Microbiome Project (HMP)” allo scopo di identificare e caratterizzare i microrganismi associati ad un corpo sano e quelli presenti in un corpo malato. Sethi si interroga sulla complessa dinamica della infezione batterica nella Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) e di come la tecnologia sviluppatasi con lo studio del microbioma polmonare (mediante l’uso di tecniche di campionamento con BAL di geni particolari – 16S rRNA Gene encoding – non presenti nei mammiferi) possa dare un nuovo e decisivo contributo per meglio definire il ruolo della infezione nella genesi della BPCO e della sua riacutizzazione. In effetti tutti gli studi sul microbioma polmonare hanno evidenziato un sicuro riscontro di una compartimentalizzazione e successiva alterazione del microbioma nelle varie parti del polmone (disruption of the lung microbioma: cioè alterazione della biodiversità del microbioma polmonare) nel paziente con BPCO riacutizzata. Questo riscontro può essere considerato come il più importante meccanismo di progressione della BPCO riacutizzata e non, inserendosi di prepotenza nella teoria del “circolo vizioso” da lui stesso postulata nel 2008 2. Infine l’autore conclude con 3 quesiti a cui dovranno rispondere prossimamente i vari esperti della materia compreso lui: sarebbe fondamentale conoscere 1) se ci sono differenti microbiomi nei differenti fenotipi di questa complessa malattia; 2) se le riacutizzazioni di BPCO clinicamente imputabili ad una infezione batterica, ma dove non si evidenzia un patogeno predominante, sono indotte da una alterazione del microbioma; 3) se le infezioni virali alterano realmente il microbioma del polmone e quali sono le conseguenze cliniche di questa alterazione.
Il secondo articolo, pubblicato da Simonetti et al. su Ther J Adv Infect Dis nel febbraio del 2014 3, tratta un argomento sicuramente di attualità e che ci impegna giornalmente, purtroppo con risultati spesso deludenti, nella nostra attività in ospedale: la gestione delle polmoniti acquisite in comunità (CAP) nel soggetto anziano.
Le CAP nell’anziano sono una patologia ad alto impatto sociale caratterizzata da alta morbilità e mortalità sia a causa dell’aumento in assoluto della popolazione anziana sia per l’alta incidenza in questi pazienti di comorbilità, alterazioni dello stato nutrizionale e disturbi della deglutizione. Questo articolo, sicuramente complesso ma a mio giudizio ben articolato e completo, presenta un “up-to-date” ed una revisione sui principali aspetti delle CAP nei pazienti anziani, sia in ambito epidemiologico (germi causativi), sia in campo clinico e prognostico, indicando quali sono i punti chiave per un corretta gestione pratica di questa malattia. Questi sono i punti chiave più importanti:
- spesso la presentazione clinica della polmonite in un anziano è subdola: non è presente febbre, gli unici sintomi presenti possono essere un alterato stato mentale con contemporanea riduzione delle capacità funzionali e un peggioramento di una malattia concomitante. Questo peggioramento dei sintomi, in corso di terapia, deve far sospettare una evoluzione della polmonite intesa come maggiore estensione del processo infettivo (bilateralizzazione, comparsa di interessamento pleurico, ecc.) da inadeguata o non efficace terapia e/o da altre patologie sottostanti (neoplasia polmonare, tromboembolia polmonare, ecc.);
- sospettare sempre una CAP in un paziente anziano con disturbi della deglutizione, malnutrito, allettato con importanti comorbilità che non svolga regolare attività fisica e presenti una precaria igiene orale;
- lo S. Pneumoniae è sicuramente il germe causativo più comune nei soggetti anziani, soprattutto dopo o in corso di epidemie influenzali, mentre è molto bassa l’incidenza di patogeni atipici. Le polmoniti “aspirative” e da microorganismi multiresistenti sono sempre da prendere in considerazione in questi pazienti ed in caso di fondato sospetto devono essere trattate in modo appropriato;
- l’uso e l’accuratezza di alcuni “score” di rischio come il CURB-65 ed il PSI, per predire “l’outcome” in questi pazienti, decresce quanto ad efficacia predittiva proporzionalmente all’età così come poco utili e con dati insufficienti si sono dimostrati alcuni biomarkers come la proteina C reattiva e la procalcitonina;
- è fondamentale ed altamente raccomandata per un trattamento adeguato di queste forme la assoluta aderenza alle linee guida e alle raccomandazioni nazionali e locali con uno sguardo alla epidemiologia locale e relative resistenze batteriche ed una attenta valutazione dei fattori di rischio per P. Aeruginosa, MRSA e altri microrganismi Gram Negativi in modo da implementare un trattamento antibiotico selettivo ed efficace.
Infine poche righe sull’ultimo “argomento” della nostra chiaccherata: l’ultimo articolo tratta un argomento ... diverso ...: un lavoro di Morice et al. pubblicato su Eur Respir J nell’aprile del 2014 4.
Perché parlare della tosse ed in particolare della tosse cronica *? Perché è il sintomo che induce maggiormente il paziente a consultare un medico, perché una tosse cronica può accompagnare malattie come l’asma bronchiale, la fibrosi polmonare, il tumore del polmone e, naturalmente, la BPCO, perché è un sintomo fastidioso, per il paziente, che incide sulla qualità della vita e rende “difficile” la sua gestione clinica, perché il soggetto con tosse cronica spesso non è facilmente etichettabile e classificabile anche dal medico più esperto ... con il risultato che il paziente perde man mano fiducia nelle capacità professionali del curante!!!. Trattasi di una “survey” retrospettiva estesa a tutto il mondo dove gli autori hanno esaminato i report conclusivi provenienti da 11 studi clinici sulla tosse per un totale di oltre 10.000 soggetti con tosse cronica di cui due terzi (6.591) donne con una età media di tutti i pazienti di circa 55 anni ma con una età di arruolamento per il sintomo tosse intorno ai 60-69 anni. Pur nei limiti della raccolta dei dati, sicuramente non uniformi considerata la “variabilità” degli studi clinici esaminati provenienti da paesi spesso diversi e con condizioni sociali, geografiche e di politica sanitaria diversa, sono emersi i seguenti punti di confronto:
- la tosse cronica è più comune nei soggetti di sesso femminile ed in età avanzata con 6.821 pazienti (68%) con età > 50 anni, 4.441 (44%) con età > 60 anni e 1.783 (18%) con età > 70 anni. Tale prevalenza è simile a quella di altre malattie croniche incluso il reflusso gastroesofageo, condizione comunemente associata a tosse cronica, mentre l’età avanzata escluderebbe demograficamente nei due sessi l’asma bronchiale come fattore predisponente/scatenante e, nella donna in età avanzata quindi in menopausa, la associazione tra ormoni femminili circolanti e tosse cronica. Curiosamente alcuni autori indicano che l’aumentata sensibilità alla tosse in donne in età fertile può essere considerata un vantaggio della evoluzione essendo utile nel prevenire i fenomeni aspirativi in gravidanza;
- la massima dose tollerabile al test di broncostimolazione con capsaicina è significativamente più bassa nelle donne quando confrontata con la popolazione maschile esaminata e che questa aumentata reattività nasce da una amplificazione di questi stimoli, anche minimali, a livello della corteccia somatosensoriale del sistema nervoso centrale della donna con una intensità doppia rispetto all’uomo. Questo dismorfismo legato al sesso è stato osservato anche nella diversa sensibilità della donna ad altri stimoli nocivi come il dolore cronico cutaneo e viscerale;
- infine viene confermata la diagnosi di “tosse cronica idiopatica”, così come già definito da un recente report dell’ERS 5, spesso associata a sintomatologia aspecifica delle vie aeree superiori e riscontro “atipico” di reflusso gastroesofageo.
Riferimenti bibliografici
- Sethi S. Chronic obstructive pulmonary disease and infection. Disruption of the microbiome?. Ann Am Thorac Soc. 2014; 11:S43-7.
- Sethi S, Murphy TF. Infection in the pathogenesis and course of chronic obstructive pulmonary disease. N Engl J Med. 2008; 359:2355-65.
- Simonetti AF, Viasus D, Garcia-Vidal C. Management of community-acquired pneumonia in older adults. Ther Adv Infect Dis. 2014; 2:3-16.
- Morice AH, Jakes AD, Faruqi S, The Chronic Cough Registry. A worldwide survey of chronic cough: a manifestation of enhanced somatosensory response. Eur Respir J. 2014; 44:1149-55.
- Morice AH, Millqvist E, Belvisi MG. Expert opinion on the cough hypersensitivity syndrome in respiratory medicine. Eur Respir J. 2014; 44:1132-48.
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