L’Etica Medica - Storia, evoluzione e futuro - Parte 1
Articolo
“Lo spirito dell’uomo non è morto. Continua a vivere in segreto ... È giunto a credere che la compassione, sulla quale si devono basare tutte le filosofie morali, può raggiungere la massima estensione e profondità solo se riguarda tutti gli esseri viventi e non solo gli esseri umani”.
da Albert Schweitzer
Discorso dell’investitura del Premio Nobel per la pace, 1952-53
Occorre iniziare da due definizioni, facendo il punto su due modalità di pensiero e di comportamenti che spesso tendono a venire confuse. Per Etica intendiamo una disciplina filosofica che ha per oggetto l’azione umana ed i valori e le norme a cui essa si conforma o dovrebbe conformarsi. L’Etica utilizza degli strumenti propri della ragione per indagare questioni e principi che sono alla base dei comportamenti umani. Altra cosa è la Morale, che spesso viene confusa con l’Etica. La Morale riguarda un insieme di discorsi e di precetti per indicare cosa sia giusto fare in determinate condizioni. Tende a rifarsi ad autorità e tradizioni di tipo religioso o sociale 1.
La nostra riflessione sull’etica medica deve necessariamente partire da un episodio storico, che innescò una serie di eventi drammatici successivi. Tutto era iniziato da una lettera di un padre di famiglia della città di Lipsia, indirizzata ad Adolf Hitler in persona alla fine del 1939. In questa missiva si chiedeva di porre fine alla vita del figlio adolescente, affetto da gravi malformazioni fisiche e da un grave deficit psichico. Hitler fu colpito dalla supplica ed immaginò un programma esteso di “purificazione” della società tedesca attraverso l’eliminazione dei soggetti considerati incapaci a vivere una vita socialmente utile. Con un ordine su carta intestata, recante il semplice nome del dittatore ed il simbolo dell’aquila nazista, indirizzato a Philipp Bouhler (1899-1945), un alto funzionario di partito e generale delle SS, capo della cancelleria privata del führer ed al dottor Karl Brandt (1904-1948), suo medico personale, Hitler stesso nel settembre del 1939 dispose di istituire un procedimento di eliminazione degli adulti e dei giovani esseri umani portatori di disabilità mentali e fisiche. La lettera che egli scrisse e che si è salvata incredibilmente dalle distruzioni della Seconda Guerra Mondiale si commenta da sola. Ecco il testo:
Iniziò così un processo di selezione ed eliminazione di inabili e malati che avrebbe portato alla soppressione criminale di decine di migliaia di persone. Secondo alcune stime, che non sono tuttavia univoche, si tratterebbe dell’uccisione di un numero di esseri umani variabile tra i 75.000 e forse gli oltre 150.000, tra cui alcune migliaia di bambini. Tuttavia nella Germania del tempo queste idee non nascevano dal nulla, ma affondavano le loro radici in uno sviluppo estremo del così detto darwinismo sociale 2 3.
Dopo l’uscita nel 1859 dell’Origine delle specie, le teorie evolutive di Charles Darwin avevano trovato degli accesi sostenitori dell’estensione della loro validità anche al corpo sociale. Di questi sviluppi Darwin era innocente. La sua figura austera e la grande onestà intellettuale e morale non avrebbero mai approvato una pericolosa deriva ideologica a riguardo di una supposta evoluzione sociale. Secondo alcuni intellettuali attivi nella seconda metà del XIX secolo e nei primi decenni del XX, come la natura si era preoccupata nei millenni di selezionare gli individui più adatti ad affrontare l’ambiente così la società doveva e poteva farsi carico di migliorare la propria composizione favorendo la vita e la riproduzione di individui dotati di caratteristiche fisiche e morali di eccellenza. Studiosi celebri, come l’inglese Herbert Spencer (1820-1903) ed il francese David Émile Durkheim (1858-1917), avevano applicato i principi del Positivismo di Auguste Comte (1798-1857) alla ricerca filosofica e scientifica in campo sociale. Avevano ipotizzato una modalità di formazione delle strutture sociali attraverso dei meccanismi di selezione e di scelta dei soggetti più idonei. Durkheim in particolare, aveva ipotizzato lo studio della sociologia come un vero e proprio strumento di conoscenza medica delle caratteristiche di una società, da cui si sarebbe potuto apprendere la natura delle eventuali disfunzioni ed individuarne le cure 4.
La differenza più importante tra questi due pensatori era legata al fatto che Durkheim vedeva nell’educazione e nel condizionamento l’elemento fondante della personalità dell’individuo, mentre Spencer trovava centrale la scelta del singolo essere umano, che doveva essere messo in condizione di vivere in una società retta dal libero mercato ed animata da una competizione accesa, ma leale e regolata. Il dibattito sulla conseguenza delle teorie evoluzionistiche ed i loro effetti sulla vita umana divenne molto acceso in Gran Bretagna e negli Stati Uniti negli ultimi decenni del secolo XIX e nei primi del XX. In Germania questa visione culturale ricevette il sostegno di due personalità dotate di grande prestigio, lo psichiatra Alfred Hoche (1865-1943) e il giurista Karl Binding (1841-1920). I due studiosi pubblicarono insieme nel 1920 un libro che fece scalpore, dal titolo di Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens (Il permesso di annientare vite indegne di vita). In questa pubblicazione erano enunciate alcune affermazioni a dir poco discutibili. Secondo i due autori era lecito praticare l’eutanasia su individui mentalmente handicappati, in quanto costoro si presumeva non avessero potuto formarsi una visione complessiva del mondo in cui vivevano. I malati gravi che avessero deciso di non vivere ulteriormente la loro condizione di sofferenza «dovevano essere aiutati a morire», in quanto la loro morte non poteva essere interpretata come un vero e proprio assassinio, ma come l’evitare a questi pazienti una fine penosa e dolorosa. Terzo e ancora più controverso punto di vista ideologico affermato, lo stato aveva il diritto di disfarsi di esseri umani incapaci di comprendere i termini della propria esistenza e di mostrare gratitudine nei confronti di chi li aveva in cura. Secondo Hoche, questi poveretti costituivano una zavorra per la nazione ed un peso economico ingiustificato ed inutile. Queste teorie sconcertanti e sconfortanti avevano trovato un loro sostegno a partire da alcune idee che circolavano nel mondo anglosassone in quegli stessi anni. Erano state in parte ispirate, in senso più generico, dalle concezioni di Francis Galton (1822-1911). Cugino di Charles Darwin, Galton aveva pubblicato nel 1869, dieci anni dopo l’uscita dell’Origine delle Specie, uno studio dal titolo di Hereditary Genius. In questo e altri scritti lo studioso inglese si presentò come l’ideatore del termine di eugenetica, cioè della disciplina che avrebbe dovuto interessarsi delle possibilità di miglioramento della specie umana attraverso l’utilizzo di fattori esterni all’evoluzione naturale ed introdotti dall’uomo 5.
Si trattava dello sviluppo in chiave evoluzionistica di alcuni concetti già contenuti nell’opera di Lambert Adolphe Jacques Quételet (1796-1874), un matematico ed astronomo belga che aveva scritto qualche decennio prima opere importanti per la conoscenza statistica dei fenomeni naturali e che si era proposto di riuscire a definire lo sviluppo del comportamento umano utilizzando le leggi della matematica. Quételet si era servito della modalità statistica nota come analisi multivariata, che a suo parere si sarebbe potuta adattare perfettamente allo studio di fenomeni scientifici complessi come il comportamento. Non quello di ogni persona, ma di un ipotetico uomo medio statistico, cui fare riferimento in ogni proiezione. Secondo le idee di Francis Galton, la natura da sola non avrebbe avuto degli intenti evolutivi di tipo esclusivamente positivo e sarebbe stato pertanto compito dell’uomo intervenire, attraverso l’intelligenza e la ragione, per modificare il corso naturale degli eventi e perfezionare le caratteristiche della specie. Un perfezionamento che fu interpretato da alcuni come la licenza data all’uomo di interferire attivamente sulla nascita e sulla morte, selezionando e scegliendo i più adatti e scartando gli inetti. Le tesi di Galton furono riprese e condotte verso ulteriori ed inquietanti sviluppi, che furono espressi nel 1895 dallo scrittore tedesco Adolf Jost nel libro Das Recth auf den eigenen Tod (Il diritto alla propria morte). Si trattò di un testo che fece scuola all’interno delle prospettive eugenetiche del nazismo. Jost sostenne la tesi che allo Stato spettasse l’ultima parola su come organizzare la nascita e soprattutto la morte degli individui, al fine di preservare il benessere e permettere il progresso dell’intera nazione.
Bisogna segnalare come tesi del genere germogliassero nella biologia e nella medicina proprio negli stessi anni in cui avveniva una relativa separazione epistemologica tra la medicina e le altre scienze della natura. Separazione che vide appunto negli ultimi tre decenni del secolo XIX e nei primi del XX l’imboccare da parte delle scienze mediche una strada che appare ancora oggi senza ripensamenti. La medicina abbracciò senza autocritiche il metodo sperimentale e statistico, abbandonando ogni riflessione epistemologica che permettesse ai ricercatori di tener conto della relatività delle loro scoperte e dell’impossibilità di raggiungere, nello studio del corpo umano e di tutte le altre scienze ad esso collegate, delle verità scientifiche assolute. Si separò pertanto dalla più modesta e consapevole visione programmatica delle altre discipline scientifiche, come la fisica, la matematica, la chimica, che si andavano invece in quegli stessi anni interrogando sull’impossibilità di ottenere dei risultati scientifici assolutamente esatti ed indiscutibilmente veri 6.
La costruzione di una grande nazione pangermanica, voluta dal cancelliere prussiano Otto von Bismark nella seconda parte del XIX secolo, si era basata da un punto di vista ideologico sull’affermazione della superiorità dello stato tedesco e dei suoi abitanti su di ogni altra popolazione europea. Pilastro portante di tale convinzione era stata l’esaltazione della capacità del cittadino del Secondo Reich imperiale (1871-1918) di volere e sapere subordinare le proprie esigenze di individuo a quelle di una nazione capace di assicurare un benessere sociale avanzato rispetto ad altri stati europei dell’epoca. Privilegi pagati con la rinuncia all’affermazione di ogni dissenso politico e con l’acquiescenza alle decisioni del potere costituito, emanate da uno stato autoritario e legittimato in quanto tale in modo autoreferenziale. Il manifesto ideologico del nazismo fu il pamphlet Mein Kampf (La mia battaglia), il libro scritto dallo stesso Adolf Hitler tra il 1923 e il 1924, durante la prigionia seguita al suo fallito colpo di stato di Monaco di Baviera. Le idee portanti di quel testo erano costituite dall’ideale della sottomissione incondizionata all’autorità suprema e dall’affermazione dell’ineguaglianza naturale tra gli uomini, principio in base al quale le masse si dovevano sottomettere in modo incondizionato ai loro capi e le razze “inferiori” a quelle “superiori” 7 8.
Tali idee aberranti trovarono sostegno e divulgazione grazie all’opera di due personalità dotate di buona cultura e di capacità dell’utilizzo mediatico del loro sapere, due intellettuali che furono aderenti entusiasti e consapevoli del nazionalsocialismo. Si trattò dell’ideologo del partito nazista, Alfred Rosemberg (1893-1946) e del ministro della propaganda, il tristemente noto Joseph Goebbels (1897-1945), principale responsabile della formidabile macchina di consenso utilizzata dal regime. Goebbels, che si era laureato in filosofia nella prestigiosa università di Heidelberg, utilizzò in modo geniale i moderni mezzi di comunicazione, come la radio e il cinema, per esaltare le idee di Hitler e del nazionalsocialismo, deformando sistematicamente la realtà ed adattandola alla visione ideologica e di potere del regime. Costruì sapientemente il culto della personalità del führer, dell’obbedienza e della fiducia cieca nelle decisioni del dittatore. Diverso è il discorso da fare per Rosemberg, custode e divulgatore del pensiero di Hitler. Rosemberg fu autore tra l’altro di un libro utilizzato come materia d’insegnamento nelle scuole tedesche e che gli diede notorietà internazionale. Questo testo aberrante recava il titolo di Il Mito del XX Secolo (Der Mythus des 20 Jahrhunderts). Nel suo libro Rosemberg riprendeva le idee del conte Joseph Arthur de Gobineau (1816-1882), un diplomatico e scrittore francese, celebre per l’opera Essai sur l’inégalité des races humaines (Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane). De Gobineau, autore fondante del razzismo europeo, sosteneva la divisione dell’umanità in razze, concetto che non dovrebbe trovare alcuna credibilità da un punto di vista scientifico e biologico. Attraverso le scoperte della biologia molecolare sappiamo infatti che il patrimonio genetico degli esseri umani è costante ed identico nei suoi tratti fondamentali a dispetto delle diverse tipologie morfologiche esteriori. All’epoca in cui queste teorie furono formulate l’apparente razionalità di una supremazia dell’uomo bianco e l’esistenza di una razza superiore nordica e ariana, rivestivano una loro autorevolezza legata al pregiudizio ed all’interesse di sopraffazione politica ed economica delle grandi potenze, impegnate nell’opera di asservimento coloniale e di sfruttamento del mondo. Secondo le idee di Rosemberg gli ariani erano stati i fondatori e gli animatori di tutte le grandi civiltà del passato, in un percorso storico interpretato in modo delirante che comprendeva l’antico Impero Persiano, la città greca di Sparta, le migrazioni dei Dori nel Peloponneso, i Romani e così via. Stampato in milioni di copie, il libro di Rosemberg conteneva anche un’interpretazione particolare del cristianesimo, in cui la figura di Gesù Cristo veniva presentata come quella di un superuomo liberatore dell’umanità dall’elemento ebraico. Anche se appare difficile credervi, una parte importante delle idee da cui traeva ispirazione Rosemberg provenivano dagli Stati Uniti. Questo paese era visto da alcuni nazisti come una nazione simbolo, sia per la sua storia di espansione ad Ovest, con lo sterminio e il confinamento degli Indiani, razza inferiore, nelle riserve, che per la politica di discriminazione razziale praticata negli stati del Sud.
Questa visione socio-politica era sostenuta in patria dalle idee dello scrittore e storico americano Lothrop Stoddard (1883-1950). Stoddard si era scagliato con forza nei suoi scritti contro il pericolo bolscevico ed il comunismo, responsabile per lui dell’omologazione delle diverse civiltà e nemico delle qualità individuali. Secondo Stoddard, la rivoluzione russa dell’ottobre del 1917 era stata una vera e propria battaglia tra le civiltà dell’Occidente e le masse brutali dell’Est Europa. Se gli occidentali volevano prevalere dovevano prendere le distanze dalle idee liberali e troppo arrendevoli delle grandi democrazie europee ed americane per adottare radicali cambiamenti nella politica economica e sociale, introducendo ad esempio un programma di eugenetica per migliorare il proprio milieu biologico 9 10.
Rosemberg, riprendendo in parte le idee di Stoddard, affermò che le popolazioni slave, da lui considerate di etnia più infima rispetto a quelle dell’Europa del Nord, avendo scelto il comunismo avevano dato vita ad una razza di Untermensch (Uomini di rango inferiore). Una razza che costituiva un pericolo per l’Occidente e per la sua stessa civiltà e cultura. Nei primi decenni del XX secolo gli Stati Uniti furono la nazione all’avanguardia dell’eugenetica mondiale. La prima legge in questo senso venne varata nel 1907 nello stato dell’Indiana e riguardava la sterilizzazione forzata. Si trattava di una normativa rivolta ai ricoverati negli ospedali psichiatrici ed a carico all’assistenza statale. Delle apposite commissioni di esperti, formate da medici e giuristi, avrebbero dovuto valutare il grado della loro deficienza mentale sulla scorta di appositi test psicologici. Coloro che venivano ritenuti troppo gravi e non autosufficienti venivano sottoposti ad una sterilizzazione coatta.
Negli anni seguenti tale pratica si estese anche ad altri stati americani, oltre venti, tanto che le sterilizzazioni forzate furono alcune decine di migliaia. Anche in Svezia la prassi della sterilizzazione per i malati e gli inabili mentali conobbe in quegli anni un certo successo 11 12.
Si trattava di un’applicazione pratica delle politiche di igiene razziale che erano germogliate dal darwinismo estremista e che affondavano le loro radici nel convincimento che ogni aspetto della vita dell’uomo fosse migliorabile intervenendo sulla componente biologica delle persone. L’oggettività sperimentale assoluta, che la medicina e la biologia di fine secolo accettarono con pochi ripensamenti epistemologici e morali, furono il terreno fecondo su cui germogliò la pianta della discriminazione razziale. L’opinione pubblica rimase affascinata da questo messaggio ideologico, apparentemente e saldamente scientifico, un messaggio che asseriva come si potesse intervenire sulle persone migliorandole allo stesso modo di un allevatore che selezioni vacche da latte o cavalli da corsa. La politica, la filosofia e la religione non contrastarono e disapprovarono abbastanza queste idee, che sembravano indubitabili, grazie al prestigio che la medicina si stava guadagnando, affrancando l’umanità da flagelli secolari come le malattie infettive. Quando la Germania nazista iniziò a praticare l’eugenetica, l’esempio costituito dagli Stati Uniti attraverso la sterilizzazione forzata risultò un punto di inizio per un processo che sarebbe giunto progressivamente ad estendere la gravità dei suoi interventi, passando dalla sterilizzazione dei malati di mente non autosufficienti all’eutanasia degli stessi e di tutti i soggetti che fossero, indipendentemente dall’età, in una condizione di minorità e di non adeguatezza ai criteri di una normalità presunta. Criteri di normalità che erano stabiliti da un insieme di medici appositamente selezionati e formati dallo stato. La Germania nazista iniziò ad applicare un programma di sterilizzazione forzata a partire dal 1933, subito dopo la conquista del potere. Il 14 luglio 1933 fu discussa dal parlamento tedesco, egemonizzato e condizionato dal partito nazionalsocialista, la Gesetz zur Verhütung erbkranken Nachwuchses (Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie). La legge fu promulgata il 25 luglio, appena dopo la firma del concordato con la Chiesa Cattolica avvenuta il 20 dello stesso mese. Questa legge stabiliva che le persone affette da una serie di malattie ereditarie o di cui si supponeva un’origine genetica, come la schizofrenia, l’epilessia, le varie forme di cecità e sordità, la Corea di Huntington e le deficienze mentali in genere, fossero sottoposte a sterilizzazione forzata. A questo insieme di sfortunati esseri umani, incolpevoli del loro stato, la legge nazista aggiunse, in una sorta di condanna morale, gli alcolisti cronici. Il ministero degli interni tedesco, da cui dipendeva anche quello della sanità, calcolò in circa 400.000 il numero delle persone da sterilizzare. Questo ministero era retto da Wilhelm Frick (1877-1946), un avvocato bavarese e nazista della prima ora, che sarebbe stato uno dei principali autori delle leggi antiebraiche prima di essere condannato a morte e giustiziato dopo il Processo di Norimberga. Furono istituiti dei tribunali speciali, chiamati Erbgesundheitsgerichten (Tribunali per la Sanità ereditaria), formati da tre membri: due medici ed un giudice distrettuale. Questi organi medico-giuridici avevano il compito di esaminare i pazienti nelle case di cura, negli istituti psichiatrici, nelle scuole per disabili e nelle prigioni, per stabilire coloro che dovevano essere sterilizzati e procedere successivamente all’intervento 3 13.
Tutti i responsabili degli istituti dove potevano trovarsi i candidati alla sterilizzazione, i medici, i direttori, gli insegnanti e via dicendo, avevano l’obbligo legale di riferire ai funzionari dei tribunali i nomi di coloro che a loro avviso rientravano nelle categorie su cui intervenire, violando così ogni criterio deontologico ed umano. Nonostante le proteste di qualche familiare ed i ricorsi avanzati dai parenti dei pazienti, si ritiene che tra il 1933 e il 1939 siano state sterilizzate circa 350.000 persone. La legge venne utilizzata come uno strumento punitivo, un mezzo utile in molti casi per mettere fuori gioco dissidenti e persone scomode politicamente. Furono di conseguenza sterilizzate molte prostitute ed anche chi non era affetto da malattie ereditarie. Martin Bormann (1900-1945), segretario personale di Hitler e vera eminenza grigia del regime, fece emanare una direttiva nella quale era specificato che in una diagnosi di debolezza mentale fosse necessario tener conto del comportamento politico e morale della persona esaminata, una chiara allusione alla possibilità di colpire i nemici del partito attraverso questo provvedimento e di soprassedere invece nel caso opposto.
Esistono alcuni indizi che il programma di sterilizzazione di massa dovesse essere esteso anche alle persone affette da disabilità fisiche in genere, anche se tale idea venne espressa con cautela, in quanto il potente ministro della propaganda Joseph Goebbels soffriva degli esiti di una malattia alla gamba sinistra e zoppicava nel suo incedere. Lo stesso Philipp Bouhler, uno dei responsabili organizzativi di questo progetto criminale, era claudicante a causa di una ferita alla gamba riportata nel corso della Prima Guerra Mondiale e sarebbe stato pertanto imbarazzante tener conto delle condizioni fisiche di questi due importanti gerarchi 14 15.
Negli anni seguenti al 1937 le politiche di riarmo intraprese dalla Germania e la necessità di manodopera fecero in modo che molti potenziali pazienti risultassero esclusi dall’applicazione di questa legge per la necessità del loro impiego come forza lavoro nell’industria pesante. Il numero di sterilizzazioni forzate diminuì. La maggior parte dei medici tedeschi non protestò contro l’applicazione di una legislazione che molti di loro ritenevano addirittura giusta in base alle idee scientifiche ed antropologiche del tempo. La Chiesa Cattolica, pur deplorando il provvedimento, si tenne in disparte senza esercitare alcun tentativo di disobbedienza civile o di richiamo ai principi della libertà di coscienza, limitandosi a chiedere che i medici cattolici fossero dispensati dall’applicazione della legge e dal far parte delle commissioni selezionatrici dei candidati alla sterilizzazione 15.
La pratica della sterilizzazione forzata fu dunque l’inizio di un percorso criminale che avrebbe portato in pochi anni all’eutanasia nei confronti dei malati di mente, alle esecuzioni di massa dei prigionieri di guerra e dei civili durante la campagne di Polonia e di Russia ed all’abominio dei campi di sterminio.
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