Lo stato della Riabilitazione Respiratoria in Italia. Il punto di vista del Fisiatra
Abstract
Oggi nel mondo, tra le malattie cosiddette non trasmissibili, quelle respiratorie croniche, insieme al cancro ed alle malattie cardiovascolari, sono tra le più frequenti cause di disabilità e di morte. La condizione di cronicità si associa quasi sempre a problemi di funzionamento ed a complessità biologica, clinica e psico-sociale. La persona in condizione di cronicità e disabilità (CCD) ha una specifica tipologia di bisogno, ed in particolare la necessità di interventi riabilitativi volti a favorire il recupero o il mantenimento dell’autonomia e del massimo livello di partecipazione sociale. Gli interventi di riabilitazione in caso di compromissione del “funzionamento” dovuta a malattie croniche respiratorie sono di provata efficacia e dovrebbero essere assicurati di routine ad ogni paziente con compromissione funzionale di grado moderato-severo. Tuttavia, essi sono poco diffusi ed i contenuti e le modalità di attuazione degli stessi sono paradossalmente variegati ed a volte contraddittori. Inoltre, la segmentazione dei percorsi assistenziali per ogni singola patologia (es. BPCO), secondo un approccio “biologico” alla complessità, può portare ad una frammentazione degli interventi, se essi non vengono ricomposti in una cornice di approccio tecnico alla condizione di salute ed organizzativa unitaria. I principi, i modelli organizzativi e le modalità operative proprie della Medicina Fisica e Riabilitativa (MFR) sono incentrate sul Progetto Riabilitativo Individuale (PRI) ed il lavoro in team riabilitativo, sull’uso di indicatori clinici standardizzati per la valutazione multidimensionale e su modelli organizzativi in rete di tipo dipartimentale. È proponibile una forma di collaborazione tra la rete dei servizi pneumologici e quella dei servizi di MFR, per dare la possibilità al gran numero di pazienti “respiratori” candidati alla riabilitazione di utilizzare la rete dei servizi riabilitativi secondo un modello innovativo di tipo Hub e Spoke.
L’epidemiologia con gli occhi del Fisiatra
Nell’Action Plan 2014-2021 1 l’OMS, analizzando i risultati del “World report on disabilities” 2, riconosce che la disabilità è oggi, nel mondo, un problema di salute pubblica globale, un ostacolo al rispetto dei diritti umani ed una priorità per lo sviluppo della società, in particolare nei paesi a basso-medio reddito. L’OMS sottolinea che la disabilità non può essere più intesa in modo stereotipato come un fenomeno puramente biologico o sociale, perché l’esperienza della disabilità deriva dalla complessa interazione tra la condizione di salute di una persona ed il proprio contesto ambientale e personale.
È quello che l’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) definisce in termini di problemi di funzionamento (functioning) 3.
Le malattie respiratorie croniche, insieme al cancro ed alle malattie cardiovascolari, sono tra le più frequenti cause di disabilità e di morte.
Tra le malattie cosiddette non trasmissibili, quelle respiratorie croniche, insieme al cancro ed alle malattie cardiovascolari, sono tra le più frequenti cause di disabilità e di morte. Dalla banca dati disabilità dell’INAIL 4 emerge che in Italia nel 2014 erano presenti 659.331 persone con disabilità (566.142 maschi e 93.169 femmine), di cui 313.216 con disabilità motoria (262.232 maschi e 50.984 femmine), 135.645 con disabilità psicosensoriale (125.605 maschi e 10.040 femmine), e 42.188 con disabilità cardiorespiratoria (37.870 maschi e 4.318 femmine).
Disabilità da menomazioni di origine respiratoria e condizione di cronicità
Il citato “Global Disability Action Plan 2014-21” 1 dell’OMS sottolinea la connessione tra cronicità e disabilità ed indica nei servizi e nelle attività di riabilitazione lo strumento essenziale per contrastare le conseguenze funzionali delle patologie disabilitanti ad andamento cronico. Il Patto per la Salute 2014-16 5 ha indicato la necessità di definire un comune disegno strategico per le politiche sanitarie nel settore che si sostanzi in un “Piano Nazionale della Cronicità”, in corso di definizione a livello ministeriale.
Ma qual è oggi la condizione di salute di un malato cronico respiratorio? La caratteristica più frequente associata alla presenza di patologie croniche è la limitazione del funzionamento, che si traduce in disabilità di entità variabile. È proprio lo stretto legame tra cronicità e disabilità che fa della cronicità un tema centrale per la Medicina Fisica e Riabilitativa (MFR). In questa prospettiva è stato introdotto dalla Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa nel Position Paper “La Riabilitazione delle persone in condizioni di cronicità e disabilità” 6, il concetto di “persona in condizioni di cronicità e disabilità” (CCD). Si tratta di una persona, appunto, che ha una particolare tipologia di bisogno e, soprattutto, la necessità di interventi riabilitativi volti a favorire il recupero o il mantenimento dell’autonomia e del massimo livello di partecipazione sociale.
Gli ostacoli alla diffusione della riabilitazione respiratoria
Disomogeneità di contenuti e organizzazione
Gli interventi di riabilitazione in caso di compromissione funzionale dovuta a malattie croniche respiratorie sono di provata efficacia e dovrebbero essere assicurati di routine ad ogni paziente con compromissione funzionale di grado moderato-severo 7. Tuttavia, i contenuti e le modalità di attuazione degli stessi costituiscono una realtà variegata ed a volte contraddittoria. Una recente survey di Spruit et al. 8 mette in evidenza significative differenze organizzative e di contenuto nei programmi di riabilitazione respiratoria tra Europa e Nord America. In particolare, appare evidente come la gran parte dei trattamenti di riabilitazione polmonare sia espletata maggiormente in regime ambulatoriale in Nord America (outpatient 79,7% vs 48,9% dell’Europa), mentre in Europa il trattamento in regime di ricovero ordinario è prevalente (inpatient 16,0% vs 3,7% del Nord America). Esistono anche significative differenze relative al numero di pazienti presi in carico, alla percentuale di quelli che concludono il programma riabilitativo, per certi versi al case mix trattato, ai contenuti ed alla durata del trattamento riabilitativo.
Questi dati certamente riflettono i diversi modelli organizzativi, di pagamento e di politiche sanitarie tra i due continenti. Nel nostro Paese la situazione appare similmente variegata con differenze di erogazione dei servizi sanitari ai cittadini del Nord e del Sud della penisola, tra le singole Regioni e tra aree diverse della stessa Regione 9.
La diversa organizzazione di interventi riabilitativi e setting assistenziali, nonché l’assenza di criteri e requisiti che ne stabiliscano l’appropriatezza d’uso in base alle risorse a disposizione, hanno comportato risposte assistenziali diversificate.
Oggi in Italia il dibattito e l’interesse in riabilitazione sono rivolti ad affrontare anche i temi organizzativi sanitari sotto il profilo dell’appropriatezza organizzativa e clinica. Ciò è stato ben sottolineato dalla Direzione Generale della Programmazione Sanitaria che così sintetizza: “La diversa organizzazione di interventi riabilitativi e setting assistenziali, nonché l’assenza di criteri e requisiti che ne stabiliscano l’appropriatezza d’uso in base alle risorse a disposizione, hanno comportato risposte assistenziali diversificate, con un conseguente sbilanciamento dei volumi di attività e della distribuzione dei servizi fra le Regioni” 10. Da un’analisi effettuata da tale organismo nel 2010 su un campione di 257.720 ricoveri di riabilitazione neurologica, pneumologica, cardiologica e ortopedica, circa il 15% non era preceduto da un evento acuto 10. Tale situazione testimonia un uso non appropriato dei setting riabilitativi oppure un probabile sovrautilizzo della degenza vs la presa in carico ambulatoriale.
I classici PDTA non sono più attuali
Nel nostro paese la rete degli interventi in acuto è mediamente efficace e consolidata. Si veda per esempio quella delle patologie tempo-dipendenti. Ma la rete dei servizi per il cronico è ancora frammentaria. Il problema è che, di fronte ad una persona in CCD, c’è la tendenza a trattare tradizionalmente le singole patologie in modo separato, con vari specialisti che si alternano di fronte al malato, senza nessuno che si faccia garante della persona nel suo complesso. Anche gli stessi Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) patologia specifici, non sempre sembrano all’altezza delle esigenze di queste persone. In quale percorso (o percorsi) va inserita la persona che presenta limitazioni del funzionamento dovute per esempio ad una Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) con associata Malattia di Parkinson e piede diabetico? Condizioni come queste non sono infrequenti 6.
La segmentazione dei percorsi assistenziali per ogni singola patologia, secondo un approccio “biologico” alla complessità, può portare ad una frammentazione degli interventi.
È ragionevole pensare che la segmentazione dei percorsi assistenziali per ogni singola patologia, secondo un approccio “biologico” alla complessità, porti ad una frammentazione degli interventi se essi non vengono ricomposti in una cornice di approccio tecnico alla condizione di salute ed organizzativa unitaria. Se da un lato può soddisfare il professionista, dall’altro può non dare risposta alla persona e sprecare risorse.
Qual è lo specifico dello specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa?
Nel “Libro Bianco della Medicina Fisica e Riabilitativa in Europa” 11 la MFR è definita “una disciplina medica indipendente volta a promuovere la funzione fisica e cognitiva, l’attività (incluso il comportamento) e la partecipazione (inclusa la qualità di vita) e modificare fattori personali e ambientali. È quindi responsabile della prevenzione, diagnosi, trattamento e gestione della riabilitazione di persone con condizioni mediche disabilitanti e comorbilità di qualsiasi origine ed età.” Lo specialista in MFR “utilizza un approccio olistico alle persone con disabilità acute e croniche, come per esempio disordini muscolo-scheletrici e neurologici, amputazioni, disfunzioni degli organi pelvici, problematiche cardiorespiratorie, dolore cronico e cancro.”
La MFR è l’unica specialità medica che adotta la riabilitazione come strategia centrale e sistematica di cura nella popolazione, nei vari setting e situazioni, dalla fase acuta a quella post-acuta e cronica.
La MFR è quindi l’unica specialità medica che adotta la riabilitazione come strategia centrale e sistematica di cura nella popolazione, nei vari setting e situazioni, dalla fase acuta a quella post-acuta e cronica. Essa è focalizzata sulla valutazione del funzionamento e delle sue limitazioni, così come definito dall’ICF. La MFR non è quindi identificata da una malattia o da un sistema d’organo 12. Al contrario, se intendiamo la riabilitazione come un intervento terapeutico non farmacologico su una specifica menomazione funzionale, praticamente ogni branca della Medicina clinica specialistica ha, o può avere, un correlato di tipo riabilitativo. E da qui infatti nasce la terminologia di “Pneumologia Riabilitativa”, “Cardiologia Riabilitativa”, ecc. ma non è la vision della MFR.
Sono necessarie risposte diverse ed innovative
Oggi, per affrontare le criticità legate all’implementazione della riabilitazione respiratoria, è necessario un approccio diverso che tenga in conto tutti i fattori ed i determinanti di malattia. Da quelli biologici a quelli funzionali, da quelli personali a quelli ambientali: tutti concorrono alla genesi dello stato di salute per le persone in CCD, anche per la disabilità respiratoria.
La letteratura indica come più appropriato un approccio orientato alla persona (person centered) che tenga conto della complessità individuale (modello bio-psico-sociale).
La letteratura, di fronte alle persone con disabilità e cronicità, indica come più appropriato un approccio orientato alla persona (person centered) 13 14 che tenga conto della complessità individuale (modello bio-psico-sociale). Facendo riferimento a questo modello innovativo, più appropriato alle condizioni di polipatologie disabilitanti presenti nella cronicità, e definibile comprehensive, è possibile ritarare la modalità di valutazione clinica, la risposta terapeutica e l’organizzazione dei servizi.
I principi, i modelli organizzativi e le modalità operative proprie della MFR sono del tutto coerenti rispetto a tali recenti prospettive e in molti casi ne hanno rappresentato un’anticipazione. In tale ambito gli strumenti in grado di dare risposta alla cronicità-complessità-disabilità sono: 1) il Progetto Riabilitativo Individuale (PRI) ed il lavoro in team riabilitativo; 2) l’uso di indicatori clinici standardizzati per la valutazione multidimensionale; 3) i modelli organizzativi in rete di tipo dipartimentale dei servizi riabilitativi.
Il PRI, secondo il Piano di Indirizzo per la Riabilitazione 9, è lo strumento della “presa in carico dell’utente” attraverso il quale “il medico specialista in riabilitazione” definisce insieme al team “le aree di intervento specifico, gli obiettivi, i professionisti coinvolti, i setting, le metodologie e le metodiche riabilitative, i tempi di realizzazione e la verifica degli interventi che costituiscono i Programmi Riabilitativi”. Il PRI è uno strumento flessibile e dinamico che si adatta nel tempo alle necessità della persona ed è necessario per svolgere l’attività riabilitativa.
Riguardo agli indicatori clinici, gli strumenti utilizzati in Medicina Riabilitativa fanno riferimento alla classificazione dell’ICF. Essi misurano i singoli aspetti del funzionamento e permettono la valutazione della complessità del caso, sono centrati sulla persona e possono per questo governare meglio gli obiettivi degli interventi 15. Essi, inoltre, possono essere utilizzati anche nella programmazione sanitaria come indicatori di esito e di processo, superando i classici outcome di mortalità, morbilità, rientro in ospedale, ecc. e come strumento per tarare i percorsi riabilitativi ed assistenziali (non più solo sulla patologia). Infine possono essere uno strumento per classificare le diverse strutture e setting che accolgono persone con disabilità, per attribuire loro le giuste necessarie risorse economiche in base al diverso case mix di ciascuna.
Il Dipartimento di Riabilitazione rappresenta il modello organizzativo in grado di garantire la qualità clinica ed organizzativa dell’intero percorso e l’integrazione delle diverse tipologie di setting ospedaliero, territoriale, sanitario e sociale.
La complessità vista con gli occhi del Fisiatra
Il paziente con disabilità secondaria a malattie respiratorie oggi si presenta sempre di più come una persona anziana e complessa. Tale complessità è riconducibile fondamentalmente a tre livelli: il primo livello è biologico, legato all’interazione di diversi processi biochimici, multipli elementi fisiopatologici e trattamenti farmacologici; il secondo livello è clinico, caratterizzato da più malattie che si sommano e intrecciano le proprie dinamiche; il terzo livello, che potremmo definire psico-sociale, è generato dal vissuto personale del paziente, dalle aspettative sue e della sua famiglia (che non sempre coincidono con quelle del medico specialista o della struttura a cui appartiene) e dal suo ambiente di vita fisico e socio-culturale. I tre piani della complessità si influenzano in modo reciproco e si modificano nel tempo, producendo quadri difficili da interpretare ed esiti non facilmente prevedibili se letti con gli strumenti della medicina biologica tradizionale, cioè puramente etiologica 16. Un paziente respiratorio anziano e complesso (per esempio un broncopneumopatico cronico disfagico per gli esiti recenti di un ictus posteriore) può non accedere al setting della “pneumologia riabilitativa” perché classificato come “non riabilitabile” cioè non riallenabile allo sforzo dallo Pneumologo. Al contrario, può essere accolto nei reparti di Recupero e Rieducazione Funzionale dove potrà essere più semplicemente “riadattato” allo sforzo e rieducato nella deglutizione.
Occorrono strumenti di analisi e di intervento nuovi per misurare e valutare la complessità nella sua interezza e per porre in essere interventi più efficaci e centrati sulle persone più che sui professionisti.
Occorrono allora strumenti di analisi e di intervento nuovi per misurare e valutare la complessità nella sua interezza e soprattutto per porre in essere interventi più efficaci e centrati sulle persone più che sui professionisti.
Se accettiamo questi ragionamenti, la cosa più importante per un paziente con disabilità complessa secondaria a una malattia respiratoria e il diritto che gli deve essere garantito è essere correttamente inquadrato nel proprio profilo di funzionamento ed essere indirizzato verso il percorso riabilitativo o il setting più adeguato nel territorio in cui risiede.
Lo specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa ha la competenza di “fotografare” il profilo di funzionamento di ogni paziente e definirne il percorso riabilitativo fin dalla fase acuta ospedaliera.
Lo specialista in MFR, per sua specifica formazione, ha questa competenza: sa “fotografare” il profilo di funzionamento di ogni paziente e definirne conseguentemente il percorso riabilitativo fin dalla fase acuta ospedaliera. I singoli setting riabilitativi potranno essere poi gestiti anche da altri specialisti non fisiatri, ma dovranno comunque operare con la metodologia della MFR ed essere inseriti all’interno della logica organizzativa del Dipartimento di riabilitazione.
Un sistema a rete integrata Hub e Spoke per la riabilitazione della persona con patologie respiratorie
Nelle regioni italiane esiste, seppure in modo disomogeneo, una consolidata organizzazione dei servizi di riabilitazione sia ospedalieri che territoriali, afferenti alle strutture di MFR, dedicati prevalentemente a disabilità dovute a problematiche muscolo-scheletriche e neurologiche ed a gestione fisiatrica. Questi non sempre sono organizzati in dipartimenti di riabilitazione veri e propri, ma sono sufficientemente numerosi e radicati nelle Aziende sanitarie e sufficientemente conosciuti dai cittadini.
Al contrario, i servizi di riabilitazione dedicati alle disabilità croniche dovute a patologie respiratorie, ospedalieri e territoriali, gestiti quasi sempre dagli specialisti Pneumologi, sono molto meno diffusi, non sempre collegati con i reparti per acuti e quasi mai con i servizi di riabilitazione dedicati alle disabilità “motorie”.
Sarebbe auspicabile una forma di collaborazione tra le due reti (e tra Pneumologi e Fisiatri) dove venga finalmente data la possibilità al gran numero di pazienti “respiratori” candidati alla riabilitazione di utilizzare la rete esistente dei servizi riabilitativi (a gestione fisiatrica), secondo un modello Hub e Spoke. Già nel Quaderno n. 8 del Ministero della Salute del 2011 17 si fa riferimento a centri Hub di riabilitazione respiratoria di alta specializzazione destinati alle “gravi patologie respiratorie”, configurati come setting intraospedalieri destinati alla gestione delle emergenze in fase di stabilizzazione, dopo insufficienza respiratoria acuta, o in fase pre e postoperatoria di chirurgia delle vie respiratorie o per particolari interventi diagnostici 17. Si potrebbe pensare di affiancare a questi centri Hub un sistema di centri Spoke per la gestione dei programmi “di routine” destinati agli outpatients, collocabili funzionalmente negli attuali servizi di riabilitazione territoriale “motoria”. Nei territori dove questi centri Hub ad alta specializzazione non fossero presenti, la loro funzione potrebbe essere svolta dai servizi di Pneumologia/UTIR collocati negli ospedali per acuti tramite un’interazione tra Pneumologo e Fisiatra dell’ospedale per tracciare il percorso riabilitativo. Ciò permetterebbe anche di iniziare una forma di collaborazione ed uno scambio di conoscenze e competenze tra i due team con sicuro vantaggio per gli utenti.
Riferimenti bibliografici
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- World Health Organization. International Classification of functioning, disability and health. 2011.
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- Quaderni del Ministero della Salute. La centralità della persona in riabilitazione: nuovi modelli organizzativi e gestionali. 2011.
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