Nanotubi di carbonio: una nuova rivoluzione industriale con implicazioni per la salute respiratoria?
Abstract
In anni recenti scienza e tecnologia hanno rivolto l’attenzione a materiali aventi dimensioni sempre più piccole, aprendo la strada alla ricerca sui nanomateriali ed allo sviluppo delle nanotecnologie. In questo lavoro si accenna dapprima alla nomenclatura relativa ai nanomateriali per fornire poi un quadro delle varie tipologie di nanoggetti e delle motivazioni che giustificano la rilevante attività di ricerca nel campo. Si passa poi ad analizzare le nanoparticelle a base di carbonio, con particolare attenzione ai nanotubi di carbonio (Carbon NanoTube, CNT) ed alle nanofibre di carbonio (Carbon NanoFiber, CNF) che rispondono strutturalmente ai requisiti di “fibra” secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): lunghezza > 5 μm, larghezza < 3 μm, e rapporto lunghezza/larghezza > 3. Una fibra può avere rilevanza in termini patogenetici quando la sua struttura consente di essere inalata e trasportata all’interno del sistema respiratorio. Le fibre sufficientemente lunghe e biopersistenti si depositano nei polmoni e possono causare stress ossidativo ed infiammazione. Studi sperimentali, sia in vivo che in vitro, hanno documentato la potenziale tossicità delle fibre CNT e CNF a livello polmonare, con lesioni che vanno da alterazioni genetiche alla comparsa di reazioni allergiche, remodelling bronchiale, formazione di noduli fibroblastici, carcinogenicità. È pertanto imperativa una gestione dei rischi approfondita che copra tutti gli aspetti di salute, sicurezza e ambiente (Health Security Environment, HSE), a partire dall’esposizione negli impianti di nanofabbricazione sino ai consumatori.
Introduzione
Negli ultimi decenni la scienza e la tecnologia hanno sviluppato materiali solidi aventi taglie sempre minori. Dalla scala macrometrica (solidi aventi dimensioni superiori ad 1 mm) si è dapprima passati a quella micrometrica (particelle di solido aventi dimensioni superiori al micrometro ed inferiori al millimetro) per giungere infine a quella nanometrica (particelle di solido aventi dimensioni molto inferiori al micrometro, vedi oltre per la definizione rigorosa). Obiettivo di tale processo di miniaturizzazione è quello di sfruttare in modo ottimale le potenzialità dei materiali 1. Ad esempio, utilizzando nanoparticelle invece di particelle macroscopiche è possibile (a parità di massa) aumentare l’intensità di tutti i fenomeni legati all’interazione della superficie della particella con il mondo esterno, quali ad esempio l’adsorbimento di metalli pesanti presenti nelle acque per uso civile, l’efficienza e la rapidità dei processi di catalisi ed anche le interazioni con fluidi biologici. Se focalizziamo l’attenzione su questa amplificazione dell’intensità dei fenomeni ci rendiamo conto di come vi sia un importante riflesso anche sul versante biocompatibilità 2. Poiché l’interazione di particelle inalate o ingerite è essenzialmente un fenomeno di interazione superficiale non possiamo assumere che un solido biocompatibile in forma macroscopica lo sia anche in forma di nanoparticella, ma occorrerà procedere con appropriati test in vitro ed in vivo 3. Occorre peraltro rilevare come questa consapevolezza non sia nata contestualmente alla scoperta delle nanoparticelle ingegnerizzate 4, ma sia stata recepita in anni più recenti da ISO, che ha emanato una normativa ad hoc sull’argomento 5. Se inizialmente l’interesse per le nanoparticelle era principalmente legato allo sviluppo dei processi di produzione ed all’approfondimento delle loro proprietà chimico-fisiche, esse hanno rapidamente assunto una grande rilevanza anche a livello tecnologico ed applicativo, essendosi dimostrate in grado di migliorare la qualità di molti prodotti industriali: cosmetici, creme solari 6, trattamenti antibatterici, rivestimenti autopulenti per superfici 7. Ciò ha reso necessaria l’emanazione di una normativa a livello internazionale da parte di ISO 8. In base a tale normativa si definisce nanoggetto una particella che abbia almeno una delle sue 3 dimensioni inferiore a 100 nanometri (nm) (Figura 1). Se il nanoggetto ha tutte le dimensioni inferiori a 100 nm viene definito nanoparticella (Figura 2). Tale termine dunque non indica una specifica tipologia di materiale od una sostanza in particolare, bensì una particella di un qualsiasi solido avente dimensioni nanometriche. Ne consegue che esisteranno nanoggetti molto diversi fra loro per forma, dimensione, composizione e proprietà 9. Ad esempio le nanoparticelle di argento (metalliche) hanno spiccate proprietà antibatteriche 10, mentre quelle di ossido di titanio (isolanti) hanno proprietà fotocatalitiche (in presenza di radiazione ultravioletta sono in grado di catalizzare la dissociazione di molecole) 11.
Fra gli elementi con i quali si producono nanoparticelle e nanoggetti assume un ruolo preminente il carbonio, per la diffusione a livello industriale e per le prospettive di applicazione.
Fra gli elementi con i quali si producono nanoparticelle e nanoggetti di particolare interesse scientifico ed industriale assume un ruolo preminente il carbonio, sia per la diffusione a livello industriale delle sue particelle sia per le prospettive di applicazione che si aprono per suoi specifici nanoggetti quali i nanotubi ed il grafene 12. In relazione alla diffusione ricordiamo che gli pneumatici sono prodotti con una miscela di elastomero e carbon black (nerofumo, materiale composto da nanoparticelle carboniose agglomerate). Per quanto riguarda i nanoggetti, il grafene, foglio di spessore atomico a struttura di nido d’ape (Figura 3) 13 è un nanoggetto di estremo interesse al punto che l’Unione Europea ha finanziato il ‘Progetto Grafene’ che coinvolge più di 200 gruppi di ricerca accademici ed industriali in tutta l’Unione Europea volto ad esplorare le proprietà e le possibili applicazioni del grafene 14. Allo stato attuale, peraltro, non esistono prodotti commercializzati o prossimi alla commercializzazione contenenti grafene per cui le implicazioni per la salute sono limitate agli operatori dedicati alla sua produzione e manipolazione in centri di ricerca. I nanotubi di carbonio (Carbon NanoTube o CNT, piani di grafene arrotolati a forma di cilindro) sono invece utilizzati a livello industriale 15 per cui ha particolare interesse soffermarsi sia sulla loro struttura che sulla loro tossicità. Per molte applicazioni, al fine di migliorare le caratteristiche dei nanotubi, si procede ad una alterazione chimica della loro superficie tramite un processo di funzionalizzazione 15 che consiste nel decorare la superficie dei nanotubi con gruppi chimici (es. ossidrilici, carbossilici) che ne favoriscano l’interazione con l’esterno.
Nanotubi di carbonio e nanofibre di carbonio
Il carbonio è l’elemento che forma il maggior numero di allotropi, sia su scala macroscopica (es. diamante, grafite, lonsdaleite) che a livello di nanoggetti (es. fullerene, grafene, nanotubi, nanofibre); ciascun allotropo è dotato di proprietà e caratteristiche specifiche (es. durezza e trasparenza il diamante, bassa resistenza elettrica ed elevato assorbimento di luce la grafite) 16. Per quanto attiene agli allotropi nanostrutturati, focalizziamo l’attenzione sui CNT e nanofibre di carbonio (Carbon NanoFiber, CNF). Esteriormente CNT e CNF possono apparire simili, avendo entrambi forma cilindrica molto allungata (il rapporto fra lunghezza e diametro può essere superiore al migliaio). Infatti, a fronte di diametri dell’ordine di qualche decina di nanometri, si possono raggiungere lunghezze anche superiori al centimetro 17. Peraltro i processi di produzione e la struttura interna di CNT e CNF differiscono marcatamente. Mentre le CNF sono prodotte come fibre di carbonio di diametro micrometrico (filatura di specifici polimeri, seguita da trattamento termico in atmosfera inerte a temperatura superiore a 800 °C) 18, i CNT sono prodotti a partire da precursori gassosi (metano, etilene, ecc.) in presenza di un catalizzatore, a temperatura inferiore (si può scendere fino a 150-200 °C) 19. Dal punto di vista strutturale i CNT esistono in due forme: i SWCNT (Single Wall CNT o a parete singola, in cui è presente un solo cilindro di diametro variabile da 0,5 a 1,5 nm) ed i MWCNT (Multi Wall CNT o a parete multipla, in cui sono presenti cilindri concentrici, in numero variabile da 2 a qualche decina, con diametri che possono arrivare fino a 70-80 nm) (Figura 4) 20. Mentre i SWCNT tendono ad agglomerarsi formando matasse di dimensioni micrometriche, i MWCNT possono anche rimanere isolati. In tal caso, almeno i MWCNT di lunghezza micrometrica finiscono per ricadere nella definizione di fibre data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) 21. In tale definizione ricadono anche le CNF, che non hanno generalmente tendenza ad agglomerarsi, ma hanno dimensioni esterne simili ai MWCNT. Sarebbe però fuorviante ritenere che la struttura interna dei due allotropi sia simile. Per chiarirne la diversità ricordiamo che la grafite è composta da piani di grafene impilati. I MWCNT sono formati da fogli di grafene arrotolati e concentrici, mentre le CNF sono costituite da lamelle di grafene impilate più o meno ordinatamente e sagomate a forma di cilindro. Ciò porta i due allotropi a possedere diverse proprietà chimiche e di assorbimento di molecole. In conseguenza di tali diversità strutturali, se si prende in esame la biocompatibilità di CNT e CNF non è possibile estrapolare i risultati ottenuti per una tipologia all’altra, ma vi è necessità di test dedicati.
Fibra e patogenicità
L’analisi mineralogica condotta in alcuni pazienti esposti all’inalazione di detriti del World Trade Center (WTC) ed affetti da interstiziopatia polmonare o interessamento delle piccole vie ha evidenziato anche la presenza di CNT (in concentrazioni che vanno da 11.000 a 230.000 nanotubi/g di peso umido in quattro dei sette campioni di polvere raccolti dal sito del WTC), oltre ad altri minerali, suggerendo che l’esposizione possa aver contribuito allo sviluppo della malattia polmonare.
L’analisi mineralogica in pazienti esposti ai detriti del World Trade Center ed affetti da interstiziopatia ha evidenziato la presenza di CNT, suggerendone un possibile contributo allo sviluppo della malattia polmonare.
Inoltre tracce di CNT sono state identificate in campioni di controllo dalla tri-state area (New York, New Jersey, Connecticut) a concentrazioni minime (dati non pubblicati) 22. Queste potrebbero provenire dai motori a combustione delle automobili 23. Il paradigma “fibra e patogenicità” è stato sviluppato negli anni 1970-80 e si basa sulla relazione tra struttura della fibra e sua tossicità; la struttura consente la previsione della patogenicità delle fibre in relazione a lunghezza, spessore e biopersistenza 24.
Una fibra può avere rilevanza per la salute quando la sua struttura le consente di essere inalata e trasportata all’interno del sistema respiratorio.
Una fibra può avere rilevanza per la salute quando la sua struttura le consente di essere inalata e trasportata all’interno del sistema respiratorio. Al fine di valutarne la rilevanza per l’esposizione, l’OMS ha formulato la seguente definizione di “fibra”: una fibra è > 5 μm di lunghezza, < 3 μm di larghezza e con un rapporto lunghezza/larghezza > 3 21. Le fibre sufficientemente lunghe e biopersistenti si depositano nei polmoni e possono causare stress ossidativo ed infiammazione 24. I CNT sono classificati come nanomateriali, ma in base ad alcuni paramentri morfologici i CNT e i CNF si comportano come fibre, con elevata penetrazione e reattività, nonché patogenicità, simili alle fibre di amianto ed altre fibre 25.
Meccanismi patogenetici
In modelli animali i CNT inducono alterazioni patologiche sia a livello delle alte che delle basse vie respiratorie 26. I primi studi in vivo relativi alla tossicità sono stati condotti sugli SWCNT, ma l’attenzione dei ricercatori si è rivolta in pochi anni anche agli MWCNT perché commercialmente di maggior impatto 25. Gli studi sono stati condotti sui meccanismi molecolari e cellulari indotti dagli SWCNT grezzi sulle cellule epiteliali bronchiali umane (BEAS-2B); l’asbesto (crocidolite) era utilizzato come controllo positivo.
Si è visto che la bioattività degli SWCNT grezzi è associata a stress ossidativo e danno a carico del DNA cellulare, dimostrando pertanto che gli SWCNT grezzi attivano meccanismi molecolari che portano ai vari meccanismi patogenetici implicati nella malattie polmonari 27. Altri studi hanno evidenziato risposte citotossiche e danni al DNA nelle BEAS-2B da parte degli MWCNT purificati così come da parte delle CNF, molto simili nella struttura, si registrano risposte biologiche analoghe agli MWCNT 26.
Nel contesto delle dimensioni nano (1-100 nm) i nanomateriali ingegnerizzati (Engineered Nano Materials, ENM) possono essere sintetizzati in diverse forme, con diverse funzionalizzazioni di superficie che possono influenzare la tossicità da loro indotta 28. Molti CNT possono trattenere impurità o residui dei processi di fabbricazione 29. In analogia con le fibre di asbesto, la tossicità dei CNT è stata attibuita alla biopersistenza tissutale, nonché alla loro lunghezza e rigidità, anche se è stato evidenziato più recentemente che MWCNT differenti per spessore e lunghezza inducono una analoga risposta infiammatoria a livello di polmone 29. Studi di tossicogenomica hanno valutato le risposte tossiche a livello di genoma indotte dagli ENM in modo da definire specifiche proprietà cui attribuire il conseguente danno a livello di profilo d’espressione del genoma o trascrittoma (gene-expression profiling).
Tra le alterazioni indotte dai CNT è stato dimostrato che varietà differenti di CNT inducono quadri di fibrosi polmonare.
Tra le alterazioni indotte dai CNT è stato dimostrato che varietà differenti di CNT inducono quadri di fibrosi polmonare: sono stati analizzati al 1°, al 28° e al 92° giorno gli effetti indotti dall’instillazione intratracheale di quattro dosi (0, 6, 18, 54 mg/topo) di 10 tipi di MWCNT commerciali suddivisi in tre gruppi diversi per morfologia (sottili, spessi, corti) e funzionalizzazione superficiale (idrossilica, carbossilica, amminica, quelle di uso più comune nella tecnologia applicativa) in polmoni di ratti femmine C57BL/6J. Il danno infiammatorio a livello parenchimale è stato valutato in termini di conteggio cellulare e dosaggio proteine nel liquido di lavaggio broncoalveolare (Bronchoalveolar lavage, BAL) negli intervalli di tempo definiti, iniseme ad analisi istopatologica del tessuto parenchimale polmonare. Il BAL al 1°, 28° e al 92° giorno evidenziava una lieve infiammazione indotta già al 1° giorno, caratterizzata da aumento dei neutrofili e delle proteine (tempo e dose dipendente). Le sezioni istologiche dimostravano una preferenziale distribuzione degli MWCNT nelle aree centrolobulari, in parte liberi negli alveoli oppure come depositi più o meno scuri nei macrofagi alveolari o in granulomi da corpo estraneo. Venivano descritti aggregati linfocitari, principalmente perivascolari o peribronchiolari, con uno score leggermente più alto al 92° giorno dall’esposizione e quindi dose-dipendente; in particolare la progressione dello score linfocitario era osservata dal 28° giorno al 92° giorno per tutte le esposizioni a MWCNT, tranne che per 3 tipologie (MWCNT sottili non trattati e con funzionalizzazione carbossilica e MWCNT spessi con funzionalizzazione carbossilica) in cui si osservava una regressione dello score. Ulteriori alterazioni istopatologiche descritte erano rappresentate da ispessimento dei setti interalveolari e segni di alveolite focale 29. Non si evidenziavano nette differenze cito/istopatologiche indotte dai diversi gruppi di MWCNT, mentre si evidenziavano diversità in relazione alla dose di esposizione ed al tempo. L’identificazione di danni al DNA è stata valutata attraverso il test di mutagenesi “comet assay” o “test della cometa”. Nella genesi dell’infiammazione e della genotossicità indotta da CNT riveste comunque un ruolo predittivo l’area specifica superficiale (superficie per unità di massa) il cui valore viene misurato tramite la tecnica BET (Brunauer–Emmett–Teller) ed è influenzato da lunghezza, diametro e trattamento superficiale dei nanotubi. Studi sui roditori hanno infine consolidato l’ipotesi che alcune tipologie di CNT siano potenti trigger per la fibrogenesi, con fibrosi conseguente a livello interstiziale, bronchiale e pleurica e caratterizzata da eccessiva deposizione di fibre collagene.
I CNT possono indurre fibrosi interstiziale attraverso un’acuta risposta infiammatoria con neutrofili, macrofagi e linfociti, oltre ad elevata produzione di citochine proinfiammatorie e profibrotiche, chemokine, fattori di crescita.
I CNT possono indurre fibrosi interstiziale attraverso un’acuta risposta infiammatoria con neutrofili, macrofagi e linfociti, oltre ad elevata produzione di citochine proinfiammatorie e profibrotiche, chemokine, fattori di crescita (TBF-α, IL-1β, IL-6, MCP-1, TGF-β1 e PDGF-A subunità A). La risposta infiammatoria raggiunge la massima espressione a 7 giorni dall’esposizione e induce una reazione fibrosante testimoniata dalla deposizione di fibre collagene nei setti interalveolari già al primo giorno dall’esposizione. Nella fase di fibrosi cronica si ha una reazione infiammatoria di media entità, foci fibrotici e granulomi epitelioidi. Miofibroblasti e fibroblasti giocano un ruolo funzionale distinto nello sviluppo della fibrosi; in particolare nuova enfasi è stata posta sul ruolo dei miofibroblasti e sul coinvolgimento del TGF-β1 nella fibrosi indotta dalla esposizione a CNT 30. Come l’inalazione di fibre più conosciute, quale l’asbesto, storicamente dannose per il polmone sia per la loro struttura che per la biopersistenza nei tessuti, porta ad una serie di lesioni istologiche che vanno dal granuloma, alla fibrosi dei setti interalveolari, all’iperplasia epiteliale, al carcinoma, così l’inalazione di CNT comporta analoghe lesioni a livello polmonare, ma la conoscenza della loro tossicità e relativi meccanismi è ancora da approfondire 31.
L’inalazione di CNT comporta lesioni a livello polmonare analoghe a quelle osservate con le fibre più note, ma la conoscenza della loro tossicità e relativi meccanismi è ancora da approfondire.
Pur essendo necessari ulteriori studi, sono stati evidenziati i seguenti meccanismi patogenetici indotti dagli CNT 26: reazioni allergiche: l’inalazione short-term di due tipi di MWCNT (rod-like rigid e flexible tangled) ha evidenziato come soltanto il tipo rigido induca infiammazione a carico delle vie aeree di tipo allergico con infiltrazione eosinofilica, ipersecrezione di muco e citochine Th2. In particolare i CNT e non le CNF promuovono l’infiltrazione eosinofilica 32; remodelling bronchiale, attraverso citochine TNF-1, IL-1, MCP-1, IL-3 e reclutamento di cellule infiammatorie; alterazioni genetiche: i SWCNT comportano alterazioni della mitosi in culture cellulari 33; noduli fibroblastici: la formazione di noduli fibroblastici è stata evidenziata in colture di fibroblasti umani polmonari trattati con SWCNT o MWCNT, suggerendo la potenziale fibrogenicità degli CNT 34; carcinogenicità, anche verso mesotelioma 35.
Conclusioni
I CNT e le CNF sono sempre più utilizzati in molte applicazioni industriali, in particolare, come nanocompositi polimerici per fornire resistenza, rigidità, resistenza al calore e durata. L’esposizione a nanomateriali ingegnerizzati può verificarsi durante il processo di produzione oppure nel successivo utilizzo da parte dei consumatori 36.
Non vi sono studi epidemiologici disponibili, ma gli studi sperimentali sia in vivo che in vitro hanno evidenziato potenziali modelli di tossicità che richiedono una gestione dei rischi approfondita che copra tutti gli aspetti di HSE, a partire dall’esposizione negli impianti di nanofabbricazione, possibili potenziali luoghi di rischio per la salute, al fine di evitare effetti come quelli osservati a seguito di esposizione all’amianto.
Gli studi sperimentali sia in vivo che in vitro hanno evidenziato potenziali modelli di tossicità che richiedono una gestione dei rischi approfondita che copra tutti gli aspetti di HSE.
Figure e tabelle
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