Trattamento della sleep apnea di grado lieve – CON
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L’OSA è una condizione cronica con elevata prevalenza e rilevanti implicazioni economiche e sociali 1 con sequele cardiovascolari e neurocognitive. L’entità degli effetti negativi sembra essere dipendente dalla gravità della malattia e non è chiaro se l’OSA lieve (AHI compreso tra 5 e 15) possa dare significative complicanze cardiovascolari e neurocognitive. In particolare, un rapporto del 2011 dell’Agency for Healthcare Research and Quality 2 ha sottolineato la mancanza di chiare evidenze sia le ripercussioni cardiovascolari e neurocognitive dell’OSA lieve, sia i risultati clinici del suo trattamento tanto con PAP quanto con modalità alternative. Quindi, data la mancanza di evidenze univoche sulle sequele dell’OSA lieve e sugli effetti del suo trattamento, vi è la necessità di fornire una valutazione critica della attuali evidenze che descrivono l’impatto sulla salute dell’OSA lieve e del suo trattamento.
Per provare a chiarire la questione, nel gennaio 2013 l’American Thoracic Society ha costituito una Task Force di esperti per la valutazione dell’impatto dell’OSA lieve al fine di produrre un documento che partendo da una rivalutazione delle evidenze disponibili in letteratura, individuasse le lacune presenti nella ricerca e formulasse delle raccomandazioni.
Il limite della definizione di OSA lieve è quello di rifarsi ai parametri proposti nei criteri di Chicago del 1999: Apnea Hypopnea Index o Respiratory Disturbance Index o Oxygen Desaturation Index ≥ 5/h e < 15/h, indipendentemente dalla definizione di ipopnea.
La prima questione affrontata dalla Task Force è stata la definizione di OSA lieve in quanto è stato fin da subito chiaro che ciò che complicava la valutazione delle prove relative alle conseguenze e al trattamento dell’OSA lieve erano le differenti definizioni e metodologie di analisi utilizzate come la definizione delle ipopnee 3 4. Il limite della definizione di OSA lieve è quello di rifarsi ai parametri proposti nei criteri di Chicago del 1999 5: AHI o Respiratory Disturbance Index (RDI) o Oxygen Desaturation Index (ODI) ≥ 5/h e < 15/h, indipendentemente dalla definizione di ipopnea. Questi criteri sono stati formulati al tempo in cui i termistori erano comunemente utilizzati per valutare il flusso d’aria e le definizioni di ipopnea erano più conservative. Ne consegue che negli studi in cui il flusso d’aria è stato registrato usando il solo termistore, i soggetti definiti come lievi avrebbero probabilmente avuto una forma di OSA moderata se valutata con le cannule nasali. Questo è stato confermato dimostrando l’impatto dell’uso di differenti definizioni di “ipopnea” nello Sleep Hearth Helth Study con una variazione di 10 volte nella prevalenza calcolata 6. Successivamente ai criteri di Chicago la definizione di ipopnea è ripetutamente cambiata. Nel 2007 l’American Academy of Sleep Medicine (AASM) ha raccomandato come definizione una riduzione del 30% del flusso d’aria, calcolato con trasduttore della pressione misurata attraverso una cannula nasale, con una concomitante caduta del 4% nella saturazione dell’ossigeno o in alternativa, come una diminuzione del 50% o maggiore del segnale di flusso associato con una diminuzione del 3% della saturazione dell’ossigeno e/o un arousal EEG 7. L’update del 2012 dello scoring manual dell’AASM ha definito l’ipopnea come riduzione del 30% o superiore nel flusso che dura almeno 10 secondi e associata alla desaturazione dell’ossigeno maggiore o uguale al 3% o a un arousal, inserendo così gli arousal nella definizione standard di ipopnea 4. Di conseguenza, è importante essere cauti quando si confrontano i risultati degli studi eseguiti in tempi diversi e in diversi laboratori utilizzando differenti definizioni di AHI.
Una ulteriore limitazione della definizione “lieve” è rappresentata dalla non dipendenza da potenziali sottostanti fattori clinici o metabolici che possano aiutare a definire la sindrome OSA. Ulteriore fattore limitante nella letteratura è la scarsezza di studi in cui ci sono confronti diretti tra OSA lieve e nessuna OSA.
Ogni conclusione sull’impatto dell’OSA lieve è quindi influenzato dalla definizione utilizzata per l’ipopnea. Poiché la letteratura utilizza ampiamente diverse definizioni, è molto probabile che alcuni studi di OSA lieve includano un grande numero di soggetti potenzialmente “normali” e altri includano soggetti con OSA moderata, spiegando in tal modo alcune delle incongruenze nei risultati.
La maggior parte degli studi dimostra un miglioramento modesto delle valutazioni soggettive della sonnolenza solo nei pazienti sintomatici all’arruolamento e non mostra alcun impatto del trattamento sulle valutazioni oggettive.
Dalla valutazione delle conclusioni degli studi longitudinali basati su popolazione e degli studi su pazienti afferenti ai centri del sonno è emerso che l’OSA lieve è associata a un aumento medio di 0,5 punti nella scala di Epworth della sonnolenza, ma è poco chiaro l’effetto del trattamento con CPAP perché se è vero che la maggior parte degli studi randomizzati controllati dimostra un miglioramento modesto delle valutazioni soggettive della sonnolenza solo nei pazienti sintomatici all’arruolamento 8, è anche vero che i dati non mostrano alcun impatto del trattamento sulle valutazioni oggettive della sonnolenza 9. Allo stesso modo vi sono risultati conflittuali sulla qualità della vita, sul tono dell’umore e sul rischio di incidenti stradali, mentre non viene fornita alcuna prova di un’associazione tra OSA lieve e deficit neurocognitivi.
Non ci sono importanti differenze nel rischio di ipertensione tra soggetti con OSA lieve se stratificati per età, sesso, BMI o livello basale della sonnolenza. Sebbene studi longitudinali abbiano trovato elevate associazioni nei dati grezzi tra ipertensione e OSA lieve, gli stessi studi erano in contrasto quando il rischio veniva analizzato considerando fattori confondenti come età, sesso e BMI 10. Mancano studi randomizzati controllati in soggetti con OSA lieve dove sia possibile determinare se l’ipertensione possa essere migliorata o prevenuta con la PAP, gli Oral Appliance o la terapia chirurgica.
Le prove disponibili da studi longitudinali su popolazione indicano che l’OSA lieve non è associata con aumento della mortalità cardiovascolare o da altre cause.
Allo stesso modo ci sono dati contrastanti da studi longitudinali 11 12 che non contribuiscono a chiarire se vi è un’associazione tra OSA lieve e una maggiore incidenza di eventi cardiovascolari, fibrillazione atriale o altre aritmie, ictus cerebrale 13. In conclusione, confrontate con i soggetti senza OSA, le prove disponibili da studi longitudinali su popolazione indicano che l’OSA lieve non è associata ad aumento della mortalità cardiovascolare o ad altre cause 14 e non ci sono studi di valutazione dell’impatto del trattamento sulla mortalità cardiovascolare.
Allo stato attuale delle conoscenze e dell’evidenza della letteratura, nella popolazione generale l’OSA lieve non sembra associarsi a elevato rischio di mortalità e le evidenze riguardanti l’impatto della OSA lieve sulle capacità cognitive, sulla qualità della vita, sull’umore, sulla pressione arteriosa e sulle conseguenze cardiovascolari non sono conclusive. Inoltre la maggior parte degli studi o non ha seguito definizioni standard o aveva difetti metodologici e non ha distinto con attenzione l’OSA lieve da moderata e grave, fornendo dati discordanti e, di conseguenza, informazioni potenzialmente fuorvianti.
La maggior parte degli studi o non ha seguito definizioni standard o aveva difetti metodologici e non ha distinto con attenzione l’OSA lieve da moderata e grave.
Concludendo, al momento vi sono aree grigie nella conoscenza dell’OSA lieve con numerosi dubbi e poche certezze, ma soprattutto quello che è emerso dalle conclusioni della Task Force dell’ATS 15 è che è necessario utilizzare definizioni standard di OSA lieve per permettere di fare un adeguato confronto fra gli studi e non utilizzare solo l’AHI come parametro di misura. Sono necessari studi prospettici osservazionali per determinare l’impatto dell’OSA lieve sugli incidenti automobilistici, sui deficit neurocognitivi, per chiarire in modo definitivo l’impatto sul rischio cardio- e neurovascolare e studi randomizzati controllati per valutare l’efficacia dei diversi trattamenti.
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