La tempesta dopo la quiete? Nuove idee, nuovi diagnostici e nuovi farmaci per la tubercolosi
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Tuttora fra le principali piaghe dell’umanità per numero di malati e di decessi (di recente ha ri-superato l’HIV come prima causa di morte “infettiva”), la tubercolosi da tempo aveva perso l’attenzione dei produttori di diagnostici e di farmaci che, generalmente attivi nei Paesi sviluppati e con bassi tassi di malattia, erano poco interessati ad effettuare investimenti a lungo termine su mercati a basso valore economico.
Sul piano preventivo, il vaccino BCG, vaccino quasi centenario, forse uno dei più diffusi al mondo, ha dimostrato bassa efficacia protettiva mentre le promesse di vaccini ricombinanti, per quanto con qualche schiarita, sembrano ancora lontane dall’essere mantenute.
Ancora più antico, in campo diagnostico, per quanto riguarda l’infezione tubercolare “latente” (ITBL), è tuttora in auge, con non pochi meriti, l’intradermoreazione tubercolinica secondo Mantoux (TST), il più vecchio test tuttora utilizzato, così come per la malattia attiva sono ancora in uso l’esame microscopico diretto e l’esame colturale sull’espettorato o su altri materiali patologici: il primo nella versione aggiornata con la colorazione a fluorocromi e il secondo da effettuarsi in parallelo su terreni solido (lento ma affidabile) e liquido (rapido ma più facilmente inquinabile).
Per quanto riguarda la terapia poi, dalla fine degli anni ’50 (studi di Sensi sulle rifamicine, che entrarono nella pratica clinica una decade dopo) a ieri, il mantra della lotta alla tubercolosi era che, trattandosi di una malattia da paesi poveri, più che ben controllata dalle terapie disponibili e comunque destinata al declino epidemiologico, c’era ben poco da aspettarsi dall’industria farmaceutica nel campo della ricerca di nuove molecole “dedicate”.
Certo, il diffondersi delle forme resistenti, multiresistenti (MDR) ed estremamente resistenti (XDR), hanno spinto “i difensori del Forte Bastiani” a fare alcune sortite che hanno consentito il recupero di preziose ed efficaci munizioni originariamente indirizzate altrove (chinolonici di seconda generazione, linezolid, imipenemici) e di vecchi ma ancora efficaci armamentari (PAS, Terizidon, Ethionamide) ma il senso di abbandono e, contemporaneamente, di attesa era dominante.
In realtà, in campo diagnostico qualcosa aveva cominciato a muoversi già negli anni ’90 con le amplificazioni geniche per una diagnostica rapida e l’assai più dinamico mondo della ricerca in questo campo, ha più di recente prodotto una serie di aggiornamenti che comprendono gli IGRA (con metodiche EliSpot ed Elisa) per la ITBL, le identificazioni e gli antibiogrammi molecolari (sistemi LiPA), e le amplificazioni automatizzate (sistemi Xpert) per la malattia attiva e anche alcune piattaforme utili ai grandi Centri di riferimento e di Controllo per l’epidemiologia molecolare (spoligotyping, MIRU) fino alle metodiche di sequenziamento del DNA micobatterico che dovrebbero consentire una sintesi di molte delle metodiche sopracitate.
In particolare, viste anche le intenzioni del W.H.O. di arrivare all’eradicazione della malattia entro alcuni decenni, molta attesa si è concentrata sugli IGRA per l’identificazione più corretta dei soggetti con ITBL da trattare con la terapia preventiva in modo da ridurre il serbatoio degli infetti potenzialmente ammalabili, e sui sistemi Xpert per la diagnosi rapida dei malati contagiosi in realtà periferiche a bassa capacità tecnologica.
Purtroppo, i primi, seppur con qualche vantaggio rispetto al TST come l’esclusione delle positività da vaccinazione BCG e prestazioni lievemente migliori negli immunodepressi, non riescono a distinguere i casi di TB attiva da quelli con ITBL e neppure le infezioni recenti (teoricamente a maggior rischio di progressione verso la malattia attiva) da quelle lontane. Queste mancanze li portano ad un valore predittivo positivo e negativo non ancora sufficienti per essere considerati la risposta definitiva al problema dell’ITBL.
È pertanto in corso un loro aggiornamento con l’utilizzo di più provette con peptidi micobatterici (ESAT6, CFP10) di diverse dimensioni in modo da differenziare la risposta helper da quella suppressor e dunque meglio inquadrare il complesso rapporto tra il nostro sistema immunologico e i micobatteri che noi grossolanamente definiamo dormienti ma che in realtà mantengono un parziale dinamismo all’interno dei granulomi di contenimento.
Certamente i costi superiori rispetto al TST e la necessità di un laboratorio di appoggio fanno sì che gli attuali IGRA siano ancora lontani dal tanto desiderato test “point of care” per l’ITBL.
Infine la metodica Xpert, amplificazione automatizzata che funziona con cartucce simili alle macchinette del caffè e che in poche ore, identifica nel campione (preferibilmente respiratorio ma anche in molti materiali extrarespiratori come pus ascessuali, linfonodi, biopsie) la presenza del DNA micobatterico e l’eventuale mutazione sul sito rpoB di resistenza alla rifampicina.
Questa piattaforma, particolarmente vantaggiosa per la sua semplicità, consente di avere una sensibilità molto più elevata rispetto all’esame microscopico e lievemente migliore delle vecchie amplificazioni manuali, pur rimanendo la coltura il gold standard. Inoltre, poiché la resistenza isolata alla rifampicina è rara, il riscontro della mutazione viene considerato un “proxy” di multiresistenza ai farmaci nei paesi ove questo fenomeno è diffuso (Europa Orientale e repubbliche ex-sovietiche, Cina, India), mentre in aree a bassa endemia come l’Italia va sempre valutato il rischio individuale (provenienza dalle suddette zone, anamnesi positiva per recidive o fallimenti terapeutici, ecc.).
Per la terapia della ITBL oltre al classico trattamento con l’isoniazide per 6-9 mesi, con le eventuali alternative di rifampicina per 4-6 mesi o la combinazione delle due per 3 mesi, da 2 anni è entrato con successo nei protocolli internazionali un regime con rifapentina (una rifamicina long-acting) e isoniazide ad alto dosaggio con cadenza tri-settimanale per 12 settimane. Purtroppo però il primo farmaco non è ancora registrato in Italia.
Le maggiori novità però giungono finalmente sul tavolo dei clinici grazie ad alcune nuove molecole (bedaquilina, delamanid), appositamente studiate per essere attive sui micobatteri, e altre si intravedono all’orizzonte. Al momento limitati, per costo e tollerabilità, ad un uso selezionato nelle forme di TB MDR e XDR, questi farmaci potranno in futuro diventare di più largo uso in forme meno severe di tubercolosi e, probabilmente, anche nelle patologie sostenute da micobatteri non tubercolari contro le quali sono già stati usati per alcune “terapie di salvataggio”.
In Italia la bedaquilina (Sirturo®, Janssen) è stata registrata in Fascia H già da 1 anno mentre il delamanid (Deltyba®, Otsuka) è stato purtroppo inserito in fascia C, rendendolo di fatto pressoché indisponibile.
Quest’ultimo tipo di scelta rientra in un quadro di “scarsa sensibilità” verso la tubercolosi da parte delle autorità regolatorie italiane alle quali sembra doversi imputare anche:
- la recente scomparsa senza colpo ferire della rifampicina al dosaggio di 600 mg, quello di uso più comune per gli adulti (che va sostituito con 2 capsule da 300, con costi e scomodità di somministrazione aumentati);
- l’altrettanto tranquilla, seppur solo transitoria, “messa in carenza” del dosaggio da 450 mg durante il 2015, con ancora più gravi conseguenze per la popolazione infantile e per gli adulti di piccola taglia che, non essendo le capsule da 300 mg frazionabili, sono pressoché privi di possibilità terapeutiche col principale farmaco antitubercolare, sia in caso di trattamento della malattia che dell’infezione latente, con intolleranza o resistenza all’isoniazide.
In questo scenario a poche luci e molte ombre, sulle indicazioni all’uso del Sirturo®, nei mesi scorsi si è confrontato un gruppo di esperti italiani appartenenti alle discipline maggiormente coinvolte nella lotta alla TB sul territorio nazionale: microbiologi, infettivologi e pneumologi.
Il documento, pubblicato sul sito di AIPO, nella sezione Editoria – Documenti Scientifici cui il nostro editoriale rimanda (e su quelli delle altre Società Scientifiche coinvolte), rappresenta il risultato di questo confronto interdisciplinare molto fruttuoso; contiene raccomandazioni stringenti per quanto riguarda la prescrizione e l’uso del farmaco, attualmente riservato solo ai Centri con grande esperienza di casi difficili, e la serie di esami preliminari e di monitoraggio durante la terapia.
Non è scolpito nella pietra perché siamo convinti che nuove evidenze provenienti dalla pratica clinica potranno modificare queste raccomandazioni ma, al momento, riteniamo possa rappresentare un utile strumento per chi dovrà affrontare simili problematiche, non fosse altro che per valutare correttamente e indirizzare i casi a Centri più attrezzati ed esperti.
Riferimenti bibliografici
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