I bambini della scuola di Bullenhuser Damm, la tubercolosi e la loro storia
Abstract
La scuola di Bullenhuser Damm è un edificio scolastico situato alla periferia della città di Amburgo, nel Nord della Germania. In questo luogo, nella notte tra il 20 e il 21 aprile del 1945, venti bambini di età compresa tra i sette e i tredici anni furono uccisi dalle SS naziste. Erano stati sottoposti, nei mesi precedenti, a una crudele e inutile sperimentazione per un possibile vaccino contro la tubercolosi. Per fare sparire le prove di questo crimine i bambini furono tutti uccisi e poi bruciati, insieme ad altre vittime innocenti di età adulta. Quello che segue è il racconto di questa vicenda che non deve essere dimenticata.
Articolo
Esistono argomenti che attraggono e respingono contemporaneamente. Episodi storici che non si vorrebbe nemmeno conoscere o studiare, ma che pongono domande così impegnative e coinvolgenti da non potersene astenere senza avvertire la sensazione di barare alle regole del gioco. Nel raccontare l’evoluzione del pensiero medico non possiamo tacere su di un lato oscuro di questo. Forse il più tenebroso e impresentabile, ma che è esistito e di cui abbiamo prove certe. Un territorio poco esplorato, perché chiunque vi si inoltri ha il sentore, prima ancora di intraprendere il proprio viaggio di conoscenza, che si tratterà di una ricerca culturale che non rimarrà senza conseguenze e che, prima di ogni altra considerazione, a recarne segni indelebili sarà la sensibilità e la consapevolezza critica dello stesso viaggiatore 2 3.
Nella notte tra il 20 ed il 21 aprile del 1945, nei sotterranei della scuola di Bullenhuser Damm, alla periferia di Amburgo e in una città spettrale e devastata dai bombardamenti degli Alleati, venti bambini ebrei, dieci femmine e dieci maschi, vennero uccisi mediante impiccagione. Erano stati sottoposti per alcuni mesi a una delirante sperimentazione medica su di un possibile vaccino per la tubercolosi da parte di un gruppo di aguzzini coordinato da un medico appartenente al corpo delle SS di nome Kurt Heissmeyer (1905-1967). I bambini erano arrivati in quella scuola dal campo di concentramento di Neuengamme, a circa trenta chilometri da Amburgo, un lager in cui erano stati trasferiti apposta per essere sottoposti all’inutile e crudele sperimentazione alla fine del mese di novembre del 1944. Erano di varia nazionalità e tra loro c’era anche un piccolo cittadino italiano la cui madre aveva avuto la sorte di essere ebrea 4.
Questi fanciulli avevano un’età compresa tra gli otto e i tredici anni e provenivano dal campo di sterminio tristemente noto con il nome di Auschwitz-Birkenau, una località del Sud dell’odierna Polonia, a circa 60 km da Cracovia, dove tra il 1942 e il 1945 persero la vita oltre un milione di persone. Erano stati scelti per quell’esperimento da un altro medico nazista, il tristemente famoso Joseph Mengele (1911-1979), che aveva effettuato personalmente la selezione dei fanciulli facendo loro credere, con una crudeltà priva di ogni aggettivo, che essere stati scelti avrebbe anticipato il momento destinato a rivedere le loro mamme 4. A partire dal gennaio del 1945 il dottor Heissmeyer iniettò il bacillo della tubercolosi nei corpi delle povere vittime con il pretesto di studiare un possibile vaccino. Gli esperimenti criminali si protrassero per oltre tre mesi riuscendo solo a debilitare ulteriormente i bambini. Heissmeyer utilizzò delle iniezioni a dosi crescenti di tubercolina, successiva all’inoculazione del bacillo di Koch, per stimolare una ipotetica formazione di anticorpi specifici antitubercolari. Naturalmente non vi fu nessun effetto favorevole, come era da prevedersi in base ai lavori sperimentali sui modelli animali già effettuati negli anni Trenta del XX secolo e come confermato del resto e inutilmente dall’asportazione cruenta e ingiustificata delle linfoghiandole ascellari dei bambini nel marzo del 1945. Quelle linfoghiandole furono sottoposte a un esame istologico da parte del patologo Hans Klein, che sarebbe diventato impunemente dopo la guerra docente di medicina legale presso l’Università di Heidelberg.
Intanto la Seconda Guerra Mondiale stava volgendo al termine. L’Armata Rossa del maresciallo Zukov aveva stretto Berlino in una morsa senza scampo e le truppe degli Alleati si stavano avvicinando da Occidente. Il 20 aprile del 1945 Adolf Hitler compì cinquantasei anni. Nel bunker della Cancelleria, con il rombo dei cannoni sovietici che annunciavano una fine sempre più prossima, fu festeggiato il genetliaco del Führer. Nessuna festa allietò invece la baracca n. 4 a del campo di Neuengamme quella notte. Con le truppe Alleate che potevano arrivare ai cancelli del lager da un momento all’altro era troppo pericoloso continuare a tenere prigionieri quei bambini la cui presenza appariva ingiustificabile in un campo di prigionia e di lavori forzati. Il comandante del campo, Max Pauly, aveva chiesto già il 7 di aprile al comando generale dei campi di sterminio di Berlino che cosa fare. L’ordine arrivò il 20 dello stesso mese: i bambini andavano eliminati. Pauly incaricò dell’esecuzione il medico SS del lager, il dottor Alfred Trzebinski (1902-1946). Fu approntato un autocarro su cui nella notte tra il 20 e il 21 aprile presero posto i dieci bambini. Erano con loro due medici francesi prigionieri di guerra, René Quenouille e Gabriel Florence, due infermieri olandesi Anton Holzel e Dirk Deutekom e sei prigionieri russi di cui ci è ignoto il nome. L’automezzo si diresse con una breve corsa alla periferia di Amburgo dove sorgeva la scuola di Bullenhuser Damm, un edificio di mattoni rossi rimasto miracolosamente in piedi durante i bombardamenti e utilizzato come sede distaccata del lager di Neuengamme. L’esecuzione non poteva infatti avvenire nel campo principale perché ci sarebbero stati troppi testimoni e dei mezzi della Croce Rossa svedese erano già presenti sul posto per sorvegliare il rimpatrio di alcuni prigionieri da estradare in Danimarca. All’arrivo alla scuola Trzebinski si confrontò con il comandante del piccolo campo di concentramento, l’Obersturmführer delle SS, un grado che corrispondeva più o meno a quello di tenente, Arnold Strippel (1911-1994). Strippel era un nazista fanatico, cui non importava nemmeno che la guerra fosse prossima alla fine e che tra i prigionieri da eliminare vi fossero dei bambini innocenti. Il gruppo dei reclusi venne condotto nei sotterranei e i medici francesi, gli infermieri olandesi e i sei prigionieri russi vennero impiccati in uno degli stanzoni, mentre i bambini sonnolenti e infreddoliti attendevano ignari in un altro locale insieme alle loro povere cose che avevano preso come bagaglio. Poi Strippel vinse le resistenze del medico Trzebinski, ricordandogli che dovevano obbedire a quell’ordine aberrante giunto da Berlino e che un membro delle SS, quale egli era, doveva seguire le direttive che gli venivano impartite per il bene dello stato, secondo la propria assoluta fedeltà al Führer. Al processo che dovette sostenere alla fine della guerra, prima di essere giustiziato, Trzebinski dichiarò di non aver portato con sé alcun veleno quella notte, in quanto aveva avuto qualche scrupolo a uccidere dei bambini. Nei campi di concentramento nazisti i prigionieri non avviati direttamente alle camere a gas venivano di solito eliminati con iniezioni di fenolo in vena o direttamente nel miocardio, attraverso un’iniezione intercostale. Il medico praticò invece ai bambini delle iniezioni intramuscolari di morfina che ne attutirono la sensibilità, forse ne uccisero subito i più debilitati per depressione respiratoria e li fecero comunque cadere in un torpore oppure in un sonno farmacologico. Poi, a uno a uno, i fanciulli vennero portati in uno scantinato e appesi a dei ganci di metallo che pendevano dai tubi dell’acqua che correvano lungo il soffitto. In questo modo furono strangolati e uccisi. Infine fu la volta di ulteriori diciotto prigionieri russi, arrivati successivamente con un altro automezzo e giustiziati anch’essi senza alcuna pietà. Dopo l’eccidio i corpi furono caricati di nuovo sugli autocarri, riportati a Neuengamme e lì cremati per far perdere ogni traccia di quell’infamia. Le loro ceneri vennero disperse nei campi circostanti. Kurt Heissmeyer, il medico che aveva condotto la sperimentazione sulla tubercolosi, non era più presente nel lager al momento dell’eccidio. Dopo la fine della guerra trascorse molti anni della sua vita in totale tranquillità. Esercitò a lungo la professione a Magdeburgo, nella Repubblica Democratica Tedesca, la Deutsche Demokratische Republik, dal nome abbreviato in DDR e nota come Germania dell’Est. Si trattava della parte della Germania soggetta al regime comunista filosovietico istituito dopo la guerra e che avrebbe avuto termine solo con la riunificazione delle due Germanie e la caduta del Muro di Berlino nel 1989. Heissmeyer venne arrestato nel 1963 e condannato all’ergastolo nel 1966 perché non si riuscì a provare il suo coinvolgimento diretto nell’omicidio dei piccoli. Morì di cardiopatia ischemica nell’estate del 1967 mentre era ancora detenuto. L’ufficiale delle SS Arnold Strippel, che aveva materialmente diretto l’eccidio, fu processato nel 1948 per la sua attività criminale in altri campi di sterminio. Gli furono inflitti ventuno ergastoli, più altri dieci anni di reclusione. I ventuno ergastoli si riferivano all’uccisione di altrettanti deportati ebrei nel campo di concentramento di Buchenwald, fatto di cui esistevano prove certe. Non venne fatta alcuna menzione alla strage di Bullenhuser Damm, anche se il suo nome come corresponsabile era emerso nel corso del processo, avvenuto nel 1946, intentato al medico delle SS Alfred Trzebinski che venne invece condannato a morte e impiccato dagli Alleati nell’ottobre del 1946. Soltanto nel 1965, in seguito a un nuovo processo che vide Heissmeyer come indagato, le indagini su Strippel furono riaperte e furono incredibilmente richiuse nel 1967 per insufficienza di prove! Il 21 aprile del 1969, quasi nell’anniversario dell’eccidio, venne liberato dal carcere e nel 1970 Strippel chiese ed ottenne la revisione della condanna del 1948, la quale fu trasformata da ventuno ergastoli a sei anni di carcere, del resto già scontati! A causa di questa sentenza gli venne riconosciuto un risarcimento di oltre centomila marchi dell’epoca. Strippel visse tranquillo e in libertà fino al 1979 quando, grazie alle inchieste del giornalista tedesco Gunther Schwarberg, il caso venne riaperto e numerosi testimoni e parenti delle vittime vennero sentiti in tribunale. Nel 1987 tuttavia il tribunale di Amburgo impose la cessazione del processo per l’impossibilità di Strippel a sostenere il dibattimento in quanto gravemente ammalato. L’assassino morì nel 1994 di morte naturale 4.
Sono stato ad Amburgo nell’estate del 2014. Ho sempre pensato, come scriveva Erodoto di Alicarnasso, che uno storico debba, nei limiti del possibile, verificare di persona le vicende che studia e racconta. Con quei bambini avevo stretto un patto silenzioso da sciogliere, un legame che si era intrecciato tra le loro vite e la mia, che poteva assumere un significato positivo solo se avessi contribuito a diffondere la conoscenza della loro esistenza e memoria. Pertanto ho intrapreso un viaggio che avevo in cuore da tempo di compiere, verso la Germania del Nord e dentro la mia anima. La scuola di Bullenhuser Damm era ancora lì, perfettamente conservata, insieme a un piccolo museo che ricordava quel crimine orrendo, ma visitabile solo per poche ore la settimana. Esisteva un piccolo roseto dedicato alla memoria delle vittime. Un luogo che andrebbe visitato da più persone e la cui esistenza divulgata per non dimenticare questa terribile storia, un angolo oggi fiorito che ogni medico e ogni essere umano pensante dovrebbe conoscere.
Quando si parla dell’Olocausto e della Shoah si perdono spesso le coordinate razionali del pensiero, che rimane ferito nella propria sensibilità e umanità dalla malvagità di cui viene a conoscenza. Lo storico deve invece cercare di comprendere il più possibile le cause e i moventi di un simile orrore, sforzandosi di non subire unicamente il coinvolgimento emotivo e lo sdegno per le azioni terribili di cui viene a sapere e perdere di conseguenza la lucidità di giudizio. È stato un mio dovere di storico, di medico e di uomo, un modesto omaggio alla memoria di quei poveri bambini, raccontare questa storia, come del resto viene chiesto in una delle lapidi commemorative. Anche voi, lettori di questo articolo, ora la conoscete. Anche voi potete adesso raccontarla e, soprattutto, non dimenticarla.
Riferimenti bibliografici
- Arendt H. Le origini del totalitarismo. Bompiani: Milano; 1977.
- Arendt H. La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme. Feltrinelli: Milano; 1964.
- Lifton RJ. I medici nazisti. La psicologia del genocidio. B.U.R.: Milano; 2003.
- Bernicchia MP. Chi vuol vedere la mamma faccia un passo avanti. Proedi: Milano; 2006.
- Perozziello FE. La Medicina e il nazismo..Publisher Full Text
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