Macrolidi a lungo termine nella broncopneumopatia cronica ostruttiva
Abstract
Da tempo l’utilizzo dei macrolidi si è progressivamente diffuso nel trattamento di numerose patologie infiammatorie croniche polmonari, compresa la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), principalmente per la loro azione antibiotica ad ampio spettro e, in epoca più recente, anche a scopo antinfiammatorio ed immunomodulatore. Scopo di questa review è analizzare le evidenze scientifiche in merito all’uso dei macrolidi nella BPCO focalizzandoci sia sui possibili meccanismi d’azione, in particolare l’effetto immunomodulatore, sia sui principali trial clinici ad oggi disponibili e gli outcome da essi valutati. Inoltre nuovi studi sono stati indirizzati all’analisi dell’azione dei macrolidi sul microbioma; infatti, se l’effetto antinfiammatorio ed immunomodulatore sembra agire sulla prevenzione delle riacutizzazioni, tuttavia l’azione antibiotica, soprattutto se applicata a lungo termine, potrebbe favorire la selezione di batteri resistenti e ridurre la diversità della flora microbica. Proprio alla luce di queste considerazioni, l’ultima parte della review tratterà di nuove molecole appartenenti alla famiglia dei macrolidi concepite per minimizzare gli effetti antibiotici e massimalizzare l’azione antinfiammatoria ed immunomodulante.
Introduzione
Gli antibiotici appartenenti alla classe dei macrolidi hanno una buona biodisponibilità per via orale, un’ottima penetrazione tissutale, la capacità di mantenere elevati livelli di concentrazione nei tessuti per periodi prolungati ed un’ampia efficacia contro molti patogeni polmonari sia Gram positivi che negativi; proprio per queste caratteristiche sono utilizzati come antibiotici di prima linea nella terapia delle infezioni respiratorie 1.
Il primo ad utilizzare l’eritromicina come terapia a lungo termine ed a basso dosaggio fu Kudoh in uno studio del 1987 su pazienti giapponesi con panbronchiolite diffusa riportando un importante miglioramento dei sintomi ed un aumento dell’aspettativa di vita 2. Da allora l’utilizzo dei macrolidi si è progressivamente diffuso nel trattamento di numerose patologie infiammatorie croniche polmonari, compresa la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 3. Il razionale per l’utilizzo di tale terapia a basso dosaggio e a lungo termine verte sul suo effetto immunomodulatore con potenziale effetto sulla riduzione del numero di esacerbazioni 4.
Il razionale per l’utilizzo di macrolidi a basso dosaggio e a lungo termine verte sull’effetto immunomodulatore con potenziale effetto sulla riduzione del numero di esacerbazioni.
Infatti, come dimostrato anche da una sotto-analisi dello studio ECLIPSE (Evaluation of COPD Longitudinally to Identify Predictive Surrogate Endpoints), uno degli studi osservazionali longitudinali su pazienti con BPCO più estesi ad oggi condotti, l’infiammazione gioca un ruolo chiave nella progressione della patologia 5. Analizzando un pannello di sei marker infiammatori su sangue periferico (leucociti, proteina C reattiva, IL-6, IL-8, fibrinogeno e Tumor Necrosis Factor-α o TNF-α), Agusti et al. hanno mostrato che i soggetti con attivazione infiammatoria persistente erano ad aumentato rischio di morte e presentavano un maggior numero di esacerbazioni per anno 5.
In uno dei trial randomizzati controllati (RCT) con maggior numerosità del campione (1.142 pazienti affetti da BPCO ad alto rischio di riacutizzazioni) ad oggi disponibili in letteratura, Albert et al. hanno mostrato un significativo aumento del tempo mediano intercorso fino alla prima riacutizzazione nel gruppo trattato con azitromicina 250 mg/die per un anno rispetto al placebo (266 vs 174 giorni rispettivamente, p < 0,001) 6. Inoltre la terapia con azitromicina ha mostrato ridurre la frequenza delle esacerbazioni (1,48/anno vs 1,83/anno rispettivamente, p = 0,01) e l’incidenza di colonizzazione delle vie aeree da parte di microrganismi patogeni. Tuttavia, l’utilizzo di macrolidi è risultato essere associato ad un’aumentata incidenza di colonizzazione delle vie aeree da parte di microrganismi resistenti ai macrolidi stessi 6. Nei paragrafi che compongono questa review cercheremo di analizzare più nel dettaglio i principali meccanismi con cui i macrolidi possono modulare la colonizzazione batterica e la risposta infiammatoria nelle basse vie aeree. Questi ultimi due elementi, infatti, si influenzano a vicenda, ed i macrolidi potrebbero essere in grado di interrompere il circolo vizioso che conduce alle riacutizzazioni ed alla progressione di malattia 7.
Macrolidi a scopo immunomodulatore
I macrolidi, in particolare l’azitromicina, svolgono numerose azioni sulle cellule epiteliali delle vie aeree, tra le altre: riducono le secrezioni e la formazione di muco e favoriscono l’integrità dell’epitelio. Inoltre, essi, come abbiamo visto, svolgono un’azione antinfiammatoria che si espleta attraverso una riduzione del rilascio di citochine proinfiammatorie ed un miglioramento della fagocitosi dei polimorfonucleati apoptotici da parte dei macrofagi alveolari 8. Questi presupposti teorici rendono i macrolidi particolarmente interessanti nelle patologie polmonari croniche, quali la BPCO.
Gli effetti immunomodulatori dei macrolidi possono essere suddivisi in precoci (inibizione dell’insorgenza dell’infiammazione) e tardivi (promozione della risoluzione dell’infiammazione cronica).
Gli effetti immunomodulatori dei macrolidi possono essere suddivisi in precoci (inibizione dell’insorgenza dell’infiammazione) e tardivi (promozione della risoluzione dell’infiammazione cronica) 8.
Nella fase precoce l’azitromicina, ma anche altri macrolidi tra cui claritromicina, eritromicina e roxitromicina in misura diversa, hanno dimostrato un effetto inibente sulla produzione di citochine proinfiammatorie, tra le quali IL-1β, IL-8, Granulocyte-Macrophage Colony-Stimulating Factor (GM-CSF), IL-6, IL-10, metallo proteasi della matrice (MMPs) e TNF-α. Queste citochine fungono da richiamo nei siti di infiammazione per granulociti neutrofili, macrofagi ed altre cellule fagocitarie 9.
Per quanto riguarda la fase tardiva, l’azitromicina ha mostrato di ridurre lo stress ossidativo provocato dall’attivazione dei neutrofili 10. Uno studio condotto da Murphy et al. ha mostrato come l’azitromicina riducesse la risposta delle cellule T helper 1 a favore di una risposta T helper 2 che favoriva la guarigione e la riparazione tissutale conseguente all’infiammazione 11. Inoltre nei pazienti BPCO, l’infiammazione cronica è causata dall’aumento della colonizzazione batterica delle vie aeree e, come già visto, dalla necrosi risultante da un’alterata fagocitosi di materiale apoptotico da parte dei macrofagi delle vie aeree 12. Somministrando azitromicina a basso dosaggio ed a lungo termine, si è osservato un miglioramento della fagocitosi del materiale apoptotico ed una riduzione della colonizzazione batterica. Questo potrebbe tradursi in un duplice effetto: riduzione del rischio di necrosi responsabile dell’infiammazione cronica e, di conseguenza, dal punto di vista clinico, riduzione del numero di esacerbazioni di malattia 12.
Anche l’eritromicina è stata studiata per le sue proprietà immunomodulatrici. In un RCT pubblicato nel 2010 da He et al. e condotto su 36 pazienti sottoposti ad eritromicina 125 mg trisettimanali vs placebo per 6 mesi, i ricercatori hanno individuato, alla fine del trattamento, una conta dei neutrofili nell’espettorato significativamente ridotta nel gruppo trattato con eritromicina rispetto al placebo 13. Tale cambiamento non è invece stato individuato per quanto riguarda la conta di linfociti e macrofagi. La conta cellulare totale e le concentrazioni di elastasi neutrofila nell’espettorato risultavano anch’esse significativamente ridotte nei pazienti trattati con eritromicina in confronto a placebo.
Inoltre per questo antibiotico è stato ipotizzato un ruolo protettore verso l’enfisema indotto dal fumo di sigaretta. In particolare, l’effetto sull’enfisema fumo-correlato si esplicherebbe riducendo lo squilibrio MMP9/TIMP1, appartenenti rispettivamente alla famiglia delle metalloproteasi della matrice ed agli inibitori tissutali delle metalloproteinasi (TIMP) 14.
Una meta-analisi pubblicata nel 2015 ha riassunto i risultati di 9 RCTs, compreso il sopracitato studio di Albert et al., sull’uso dei macrolidi, inclusi eritromicina, claritromicina ed azitromicina, nel ridurre il numero di riacutizzazioni 15. L’analisi complessiva ha riportato una riduzione del rischio relativo di esacerbazioni del 30% in confronto a placebo.
Solo i regimi terapeutici con azitromicina o eritromicina per 6-12 mesi si sono rivelati efficaci nel ridurre il numero di riacutizzazioni.
Tuttavia, pochi dati sono stati riportati in questi studi riguardo il rischio di sviluppo di resistenza ai macrolidi stessi. Interessante riportare le analisi per sottogruppi che hanno messo in evidenza come solo i regimi terapeutici con azitromicina o eritromicina per 6-12 mesi si siano rivelati efficaci nel ridurre il numero di riacutizzazioni; al contrario claritromicina e azitromicina per 3 mesi non hanno mostrato differenze rispetto a placebo 15. Inoltre, considerando solo gli studi con azitromicina per 6-12 mesi, i regimi terapeutici con azitromicina giornaliera ed a giorni alterni si sono rivelati entrambi efficaci nel ridurre la frequenza di esacerbazioni.
La profilassi antibiotica con macrolidi sembra efficace nel modulare l’infiammazione delle vie aeree e nel ridurre le riacutizzazioni nei pazienti affetti da BPCO.
Concludendo, dai dati finora disponibili, la profilassi antibiotica con macrolidi sembra efficace nel modulare l’infiammazione delle vie aeree e, in ultima analisi, nel ridurre le riacutizzazioni nei pazienti affetti da BPCO. Tuttavia è importante segnalare che il grado di evidenza cambia a seconda delle molecole utilizzate: l’azitromicina sembra essere, ad oggi, il macrolide con maggior impatto sul numero di riacutizzazioni.
Macrolidi… modulatori del microbioma?
Oltre al ruolo antinfiammatorio ed immunomodulatore, i macrolidi hanno un’azione batteriostatica che, nell’ambito della BPCO, è stata principalmente utilizzata durante le fasi di riacutizzazione 16.
Il ruolo della flora batterica delle basse vie aeree nella patogenesi ed evoluzione della malattia è stato estesamente indagato. Una prima teoria, definita “the British hypothesis”, postulava che il fumo di sigaretta alterasse le difese dell’ospite permettendo la colonizzazione e l’infezione delle basse vie aeree da parte di microrganismi patogeni, che a loro volta erano causa di bronchite cronica e progressivo declino del Volume Espiratorio Massimo nel 1° Secondo (VEMS) 17.
Tuttavia successivi studi longitudinali prospettici hanno smentito quest’ipotesi osservando che la correlazione tra sviluppo di bronchite cronica e ostruzione delle vie aeree (elemento diagnostico fondamentale nella definizione di BPCO) non era poi così stretta 18. Viceversa, un aumento dell’infiammazione locale e sistemica è stato riscontrato in pazienti con bronchite cronica colonizzati da batteri patogeni 19-23.
Di recente, grazie alle nuove metodiche di ricerca batterica coltura-indipendenti basate sull’individuazione del materiale genetico, l’ipotesi della sterilità delle vie aeree sottoglottiche è stata smentita ed è fiorita ampia letteratura riguardo il microbioma polmonare, cioè l’insieme dei microbi e del loro materiale genetico ospitati nelle basse vie aeree e la loro interazione con l’ambiente. Gli studi finora disponibili sono andati a valutare le diversità a livello del microbioma tra soggetti sani e soggetti con BPCO, nella speranza di ricavare maggiori informazioni sulla patogenesi della malattia 24-29.
Il microbioma di pazienti con BPCO differisce dai soggetti sani e dai soggetti con altre patologie polmonari croniche quali fibrosi cistica e bronchiectasie non da fibrosi cistica.
È ormai chiaro che il microbioma di pazienti con BPCO differisce dai soggetti sani e dai soggetti con altre patologie polmonari croniche quali fibrosi cistica e bronchiectasie non da fibrosi cistica 24 30. Phyla comuni in pazienti affetti da BPCO sono Proteobacteria, Bacteroidetes, Actinobacteria e Firmicutes, e Pseudomonas, Streptococcus, Prevotella ed Haemophilus 24. In particolare, Sze et al. hanno esaminato il tessuto di 5 polmoni espiantati da pazienti BPCO stadio GOLD IV e di 4 donatori senza BPCO (controlli) 31: i polmoni dei pazienti con BPCO presentavano una riduzione della diversità microbica associata ad un più alto grado di rimodellamento alveolare e bronchiolare, distruzione enfisematosa ed infiltrazione di linfociti T CD4+. Dati contrastanti sono invece stati riportati da uno studio di Pragman et al. che ha mostrato un aumento della diversità del microbioma in pazienti con BPCO moderata-severa rispetto ai controlli sani 26. Anche riguardo ai phyla batterici più rappresentati nelle fasi avanzate di BPCO rispetto ai controlli non esiste al momento uniformità in letteratura, poiché alcuni studi hanno riscontrato una maggior espansione dei phyla Proteobacteria (in particolare Haemophilus influenzae) 24 31 e in minor misura Actinobacteria, altri studi hanno indicato una prevalenza dei Firmicutes 26.
Per quanto riguarda i cambiamenti del microbioma nei diversi stadi di severità di malattia, Galliana et al. e Garcia-Nuñez et al. hanno mostrato una progressiva riduzione della diversità delle specie microbiche ed un incremento della colonizzazione da parte di batteri potenzialmente patogeni con l’aumentare della severità della BPCO 28 32.
È stata mostrata una progressiva riduzione della diversità delle specie microbiche ed un incremento della colonizzazione da parte di batteri potenzialmente patogeni con l’aumentare della severità della BPCO.
Tuttavia, due importanti limitazioni vanno segnalate riguardo agli studi precedentemente citati: la paucità dei soggetti analizzati (19 nello studio di Galliana e 17 nello studio di Garcia-Nunez) che rendono difficile una generalizzazione dei risultati, ed il campione su cui è stata fatta l’analisi del microbioma; l’espettorato infatti risente, per definizione, della contaminazione delle vie aeree superiori e potrebbe quindi non essere uno specchio fedele del microbioma sottoglottico.
Un ulteriore passo avanti è stato fatto da Millares et al. che hanno valutato l’impatto di un batterio altamente patogeno quale lo Pseudomonas aeruginosa sulla composizione del microbioma in pazienti con BPCO 27. Sorprendentemente, le caratteristiche delle altre comunità batteriche non differivano tra i pazienti portatori e non portatori di P. aeruginosa.
Nello scenario sopradescritto non è ancora ben chiaro quale possa essere l’azione dei macrolidi a lungo termine. L’effetto antinfiammatorio ed immunomodulatore sembra agire sulla prevenzione delle riacutizzazioni che hanno un ruolo importante nella progressione della malattia 33. Viceversa l’azione antibiotica, soprattutto se applicata a lungo termine, potrebbe favorire, come già visto, la selezione di batteri resistenti e ridurre la diversità della flora microbica, riducendo la carica di alcuni phyla. Un recentissimo RCT è andato a valutare l’effetto dell’azitromicina sul microbioma polmonare e i metaboliti batterici 34. Gli Autori hanno randomizzato 20 pazienti fumatori con enfisema ad assumere azitromicina 250 mg/die vs placebo per 8 settimane. Nel lavaggio broncoalveolare (BAL) dei pazienti trattati, l’azitromicina non ha ridotto la carica batterica complessiva, ma ha ridotto il numero di specie batteriche presenti, anche se nessuno dei taxa ridotti era un patogeno polmonare classico.
È molto significativo il fatto che nei soggetti trattati con azitromicina si sia osservato un aumento di metaboliti microbici con potenziale effetto antinfiammatorio e una riduzione di citochine pro-infiammatorie, quali TNF-α e IL-12.
Sebbene gli Autori non abbiano quindi individuato delle sostanziali modifiche nella composizione del microbiota indotte da azitromicina, è invece molto significativo il fatto che nei soggetti trattati con azitromicina si sia osservato un aumento di metaboliti microbici con potenziale effetto antinfiammatorio e una riduzione di citochine pro-infiammatorie, quali TNF-α e IL-12.
Proprio in conseguenza della continua pubblicazione di studi che gettano nuova luce sul ruolo del microbioma nella genesi ed evoluzione della BPCO, è auspicabile che ulteriori ricerche vengano condotte sull’azione che i macrolidi a lungo termine e basso dosaggio svolgono sulla composizione del microbioma stesso e sull’interazione di quest’ultimo con il microambiente polmonare ed il sistema immunitario.
Macrolidi di nuova concezione
In più malattie polmonari croniche, tra cui la BPCO, si assiste ad un incremento del numero di cellule bronchiali apoptotiche e ad un’alterata clearance delle stesse da parte dei macrofagi. Questo materiale non “clearato” dai macrofagi va secondariamente incontro a fenomeni di necrosi con effetto proinfiammatorio. Inoltre nella BPCO si osserva anche una difettosa fagocitosi di ceppi non tipizzabili di H. influenzae (Nontypeable Haemophilus influenzae, NTHi). Plurimi report hanno dimostrato l’attività antinfiammatoria dei macrolidi e la loro efficacia nel migliorare le capacità fagocitiche dei macrofagi 8-10. Tuttavia, come già ricordato in precedenza, l’uso prolungato di macrolidi, seppur a basse dosi, può portare a comparsa di antibiotico-resistenze. Proprio per tale motivo nuovi classi di macrolidi con ridotta o nulla attività antibatterica sono state sviluppate e testate in diversi studi.
Tra i primi Autori a valutare l’efficacia di macrolidi di nuova generazione troviamo Hodge et al. che hanno osservato come due nuovi composti, GS-459755 (2’-desoxy-9-(S)-erythromycylamine) e GS-560660 (azithromycin-based 2’-desoxy molecule), con una ridotta attività antibiotica contro S. aureus, S. pneumonia, M. catarrhalis, e H. influenzae, si dimostrino efficaci nel ridurre l’infiammazione delle vie aeree senza indurre resistenza batterica 35. Infatti, in vitro, i nuovi composti aumentano le capacità fagocitiche dei macrofagi nei confronti delle cellule apoptotiche e di NTHi, contemporaneamente alla riduzione del marker infiammatorio IL-1β e dell’inflammasoma NLRP3 (complesso oligomerico ad attività pro-infiammatoria che media il rilascio di IL-1β) 35.
Anche il macrolide non antibiotico a 12 termini, (8R,9S)-8,9-dihydro-6,9-epoxy-8,9-anhydropseudoerythromycin A (EM900), valutato da Sugawara et al. sembra essere promettente così come il suo derivato EM939 36. Questi composti infatti si sono dimostrati in grado di promuovere la differenziazione dei macrofagi e dei monociti, indice di effetto immunomodulatore, in assenza di attività antibatterica. EM900 inoltre si è dimostrato in grado di ridurre l’espressione di citochine pro-infiammatorie come IL-1β, IL8 e cachexina 36.
Il composto EM900 è stato successivamente studiato dal gruppo di Lusamba per valutarne l’efficacia in termini di inibizione dell’infezione da Rhinovirus tipo 14 37. È stato osservato come i Rhinovirus siano tra i maggiori trigger delle riacutizzazioni di BPCO e l’infezione cellulare da parte del virus avvenga attraverso il legame e la destabilizzazione della molecola di adesione ICAM1 e l’alterata acidificazione endosomiale. Lusamba et al. hanno dimostrato che anche EM900, e non solo l’eritromicina, è in grado di inibire l’infezione delle cellule da parte dei Rhinovirus attraverso una ridotta espressione di ICAM1 e aumentando il pH endosomiale. L’inibizione dell’infezione virale è associata ad una riduzione dell’infiammazione delle vie aeree, dimostrata dalla diminuzione dei livelli di citochine infiammatorie che vengono prodotte in risposta all’infezione virale, tra cui IL-1β e IL-6, sia direttamente che attraverso la riduzione dell’espressione di NF-kB 37.
Infine, Balloy et al. hanno valutato gli effetti del derivato non antibiotico dell’azitromicina CSY0073 38. Diversamente dall’azitromicina, CSY0073 non mostra nessuna influenza sulla crescita di colture di P. aeruginosa o sul biofilm formato da P. aeruginosa (che viene invece parzialmente distrutto dall’azitromicina). Viceversa, in modo simile all’azitromicina, CSY0073 si è mostrato in grado di ridurre l’infiammazione in vivo come attestato dalla riduzione del 25% dei macrofagi e dei livelli di citochine pro-infiammatorie (IL-6, TNF-α) nel BAL di ratti stimolati con lipopolisaccaride batterico 38.
Tutti gli studi sopra citati mettono in evidenza promettenti risultati in vitro o su modelli animali, tuttavia sono necessari studi su modelli umani per verificare la loro effettiva azione terapeutica.
Verso una medicina personalizzata: quali fenotipi potrebbero maggiormente beneficiare dei macrolidi?
Le più recenti linee guida GOLD 2017 39 ed il tentativo di rendere più personalizzato l’approccio terapeutico al paziente hanno fatto sviluppare negli ultimi anni diversi tentativi di fenotipizzazione della malattia 40 41. Un fenotipo è composto da tratti e caratteristiche che permettono di identificare gruppi omogenei di pazienti che condividono outcome simili e clinicamente significativi (per esempio sintomi, numero di esacerbazioni e caratteristiche di progressione della malattia), e pertanto possono potenzialmente beneficiare di interventi terapeutici simili 42.
Il fenotipo frequente riacutizzatore è sicuramente quello che più potrebbe giovare dall’utilizzo della terapia con macrolidi a lungo termine.
I fenotipi di BPCO ad oggi più utilizzati e validati in letteratura sono il fenotipo enfisematoso, il fenotipo frequente riacutizzatore, il fenotipo overlap asma-BPCO e overlap BPCO-bronchiettasie 40 41.
ll fenotipo frequente riacutizzatore è sicuramente quello che più potrebbe giovare dall’utilizzo della terapia con macrolidi a lungo termine.
Dato il ruolo ormai accertato che i macrolidi svolgono sia sulle cellule del sistema immunitario (es. macrofagi alveolari e neutrofili), sia sui batteri che compongono il microbioma, in futuro la capacità di fenotipizzare ed endotipizzare in maniera più specifica sia il tipo di infiammazione sia le caratteristiche del microbioma dei pazienti con BPCO potrebbe permettere di selezionare ancora meglio coloro che beneficeranno dall’utilizzo di questa terapia.
Conclusioni
Se ormai diversi RCT hanno dimostrato un’effettiva efficacia dei macrolidi nel ridurre il numero di riacutizzazioni nei pazienti con BPCO frequenti riacutizzatori, tuttavia ancora molti quesiti restano irrisolti, tra questi: la durata ed il dosaggio ottimali della terapia, i meccanismi d’azione e la reale incidenza, nonché l’impatto dei possibili effetti collaterali della terapia, per esempio l’aumento dell’antibiotico-resistenza. Inoltre, anche se dagli studi disponibili finora l’azitromicina sembra il macrolide di scelta per effettuare un trattamento a basso dosaggio ed a lungo termine, tuttavia sono ancora semi-sconosciute le potenzialità dei nuovi composti a solo effetto antinfiammatorio.
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