Correva l'anno 2015
Pubblicato: 2016-04-15

Disturbi Respiratori nel Sonno

Fondazione “Salvatore Maugeri” I.R.C.C.S., Centro di Medicina del Sonno ad indirizzo Respiratorio, Divisione di Pneumologia Riabilitativa, Istituto Scientifico di Veruno (NO)

Articolo

I risultati di due studi molto ampi e attesi sono stati pubblicati nell’anno 2015 e ormai ben conosciuti con i loro acronimi: HypnoLaus e SERVE-HF.

HypnoLaus è il primo studio di coorte europeo 1 all’altezza delle casistiche statunitensi (es.: Sleep Heart Health Study) che nello scorso decennio hanno dato sostanza alle ipotesi di associazione tra apnee ostruttive nel sonno (OSA) e patologie cardiovascolari e metaboliche. Lo studio condotto a Losanna ha raccolto le polisonnografie notturne di 2121 persone (48% uomini), un campione di popolazione europea molto ben caratterizzato. Rappresenta il primo studio epidemiologico condotto con i nuovi criteri di scoring, più permissivi nella definizione delle ipopnee, per ottenere dati di prevalenza e sull’associazione con le principali comorbilità (ipertensione, diabete, sindrome metabolica e depressione).

Tre quarti della popolazione (88% degli uomini e 61% delle donne) ha un AHI > 5; la soglia di almeno 15 eventi per ora è raggiunta dal 49,7% della popolazione maschile e 23,4% della popolazione femminile. Vengono confermati i tradizionali fattori di rischio per OSA: sesso maschile, età (anche se non così marcato per le forme gravi come in altri studi), massa corporea, circonferenza del collo, rapporto vita-fianchi e menopausa nelle donne, russamento. Da sottolineare la confermata assenza di un’associazione tra sonnolenza e gravità del disturbo respiratorio nel sonno, che in tempi di revisione delle normative sulla concessione della patente di guida conferma come sia fuorviante identificare l’OSA come sinonimo di sonnolenza alla guida. Solo il 14% degli uomini e il 10% delle donne aveva una scala di Epworth > 10, quindi meno di un sesto dei partecipanti meritevoli di trattamento riferisce una sonnolenza patologica.

Lo studio conferma che i disturbi respiratori nel sonno sono un continuum, più che una patologia on/off, la cui rilevanza è probabilmente da inquadrare nel contesto clinico del paziente. Lo studio conferma che le quattro comorbilità aumentano progressivamente con l’aumentare dell’AHI, ma è soprattutto il quarto quartile di stratificazione della popolazione, che ha un AHI > 20,6 eventi/ora che ha un rischio significativo.

Analogamente alle coorti americane questo studio sarà una miniera per ottenere informazioni sull’associazione tra OSA e altre patologie ed elucidare anche altri meccanismi, ma già questa prima pubblicazione rinforza il legame tra comorbilità e progressione di gravità degli indici respiratori notturni e induce probabilmente ad un ripensamento sulle soglie di normalità individuabili con gli attuali criteri di score suggeriti dall’American Academy of Sleep Medicine.

Lo studio SERVE-HF 2 era invece stato disegnato per dimostrare se il trattamento del respiro di Cheyne Stokes con la ventilazione anticiclica servoadattiva nei pazienti con scompenso cardiaco cronico fosse in grado di migliorare gli indicatori di risultato clinico di maggior rilievo (mortalità, trapianto, ospedalizzazione per scompenso, scarica del defibrillatore per aritmia letale).

Sono stati selezionati 1325 pazienti con frazione di eiezione del ventricolo sinistro (FE) < 45% e un AHI > 15 (eventi quasi solo centrali), randomizzati a ventilazione vs sola terapia medica e fine studio al raggiungimento di 651 eventi per raggiungere la potenza statistica ottimale al confronto tra i due gruppi.

Il gruppo in ventilazione non ha mostrato un numero di eventi inferiore al gruppo di controllo, né un miglioramento negli indici di qualità di vita, ma nel gruppo in ventiloterapia il test del cammino si è deteriorato maggiormente e soprattutto si è verificata una maggiore mortalità (HR 1,25) specie per cause cardiovascolari (HR 1,30), in assenza di riospedalizzazione prima dell’evento, quindi verosimilmente morti improvvise su base aritmica, che si verificavano tuttavia durante la giornata e non mentre il paziente era in ventilazione.

Le pressioni erogate erano mediamente contenute (IPAP media 10 cmH2O, EPAP media 5,5 cmH2O) con un utilizzo medio di 4,1 ore per notte a 2 settimane, sceso a 3,2 ore per notte a 48 mesi. Quando utilizzato il ventilatore correggeva il respiro di Cheyne Stokes in modo efficace (AHI medio 31,2 a 6,7 eventi/ora) e permaneva una quota di ipossia notturna significativa in una parte dei pazienti (in media il 20% della notte con SaO2 < 90%).

Le conclusioni dello studio sono che la ventiloterapia servoassistita non ha un effetto protettivo sugli indicatori di risultato maggiori e comporta un aumentato rischio di mortalità cardiaca. Dopo questa pubblicazione la prescrizione di questa modalità di ventilazione in chi ha una FE < 45% è stata sconsigliata.

Lo studio è stato oggetto di moltissime critiche, in particolare per la mancata determinazione della FE in 126 controlli e 130 nel gruppo ventilato, per avere incluso pazienti con FE > 45% e soprattutto per avere permesso il passaggio di molti pazienti da un gruppo all’altro dopo la randomizzazione, alterando così l’analisi che era sull’intention to treat. La bassa compliance non consente d’altra parte di comprendere se la ventiloterapia sia effettivamente efficace. In sostanza lo studio lascia più domande che risposte; si spera che l’altro studio multicentrico analogo (ADVENT-HF) che al momento non segnala problemi di sicurezza del trattamento, possa aiutare a dipanare i molti dubbi rimasti.

Il rapporto tra apnee ostruttive nel sonno e malattie cardiovascolari e/o metaboliche è stato ampiamente indagato negli ultimi anni, ma una comorbilità di rilievo si sta delineando anche con le patologie renali croniche aprendo così un ulteriore fronte nella complessa interazione tra organi e apparati che questo disturbo respiratorio nel sonno può deteriorare.

Il lavoro di Zalucky et al. 3 cerca di perfezionare alcuni punti ancora controversi della letteratura: se infatti l’ipossiemia intermittente che si associa all’OSA pare essere il meccanismo alla base del deterioramento della funzionalità renale mediante un riaggiustamento del sistema renina-angiotensina, non era chiaro quanto questa correlazione fosse “dose-dipendente” e non fosse da considerare spuria, cioè associata ad altri fattori non adeguatamente normalizzati come l’obesità.

Con un protocollo molto raffinato per le valutazioni di funzionalità renale e un po’ sottodimensionato per la definizione degli eventi respiratori nel sonno, gli autori hanno selezionato 13 soggetti obesi privi di comorbilità e senza desaturazioni notturne di rilievo e due gruppi di pazienti OSA, 17 con moderata ipossiemia e 14 con ipossiemia grave durante il sonno, ma tutti senza ipossiemia diurna di rilievo.

Già in condizione di base entrambi i gruppi di pazienti OSA mostravano una maggiore pressione glomerulare di base, che è una condizione predisponente a malattia renale cronica e implica una frazione di filtrazione aumentata.

Controllando in modo molto accurato il bilancio salino della dieta si è dimostrato che la riduzione di flusso plasmatico renale effettivo dopo l’infusione di angiotensina II era inversamente proporzionale alla gravità dell’ipossiemia notturna. Le OSA con maggiore desaturazione avevano cioè una attivazione di base del sistema renina-angiotensina maggiore rispetto alle OSA con modica ipossia notturna, che a loro volta differivano rispetto al gruppo di controllo.

I valori di pressione sistemica, i tassi ematici di renina e angiotensina II non differivano tra i tre gruppi, confermando che questo meccanismo è esclusivamente intrarenale.

Il rene è un organo particolarmente sensibile all’insulto ipossico in quanto privo di una risposta vascolare all’ipossia. Mentre cuore e cervello riescono a preservare flusso e ossigenazione modulando un riflesso vascolare, il rene attiva il proprio sistema renina angiotensina tissutale che determina una iperfiltrazione glomerulare, anticamera di una cascata di eventi che porta alla fibrosi tubulointerstiziale e quindi alla malattia renale cronica. Tutto questo può avvenire senza variazioni della pressione sistemica, rendendo il rene un organo bersaglio elettivo (e silente) del danno da OSA. Poiché è già stato dimostrato che il trattamento con CPAP riduce la pressione glomerulare e l’attività dell’asse renina angiotensina renale, l’attiva ricerca dell’OSA e il suo trattamento nei pazienti a rischio di malattia renale cronica può cambiare la storia naturale di questa malattia.

Riferimenti bibliografici

  1. Heinzer R, Vat S, Marques-Vidal P. Prevalence of sleep-disordered breathing in the general population: the HypnoLaus study. Lancet Respir Med. 2015; 3:310-8.
  2. Cowie MR, Woehrle H, Wegscheider K. Adaptive servo-ventilation for central sleep apnea in systolic heart failure. N Engl J Med. 2015; 373:1095-1105.
  3. Zalucky AA, Nicholl DD, Hanly PJ. Nocturnal hypoxemia severity and renin-angiotensin system activity in obstructive sleep apnea. Am J Respir Crit Care Med. 2015; 192:873-80.

Affiliazioni

Alberto Braghiroli

Fondazione “Salvatore Maugeri” I.R.C.C.S., Centro di Medicina del Sonno ad indirizzo Respiratorio, Divisione di Pneumologia Riabilitativa, Istituto Scientifico di Veruno (NO)

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2016

Come citare

Braghiroli, A. (2016). Disturbi Respiratori nel Sonno. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 31(2), 64-65. https://doi.org/10.36166/4920-2016-31-17
  • Abstract visualizzazioni - 180 volte
  • PDF downloaded - 171 volte