Medical Humanities e Pneumologia
Pubblicato: 2019-12-01

Le idee di salute e di malattia - Quinta parte

Abstract

Le idee di salute e di malattia appaiono immediate e semplici e non viene di solito condotta una riflessione sulla loro formazione. Si tratta invece di due condizioni della vita che non sono rigidamente separate. Non è possibile dividere in modo sicuro uno stato di salute da uno di malattia in quanto questi momenti non possiedono una semplice caratteristica biologica, ma sono anche il frutto di valutazioni di tipo culturale, piuttosto che medico. Accettare la complessità che precede e sostiene lo stato di malattia, oppure quello di salute, significa anche accettare la propria condizione umana e la propria fragilità, smettendo di inseguire a tutti costi stereotipi di apparenza e di benessere che possono generare un sentimento di inadeguatezza legato a logiche di consumo e non di cura.

Articolo

La distinzione tra salute e malattia appare sottilissima e di tipo soggettivo, risente di influenze che non sono descrivibili unicamente attraverso un modello logico e legato alla medicina sperimentale, quanto piuttosto secondo un punto di vista antropologico e culturale. Non bisogna dimenticare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) ha definito nel 1948 la salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non soltanto come un’assenza di malattia, ma non ha definito in termini precisi la natura della malattia. Risulta complesso descrivere come una persona stia bene, in uno stato di benessere certo, ammesso che questo esista, perché ogni uomo deve trovare o crearsi un proprio equilibrio tra vari e diversi stadi esistenziali. Deve stare bene con il proprio organismo e con sé stesso, interagendo con il corpo, con le sue funzioni e con l’ambiente che lo circonda. Deve riuscire ad accettare come una condizione positiva quanto sta vivendo, ignorando il fatto che ciò che avverte come utile e benefico possa invece risultare dannoso o poco gradito in un contesto sociale differente, oppure a riguardo di un altro individuo che disponga di diverse condizioni economiche. Tra il XIX e il XX Secolo è prevalsa nella medicina una concezione secondo la quale l’individuo si caratterizzava come paziente attraverso la parte del corpo affetta dalla patologia che era oggetto dell’indagine. Una visione legata alla frammentazione biologica della persona, che diventava un insieme di organi di cui occuparsi singolarmente. Veniva affermata una vera e propria negazione tecnica e culturale dell’individuo malato. La tradizione popolare, almeno in modo istintivo, continuò invece a ritenere sano chi non avesse dolori, febbre o altri disagi tali da impedirgli di svolgere le proprie funzioni, cioè dei sintomi intesi in modo complessivo e slegati dalla specifica patologia d’organo o d’apparato. Spesso queste funzioni compromesse dipendevano, secondo la valutazione popolare, dall’età e dai ruoli sociali ricoperti. In ogni caso la salute e la malattia sembravano definirsi in maniera reciproca, necessitando della comprensione e della condivisione di entrambi i termini per poterne certificare la loro opposizione ed esistenza. In modo generico, la salute viene considerata come assenza di malattia e viceversa la malattia come assenza di salute. Si potrebbe ritenere che salute e malattia, in questo universo duale, formino una dicotomia, una coppia di opposti incapaci di esistenza autonoma. Le persone sono abituate a pensare in termini di paragone, ragionando su di un concetto e confrontandolo con l’opposto. Viene da supporre che l’una non possa esistere senza l’altra e che siamo quindi assuefatti ad accettare che la malattia sia il rovescio della medaglia della salute. Questo modo di pensare è tipico del comune sentire che riteniamo come scientifico e insieme a questo anche della logica classica, che utilizziamo spesso inconsapevolmente nei rapporti umani, una logica di tipo aristotelico. Un’eredità importante della filosofia aristotelica fu la distinzione tra induzione e deduzione: l’induzione era una concatenazione di proposizioni che andava da molte asserzioni particolari a una proposizione universale. Il metodo induttivo partiva dai singoli fatti per approdare a delle ipotesi e delle teorie generali. La deduzione era invece un procedimento del pensiero mediante il quale da una verità generale se ne poteva ricavare una particolare in essa implicita. Un altro merito logico di Aristotele fu di aver codificato e reso importante il ragionamento sillogistico. Questo è dato da una forma di concatenazione logica basata su di un complesso di tre proposizioni collegate tra loro, in modo che dalle due prime, dette premesse, se ne possa ricavare una terza, detta conseguenza. Oggi sappiamo come da un punto di vista logico la realtà non sia rappresentabile unicamente attraverso gli strumenti del ragionamento aristotelico. Induzione e deduzione non bastano a spiegare il mondo e nemmeno a comprendere l’originalità dell’esperienza umana. Nel suo processo conoscitivo la scienza moderna vive e si alimenta del fatto di poter distinguere in modo netto ciò che sia ritenuto vero da ciò che venga considerato falso. Le modalità di conoscenza che non riescono ad adattarsi a queste due categorie, basate sull’applicazione del metodo sperimentale e sull’uso della statistica, vengono ricacciate nel limbo delle acquisizioni non scientifiche, delle curiosità e della metafisica 1 2. Quando ci troviamo di fronte alla necessità di descrivere uno stato di malattia ci rendiamo conto di come non sia così semplice e immediato essere sicuri di avere a che fare con una condizione patologica. Per alcune malattie di più difficile definizione è stata studiata la possibilità di dover adoperare una serie di elementi oggettivi legati tra di loro. Si utilizzano a tal fine dei criteri di maggiore o minore rilevanza e in base alla presenza di un numero definito di essi un paziente potrà essere ricompreso nel gruppo di coloro che risultano affetti da quella determinata patologia.

Si tratta comunque di tentativi un po’ approssimativi di ingabbiare la realtà entro le modalità del nostro pensiero. Siamo capaci di comprendere solo quello che siamo in grado di immaginare e vediamo solo le cose che sappiamo o ci aspettiamo di osservare. Ciò che vive in noi, che si agita nei nostri pensieri, siamo a volte in condizione di afferrarlo, mentre a volte verità importanti che si evidenziano sotto i nostri occhi neppure ci colpiscono più di tanto. Per sfuggire a questo sentimento di indeterminatezza che ci afferra appena abbandoniamo lo stretto sentiero della metodologia scientifico-sperimentale, abbiamo pensato di affidare alle macchine la prova certa di essere ricompresi in una o in un’altra categoria di esseri umani secondo un criterio di normalità. La misurazione accurata di determinati parametri ci indicherà chi risulterà essere sano e chi non potrà essere definito come tale, oppure in che punto della propria parabola biologica ed esistenziale il nostro organismo debba collocarsi. Prendiamo il caso di due affermazioni apparentemente semplici e scontate, con cui ci siamo sicuramente imbattuti, frasi del tipo:

  1. “…il paziente della stanza n. … è ammalato gravemente…”
  2. “…oggi è piovuto molto…”

La verità o falsità di queste due affermazioni potrà variare a seconda del contesto in cui saranno state elaborate o delle persone che le avranno pronunciate. Appare diverso il grado di attendibilità intorno alla nozione di malattia se la prima frase è stata proferita da un medico o da un sanitario di riconosciuta professionalità rispetto al fatto che sia stata espressa da una persona qualunque, in visita casualmente in quel nosocomio. Allo stesso modo la frase sulla pioggia, le precipitazioni o le condizioni climatiche in genere, riveste una diversa autorevolezza se utilizzata da un passante nei confronti del portiere di un palazzo che sta conversando con lui, piuttosto che da un meteorologo professionista che stia osservando gli ultimi rilievi del satellite sullo schermo del computer. La natura delle verità contenute nei fatti risulta molto più complessa e meno definibile di quanto si possa supporre da una considerazione superficiale. Cominciamo ad affermare che una persona potrà essere ritenuta ammalata, tuttavia bisognerà definire in che modo lo sia e quale sia stata la causa e la natura della patologia che la sta affliggendo. Potremo pertanto definire un paziente come ammalato, ma dovremo aggiungere in seguito: malato di cosa? E da quando? E perché? Anche il risultato di un esame strumentale potrà rivelarsi molto più ambiguo di quanto ci si potrebbe aspettare. Potrà mostrare l’immagine di un processo naturale di non sicura interpretazione, quanto piuttosto un qualcosa che si presta a diverse possibilità di essere valutato. Una volta definita la necessità di un esame strumentale si potrà passare a indagare con più efficacia un’alterazione evidente attraverso una biopsia o l’esame diretto del corpo del paziente utilizzando una modalità più invasiva, per arrivare sempre più vicini alla certezza diagnostica 3. Il matematico di origine armena Lofty A. Zadeh ha osservato come alcuni elementi chiave del pensiero umano non fossero semplicemente esprimibili in modo numerico, attraverso una scelta tra due soli elementi di giudizio. Non era sufficiente utilizzare un codice di tipo binario positivo o negativo, ma era necessario attribuire a certi processi logici delle etichette razionali, che interpretavano degli insiemi di tipo fuzzy, una parola che in italiano si potrebbe tradurre come sfuocato, oppure nebbioso. Il procedimento scientifico sperimentale è abituato a circoscrivere la realtà osservata con delle definizioni di tipo binario attraverso cui le cose sono o non sono, una formulazione che deriva appieno dalla logica binaria aristotelica. Tuttavia i fenomeni naturali osservabili nella realtà fenomenologica sono più complessi e difficili da descrivere di quanto possano essere le esperienze di laboratorio. Spesso si deve ricorrere all’espediente di utilizzare un intervallo di valori numerici per circoscrivere uno stato patologico rispetto a uno stato di salute, per cui siamo soliti dire che un individuo non ha il diabete se la sua glicemia è ricompresa entro un certo intervallo di valori che vanno da A verso B. Oppure è da considerarsi diabetico se oltrepassa una specifica soglia quantitativa di glucosio nel sangue e lo fa per un intervallo di tempo ben definito, in un numero prefissato di misurazioni attendibili 4 5. Una delle capacità più originali del cervello umano rimane quella di riassumere delle informazioni complesse in poche e semplici frasi. Un riassunto costituisce per sua natura un tipo di approssimazione. Il cervello umano trae vantaggio da questa tolleranza nei confronti dell’imprecisione attraverso la codifica e il tener conto delle informazioni più rilevanti rispetto a determinate necessità. Riunisce alcuni dati in insiemi di tipo impreciso contenenti un fattore di verità variabile. Costruisce infine elementi che saranno in seguito etichettati come artefici di un racconto sufficientemente vero o necessariamente falso. Tutta la nostra vita si svolge in un universo di instabilità e imprecisione. Sappiamo che quando aspettiamo l’autobus questo non arriverà mai allo stesso identico orario tutte le mattine per portarci al lavoro, tuttavia la variabilità del tempo previsto per il suo arrivo sarà sufficiente a farci arrivare in ufficio in un tempo utile. La scienza si preoccupa di delimitare l’esperienza in modo binario, etichettando ogni fenomeno come funzionale o non utile a provare una certa affermazione di partenza. La natura non segue una logica binaria. Il Secondo principio della Termodinamica e quello di Indeterminazione, elaborato dal fisico tedesco Werner Heisemberg, stanno a dimostrarci quanto sia impossibile far rientrare la materia in un sequenza preordinata di sole due variabili misurabili 5. La logica fuzzy rappresenta uno strumento di gestione della vaghezza del linguaggio naturale e della complessità dei fenomeni osservati nell’universo reale pur conservando una struttura formale che ne permetta una rappresentazione numerica. Il metodo più semplice per descrivere correttamente dei fenomeni senza violare il principio logico di non contraddizione e rendere compatibile questo processo con la logica bivalente, consisterà nel definire un valore arbitrario di soglia, numerica o quantitativa, che ci permetterà di descrivere senza ambiguità gli insiemi che osserveremo collocandoli in un contesto logico affidabile. Il rigore di tale metodo potrebbe lasciare insoddisfatti, perché il tentativo di essere precisi e di fornire un’affermazione certa da un punto di vista logico diminuisce la ricchezza semantica del nostro linguaggio naturale. Nella logica fuzzy la differenziazione tra i concetti con cui cercheremo di definire la realtà che ci circonda sfumerà pertanto in modo graduale tra un’entità misurabile e un’altra. Possiamo riconsiderare la relatività della definizione di salute e di malattia e attribuire un diverso valore a questi termini legato alle differenti età della vita. Correre una maratona in circa cinque ore circa potrà essere alla portata di un essere umano trentenne ben allenato, ma diventerà un fatto eccezionale in un individuo di oltre settanta anni di età. La difficoltà di definire lo stato di salute e quello di malattia risente della difficoltà di un inquadramento stabile entro parametri precisi. Salute e malattia non sono due realtà rappresentabili attraverso una logica soltanto di tipo binario. Sono due modi d’essere che sfumano l’uno verso l’altro e viceversa attraverso un percorso bidirezionale o un cammino che può a sua volta essere influenzato da un terzo fattore di grande importanza costituito dall’estensione temporale in cui la persona viene osservata e le sue specificità misurate. La spiegazione medica del verificarsi delle malattie non appare unicamente di tipo induttivo. La medicina non è ancora riuscita a elaborare leggi o regole descrittive universali e applicabili in ogni contesto all’origine del cancro, della cardiopatia ischemica o di altre comuni patologie, malattie che vengono definite come a eziologia complessa e multifattoriale. La statistica diventa utile per descrivere una spiegazione medica del fenomeno patologico perché individua con un’approssimazione soddisfacente le correlazioni tra le cause dei fenomeni morbosi e i loro effetti. Tuttavia questi rapporti tra causa ed effetto non possiedono una forza di prova in quanto tale, perché vi possono essere delle altre cause alternative e confondenti ricoprenti magari un ruolo importante e misconosciuto, che dovranno in seguito essere precisate e che muteranno per questo la nostra visione e conoscenza del fatto biologico e medico. Concludere che esista una relazione causale e quindi esplicativa tra una causa e una malattia dipenderà dal verificarsi contemporaneo di numerosi aspetti di coerenza. La spiegazione del verificarsi di un fenomeno in medicina non potrà mai essere condotta nei termini di scoperta di singole cause. Non esistono malattie unicamente e puramente legate a una sola e unica causa, allo stesso modo di come non appare possibile spiegare la realtà in termini di bianco o di nero. La realtà è pervasa da uno spettro cromatico che può variare in modo difforme per ogni singolo evento. Un accidente di cui si possono appurare comportamenti statisticamente significativi e in un gran numero di casi i quali non potranno mai essere tutti quelli possibili. Nemmeno le malattie provocate da una singola alterazione genetica possono essere considerate monocausali, in quanto la loro manifestazione fenotipica sarà dovuta necessariamente a un rapportarsi con l’ambiente esterno, una disposizione necessariamente diversa da individuo ad individuo. Quando si cercheranno delle cause per spiegare degli eventi patogeni si dovranno ottenere delle informazioni affidabili relative ai meccanismi correlati, così pure delle informazioni le più precise possibili circa la loro interazione reciproca. Secondo lo studioso canadese Paul Thagard la spiegazione di un fenomeno naturale effettuata secondo un’interpretazione medica dovrebbe essere elaborata secondo una modalità di interconnessione a rete, come un complesso di cause con ampi margini di indeterminazione. Ogni valutazione speculativa in campo biologico dovrebbe acquistare una maggiore condivisione mano a mano che si verranno a delineare i singoli nodi eziologici che la costituiscono. Per ogni malattia gli studi epidemiologici e la ricerca biologica messi in relazione tra di loro concorreranno a stabilire un sistema di fattori implicato nella produzione di un singolo stato patologico. I nodi di questa rete saranno connessi tra di loro non solo attraverso delle probabilità condizionali, probabilità cioè del verificarsi di un effetto per una determinata causa, ma anche da relazioni causali sostenute da molteplici correlazioni quali cause alternative e meccanismi complementari 6 7. La salute non è dunque costituita solo dall’assenza di malattia, secondo l’inadeguata logica binaria del tutto o nulla. Potrebbe essere definita come uno stato cui dovrebbero tendere le persone e inteso come una condizione auspicabile per l’essere umano che è stata rivestito nelle diverse epoche da sovrastrutture storiche, sociali e politiche di tipo utopico. Se si cerca di individuare uno spartiacque preciso tra salute e malattia ci si renderà conto dopo le considerazioni che abbiamo espresso che esistono molteplici situazioni nelle quali appare difficile distinguere tra queste due condizioni. Il risultato finale sarà uno scenario nel quale salute e malattia si intersecheranno in un modo complesso e inestricabile, come avviene in modo particolare nel campo dello studio e della cura delle malattie mentali. Nelle varie forme che può assumere il disagio psichico appare difficile definire quando si entri in pieno in uno stato di malattia piuttosto che ci si dibatta in una semplice situazione di disagio umano e sociale. Lo psichiatra svizzero Ludwig Binswanger (1881-1966), amico e corrispondente per anni di Sigmund Freud, riteneva le malattie mentali essere una modalità esistenziale della persona malata nei confronti del mondo. Secondo questa visione la malattia psichiatrica poteva essere descritta ipotizzando una disposizione soggettiva dell’individuo nei confronti della propria vita di relazione con le altre persone. Una delle intuizioni più interessanti di Binswanger fu quella di evidenziare la diversa consapevolezza del senso del tempo presente nei soggetti deliranti rispetto a quelli non affetti da psicosi. La necessità di effettuare una terapia specifica risultava influenzata da un approccio non solo di tipo medico, ma articolato come un’interpretazione anche esistenziale e filosofica della vita di un altro essere umano. Il medico diveniva un terapeuta capace di interagire con l’intimità ideativa dell’ammalato che aveva di fronte, considerandolo in una visione d’insieme della sua irripetibile e unica storia personale. L’ambizione dello psichiatra svizzero divenne quella di ricomporre attraverso l’interazione terapeutica con il malato psichico la storica divisione filosofica tra anima e corpo verificatasi a partire dal pensiero di Platone, fino alla radicale distinzione cartesiana tra res cogitans (il pensiero) e res extensa (la materia). La conoscenza della vita dell’ammalato, la presa d’atto rispettosa dei suoi interessi e della sua visione esistenziale divennero un terreno condiviso di confronto e di azione terapeutica. Venne a tal fine utilizzata una comunicazione tra il medico e il paziente effettuata senza riserve ideologiche e preconcetti relativi al vissuto di quest’ultimo 8. Binswanger ritenne che le dottrine psichiatriche di tipo organicistico, che tentavano in quel tempo di impadronirsi e di codificare la malattia mentale attraverso una rigida aderenza alla metodica sperimentale utilizzata dalla medicina moderna nelle sue specialità più fisiche, facessero riferimento a un modello medico-biologico di lettura della malattia psichica che aveva perso di vista il senso più profondo del lavoro terapeutico sul malato di mente, trascurando l’importanza della presenza e della comunicazione umana. Alla luce di queste affermazioni egli sostenne come il nevrotico non raccontasse mai compiutamente se stesso all’analista. Il malato si limitava a raccogliere e trasmettere le indicazioni che il proprio linguaggio era in grado di articolare e il proprio modo di interpretare il mondo gli suggerivano. Il paziente finiva per inventare una parte delle cose che raccontava al medico, non perché pensasse di mentire così facendo, ma perché non poteva fare altro che soggiacere alla propria sensibilità interpretativa del mondo. Creava una parte di ciò che raccontava in base alla padronanza del linguaggio che possedeva e si attendeva di essere esaminato dal medico secondo un metro di sincerità e di sensibilità che lui stesso avrebbe suggerito in modo più o meno consapevole al proprio curante. Come tutte le altre scienze dell’uomo la medicina non dovrebbe dimenticare questa lezione quando dopo il momento sperimentale si formulano delle teorie generali. Il rischio potrebbe essere quello di dimenticare il punto da cui si è partiti e di non avere nessuna meta sicura da raggiungere. Questo potrebbe avvenire in alcune parti dell’attività del medico in cui ogni singola parola acquisisce delle valenze diverse in base al contesto in cui viene inserita, come il campo delle scelte bioetiche e senza escludere altri territori della pratica clinica e della ricerca più tradizionali. Secondo la lezione di Wittgenstein il linguaggio risultava da un addestramento continuo basato sull’esperienza e questa poteva basarsi unicamente su fatti simili e mai identici 9 10. In questa affermazione si celava una critica alla pretesa dell’assoluta certezza del metodo sperimentale e veniva almeno parzialmente spiegata l’unicità spesso incomprensibile di alcune reazioni dei pazienti alla prevedibilità di molte terapie. L’originalità di ogni essere vivente non avrebbe dovuto essere ricercata nelle caratteristiche e qualità materiali che venivano descritte per connotarlo, quanto nel linguaggio che si era adoperato per rappresentarlo e nella sua attendibilità formale e logica. Accettare una realtà indefinita, un’instabilità permanente di giudizio in cui molti, se non tutti i punti di riferimento biologici ed esistenziali potevano essere messi in discussione, non appartiene alle capacità virtuose della maggior parte degli esseri umani. Le persone desiderano una vita prevedibile, piacevolmente prevedibile, in cui trovare conforto per i momenti di separazione dalle loro abitudini, situazioni che li attendono e che si verificheranno nello scorrere dell’esistenza. Vorrebbero una ripetitività consolatoria che allontani la presenza fisica e psichica dell’esito ineludibile delle loro vite, di tutte le vite, fonte di angoscia e di frustrazione, la presenza costituita dalla morte. Ogni istante dobbiamo convivere con il precario equilibrio tra lo stare bene e lo stare male, mentre forze in larga parte sconosciute lavorano incessantemente dentro e fuori di noi per tenere in equilibrio la nostra realtà biologica e permetterci di pensare a ciò che ci circonda in una condizione di automatismo, priva quasi sempre di consapevolezza, che rappresenta forse il più grande dei risultati evolutivi a cui è pervenuto il corpo umano. In questa disposizione affrontiamo le domande che il vivere ci rivolge, spesso ignorando quanto questo agire sia figlio di un complesso passato biologico e culturale, due fattori inestricabilmente legati tra di loro. Liberi apparentemente di sentirci bene, oppure male, secondo un destino che ci trasciniamo dietro inconsapevoli. Aderendo ai nostri comportamenti che viviamo senza conoscerne a fondo la natura e l’articolazione. Ci manifestiamo come esseri umani legati a una contraddizione vivente, la quale tuttavia funziona, si adatta all’ambiente che la circonda e non smette un istante di immaginare il proprio futuro.

Riferimenti bibliografici

  1. Odifreddi P. Il diavolo in cattedra. La logica da Aristotele a Gödel. Einaudi: Torino; 2003.
  2. Perozziello FE. La Logica e l’Informatica ed i loro rapporti con la Medicina. Considerazioni sulla necessità di una maggiore consapevolezza del pensiero medico. Giorn It Mal Torace. 2005; 59:427-40.
  3. Zadeh LA. Fuzzy sets. Information and Control. 1965; 8:338-53.
  4. Veronesi M, Visioli A. Logica fuzzy. Franco Angeli: Milano; 2003.
  5. Kosko B. Il Fuzzy Pensiero. Teoria e applicazioni della logica Fuzzy. Dalai Editore: Milano; 1995.
  6. Thagard P. Conceptual revolutions. Princeton University Press: Princeton (NJ); 1992.
  7. Thagard P. The brain and the meaning of life. Princeton University Press: Princeton (NJ); 2010.
  8. Binswanger L. Daseinsanalyse psichiatria psicoterapia. Raffaello Cortina Editore: Milano; 2018.
  9. Wittgenstein L. Libro blu e Libro marrone. Einaudi: Torino; 1983.
  10. Perissinotto L. Wittgenstein. Feltrinelli: Milano; 1997.

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Come citare

Perozziello, F. E. (2019). Le idee di salute e di malattia - Quinta parte. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 34(5-6), 213-217. Recuperato da https://www.aiporassegna.it/article/view/19
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