Articolo di revisione
Pubblicato: 2019-12-01

Dall’endoscopia toracica alla pneumologia interventistica: la storia di un’affascinante avventura

Malattie dell’Apparato Respiratorio, Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica, Università Politecnica delle Marche, SOD Pneumologia, Azienda Ospedali Riuniti, Ancona
Endoscopia toracica Pneumologia Interventistica Broncoscopia Toracoscopia Ecografia bronchiale

Abstract

La Pneumologia Interventistica si è affermata come un settore portante ed essenziale della specialità pneumologica. Per giungere al livello di tecnologia sofisticata ed avanzata che caratterizza oggi le metodiche di Pneumologia Interventistica, è stato necessario più di un secolo di storia ricco di innovazioni e intuizioni che, di pari passo allo sviluppo tecnologico che ha permeato tutto il 1900 e i primi anni del 2000, hanno consentito di realizzare una serie di metodiche che ha notevolmente ampliato il campo di intervento delle procedure interventistiche, oggi indispensabili presidi nel percorso diagnostico e terapeutico di gran parte delle patologie respiratorie. Scopo di questa revisione è quello di percorrere la storia della Pneumologia Interventistica, dalle sue origini al giorno d’oggi, dalla nascita dell’endoscopia toracica all’avvento della Pneumologia Interventistica, sottolineandone i momenti più rilevanti, collocandoli nel giusto contesto storico ed evidenziandone il significato in termini di implicazioni cliniche e risvolti pratici per la nostra specialità.

Introduzione

Le metodiche di Pneumologia Interventistica, grazie alle innovazioni tecnologiche che negli ultimi decenni ne hanno aumentato le possibilità diagnostiche e terapeutiche, hanno assunto un ruolo primario nei percorsi diagnostico-terapeutici della maggior parte delle patologie respiratorie.

Il cancro del polmone, le lesioni polmonari periferiche, i processi espansivi del mediastino, le malattie infiammatorie del polmone, le pneumopatie infiltrative diffuse, le lesioni ostruenti le vie aeree, le pleuropatie neoplastiche e non, lo pneumotorace, l’empiema pleurico, sono tutte condizioni che non possono essere gestite in modo ottimale senza l’utilizzo delle metodiche interventistiche. La Pneumologia Interventistica si è quindi affermata come un settore portante ed essenziale della specialità pneumologica.

Per giungere a questo livello di rilevanza con l’applicazione all’esplorazione endoscopica di tecnologie avanzate e sofisticate, la Pneumologia Interventistica ha richiesto più di un secolo di storia in cui è stato determinante il contributo di alcuni colleghi che grazie alle loro intuizioni e al loro lavoro hanno introdotto nuove metodiche e innovazioni, scrivendo le pagine di questa affascinante avventura.

La storia della Pneumologia Interventistica può essere raccontata come un viaggio coinvolgente attraverso gli anni, un percorso fatto di “pionieri” e di nuove idee nel corso del quale, di pari passo ai progressi tecnologici della società civile che hanno caratterizzato lo scorso secolo ed i primi due decenni del 2000, si è evoluta questa branca della Pneumologia.

Ho avuto la fortuna di vivere molti dei momenti che hanno segnato lo sviluppo della Pneumologia Interventistica e ritengo utile raccontare questa storia sottolineandone i punti salienti, facendone conoscere i protagonisti e allo stesso tempo riassumendo le possibilità di cui oggi disponiamo e i possibili scenari futuri con cui si dovranno confrontare gli Pneumologi di domani. Per i miei coetanei un ricordo di momenti esaltanti nella nostra vita lavorativa, per i più giovani un racconto da cui possano trarre insegnamenti ed entusiasmo per poter proseguire in futuro e scrivere il seguito di questa storia.

Le origini

Sebbene alcuni tentativi di condurre la luce nelle cavità del corpo umano e di esplorare direttamente l’area laringea e sottoglottica con sistemi di specchi o speculi siano stati effettuati sin dai primi anni del 1800 1 2 e l’ispezione dell’esofago con un tubo rigido sia stata eseguita nel 1867 da Kussmaul 2, la storia della broncoscopia inizia nel 1897 quando Gustav Killian (Figura 1A), un otoiatra tedesco, dopo alcune esperienze su pazienti tracheostomizzati e su cadaveri, con l’utilizzo di un esofagoscopio rimosse in anestesia locale un osso di maiale dal bronco principale destro di un paziente.

Killian si rese conto dell’importanza di tale metodica (subito dopo scrisse: “I think I have made an important discovery”) e, dopo aver eseguito ulteriori rimozioni di corpi estranei, presentò la tecnica, che chiamò “direkte brochoskopie”, al “6° Congresso della Society of South German Laryngologists” ad Heidelberg nel 1898 3. È interessante notare come, con straordinaria preveggenza, lo stesso Killian ebbe a scrivere: “Il significato pratico della broncoscopia diretta non può essere valutato appieno in questo momento. Io spero che, a parte la rimozione dei corpi estranei e le malattie dei bronchi, questa tecnica possa in futuro essere utile anche per la diagnosi e la terapia delle malattie del polmone4, proferendo un auspicio che effettivamente si è realizzato.

È curioso osservare che quasi contemporaneamente (13 anni dopo) nasceva un’altra delle metodiche portanti della Pneumologia Interventistica: la toracoscopia. Nel 1910 un internista svedese, Hans Christian Jacobaeus (Figura 1B), pubblicò in lingua tedesca un lavoro in cui dimostrava la possibilità di esplorare con l’utilizzo di un cistoscopio le cavità sierose (cavo pleurico e addominale) dando l’avvio non solo alla toracoscopia, ma anche alla laparoscopia 5. L’anno successivo Jacobaeus riportò nella stessa rivista un’ampia esperienza di 45 laparoscopie e 27 toracoscopie, tutte effettuate a scopo diagnostico, descrivendo nel contempo per la prima volta l’anatomia della cavità pleurica normale 6. In quegli stessi anni veniva ufficializzata la tecnica dello pneumotorace terapeutico per il trattamento della tubercolosi, presentata da Forlanini al “7° Congresso Internazionale sulla Tubercolosi” che ebbe luogo a Roma nel 1912. Jacobaeus si rese conto che la sua tecnica poteva essere impiegata anche a scopi terapeutici per la lisi delle aderenze che impedivano il completo collasso del polmone e pubblicò alcuni casi in cui tale intervento, che poi prese il suo nome (intervento di Jacobaeus), determinò il successo dello pneumotorace 7.

Tornando alla broncoscopia, dopo l’introduzione della metodica da parte di Killian, la tecnica si diffuse in alcuni centri europei, ma dovettero passare 10 anni perché approdasse oltroceano (a quei tempi non c’erano viaggi in aereo e internet, per cui anche le realizzazioni scientifiche impiegavano molto tempo per diffondersi ed essere conosciute). Nel 1907 Killian fu invitato dalla Società Americana di Otorinolaringologia negli Stati Uniti dove tenne diverse letture e dove a Pittsburg incontrò Chevalier Jackson (otoiatra dell’Università della Pennsylvania, considerato il padre della broncoesofagologia americana) che acquisì la metodica, ideò una serie di accessori per la rimozione dei corpi estranei e, soprattutto, migliorò la visualizzazione delle vie aeree proponendo il posizionamento di un bulbo luminoso all’estremità distale del broncoscopio 8.

Il periodo bellico e post-bellico

Negli anni compresi tra la prima e la seconda guerra mondiale e nel periodo immediatamente successivo (anni ’50) la nostra storia ha un periodo di pausa, essendo poche le innovazioni registrate. Comunque la broncoscopia e la toracoscopia si diffusero sia in diversi centri europei che statunitensi ed anche in Giappone, dove Inokichi Kubo effettuò la prima broncoscopia e dove Joe Ono fondò la Società Giapponese di Broncoesofagologia nel 1949. Anche in Italia alcuni pionieri iniziarono ad applicare le metodiche endoscopiche. Inizialmente la broncoscopia rigida fu nel nostro paese prevalentemente effettuata da specialisti otoiatri mentre per la toracoscopia va ricordata l’opera pionieristica di Felice Cova, dell’Ospedale Sanatoriale di Garbagnate, ricordato come il “Paganini della Toracoscopia”, che pubblicò dapprima nel 1927 un libro dal titolo Toracoscopia. L’operazione di Jacobaeus 9 e successivamente, nel 1928, un bellissimo atlante, Atlas Thoracoscopicon (Figura 1C) con 50 immagini in tricromia e una introduzione scritta dallo stesso Jacobaeus 10.

Gli anni ’50 e gli anni ’60

Gli anni ’50 e gli anni ’60, superate le disastrose conseguenze del periodo bellico, furono caratterizzati da una imponente crescita economica, dallo sviluppo di nuove idee e di nuove tecnologie che cambiarono radicalmente il modo di vivere. Solo per citare alcuni riferimenti che possono far inquadrare il periodo, nel 1951 viene trasmesso per la prima volta in Italia il Festival di Sanremo via radio, nel 1954 la RAI inizia la trasmissione dei programmi televisivi in bianco e nero, nel 1957 inizia la corsa allo spazio con il lancio del primo satellite sovietico (Sputnik 1) seguito dopo un mese dal lancio nello spazio del primo essere vivente (la cagnetta Laika), nel 1961 l’astronauta sovietico Jury Gagarin è il primo uomo a compiere un volo spaziale, nel 1962 viene pubblicato il primo disco dei Beatles Love me do, nel 1964 l’inglese Mary Quant inventa la minigonna, nel 1965 inizia con l’invasione americana la guerra nel Vietnam e nello stesso anno l’Olivetti mette a punto il primo personal computer, nel 1968 scoppia la “primavera di Praga”, negli Stati Uniti esplode il fenomeno hippy e la contestazione studentesca dilaga in tutta Europa, nel 1969 l’uomo mette piede sulla luna.

Nel campo della broncoscopia bisogna ricordare un lavoro che aprì la strada all’uso del broncoscopio nell’approccio bioptico alle patologie polmonari diffuse. Nel 1965 Andresen e coll., della Mayo Clinic di Rochester, si resero conto che inserendo le pinze bioptiche attraverso un broncoscopio rigido nella periferia dell’albero bronchiale, i prelievi effettuati contenevano anche del parenchima polmonare.

Era nata la biopsia polmonare transbronchiale che poteva essere utilizzata per la diagnosi delle pneumopatie infiltrative diffuse 11. Mi fa piacere menzionare un lavoro su questa tecnica uscito pochi anni dopo, nel 1968, pubblicato da due Maestri italiani della broncoscopia, Benito Leoncini (che fu anche Presidente AIPO) e Renato Palatresi, a dimostrazione che la broncoscopia italiana sin dagli anni ’60 è sempre stata all’avanguardia ed attenta alle innovazioni. Nello stesso periodo il gruppo giapponese di Tsuboi dimostrava la possibilità di biopsiare per via transbronchiale carcinomi polmonari periferici sotto guida fluoroscopica, metodica tuttora valida ed attuale 13.

I tempi erano però maturi e la tecnologia pronta affinché nella nostra storia avvenisse un cambiamento epocale destinato a modificare radicalmente l’esplorazione endoscopica delle vie aeree. Nel 1967 Shigeto Ikeda (Figura 2A), del National Cancer Center di Tokyo, presentò il primo broncofibroscopio flessibile. La possibilità di spingere l’esplorazione più in periferia, nei bronchi segmentari e subsegmentari, la migliore tolleranza dell’indagine e la maggiore sicurezza resero rapidamente la broncoscopia flessibile il nuovo standard diagnostico per lo studio dell’albero tracheobronchiale. La metodica rapidamente si diffuse in tutto il mondo, aprendo altresì la porta ad una serie vastissima di tecniche ancillari che sarebbero sopraggiunte negli anni seguenti. Sulle ali dell’entusiasmo di questa straordinaria innovazione, Ikeda ebbe anche il merito di fondare la World Association for Bronchology (WAB) (oggi World Association for Bronchology and Interventional Pulmonology, WABIP) e di cominciare l’organizzazione biennale dei Congressi Mondiali di questa Società che per ben 2 volte (nel 1984 a Roma e nel 2016 a Firenze con il supporto prezioso di AIPO Ricerche) sono stati ospitati in Italia. La passione di Ikeda, scomparso nel 2001, si recepisce da quello che era il suo motto “never give-up” (“non mollare mai”) e da quanto egli stesso scrisse nella sua autobiografia: “I hope that I should try to live as long as possible without any fear for the death, with the best understanding of my clinical condition and should do as much work as I can do for the public”. L’amore di Shigeto Ikeda per la broncologia e per la Società da lui creata è testimoniato dalla sua tomba che riporta nella lapide il simbolo della WAB e nella quale è custodito un broncoscopio (Figura 2B).

Gli anni ’70 e gli anni ’80

Gli anni ’70 sono caratterizzati dall’introduzione di una metodica che ha fatto sognare gli pneumologi: il lavaggio bronco-alveolare (BAL).

In un lavoro del 1974 15 Reynolds dimostrò che instillando soluzione fisiologica attraverso il broncoscopio incuneato in un bronco segmentario e riaspirando il liquido, l’analisi del liquido stesso mostrava componenti cellulari, proteine e altri soluti che riflettevano il microambiente del polmone profondo. Ero allora giovane assistente della Pneumologia di Ancona e ricordo l’entusiasmo che si creò attorno a questa metodica poco invasiva e sostanzialmente priva di rischi, con la speranza che, individuando marker specifici, il BAL potesse diventare un metodo per diagnosticare molteplici patologie del parenchima polmonare. Sebbene questo entusiasmo si sia progressivamente spento con l’evidenza in studi successivi che non tutte le patologie polmonari fornivano elementi diagnostici probanti, il BAL rimane a tutt’oggi una metodica ampiamente utilizzata, in grado di fornire diagnosi specifiche in un discreto numero di patologie (infezioni, proteinosi alveolare, emorragie alveolari, neoplasie, asbestosi, polmonite eosinofila, istiocitosi X, danno alveolare diffuso) e di essere di supporto ad alcune altre diagnosi nel giusto contesto clinico-radiologico (sarcoidosi, polmoniti da ipersensibilità, polmonite organizzativa criptogenetica, alcune patologie polmonari indotte da farmaci).

Gli anni ’80, se da un lato vedono eventi tragici nella vita civile (la strage della stazione di Bologna, il terremoto dell’Irpinia, la strage dello stadio Heysel di Bruxelles, l’attentato a Giovanni Paolo II, la repressione della protesta pacifica a Piazza Tienamen a Pechino) dall’altro sono forieri di eventi di grande rilevanza storico-politica (la caduta del muro di Berlino nel 1989) e di straordinari sviluppi tecnologici, in particolare nel campo dell’informatica (basti pensare che nel 1984 fa la sua comparsa il primo Macintosh e che la Microsoft rilascia la prima versione di Windows, aprendo le porte alla diffusione degli home e dei personal computer).

Negli anni ’80 la nostra storia si arricchisce di importanti innovazioni che aprono nuovi orizzonti sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico. Nel 1983 Ko Pen Wang, della Hopkins University di Baltimora (Figura 2C), introduce la tecnica della agoaspirazione transbronchiale (TBNA) 16 17. L’esplorazione broncoscopica apre i suoi confini alle lesioni situate nel distretto ilo mediastinico, al di fuori delle pareti tracheobronchiali. Wang pubblica una serie di lavori dimostrando la sicurezza della metodica, l’elevata sensibilità diagnostica (successive metanalisi dimostreranno che la TBNA può arrivare ad un’accuratezza del 78-85%) e la sua imprescindibile utilità nella stadiazione del parametro N nel cancro del polmone. Inserendo con l’appropriata tecnica un ago attraverso la parete tracheobronchiale è infatti possibile raggiungere tutte le stazioni linfonodali ilo-mediastiniche a contatto con le vie aeree. La broncoscopia si trasforma da metodica prevalentemente diagnostica a metodica diagnostica e stadiativa.

Il lavoro di Wang assume inoltre un rilievo storico in quanto pone le basi e le conoscenze per gli sviluppi che negli anni successivi vedranno il perfezionamento della metodica con l’ausilio della guida ecosonografica.

Sempre negli anni ’80 si assiste anche ad un grande progresso nel campo della broncoscopia terapeutica. Jean Francois Dumon (Marsiglia) (Figura 3) pubblica il primo lavoro sull’impiego del laser in broncologia 18. L’energia termica sviluppata dal raggio laser condotto attraverso una fibra flessibile può coagulare e necrotizzare il tessuto patologico (neoplastico e non) all’interno delle vie aeree e consentire la ricanalizzazione dell’albero tracheobronchiale. La broncoscopia terapeutica, che negli anni precedenti si avvaleva prevalentemente della resezione meccanica con l’utilizzo del broncoscopio rigido, si arricchisce di uno strumento che ne aumenta le potenzialità e la sicurezza e diviene metodica essenziale nella palliazione del cancro broncogeno ostruente e nella terapia di alcune patologie non neoplastiche determinanti stenosi delle vie aeree. Uno dei meriti di Dumon è stato quello di fornire le indicazioni per l’impiego corretto del laser in associazione alla resezione meccanica con broncoscopio rigido e di dare vita ad una serie di iniziative educazionali (numerosi corsi organizzati a Marsiglia) che hanno consentito la diffusione della metodica. Tra i primi allievi di Jean Francois Dumon vanno ricordati Pablo Diaz Jimenez (Barcellona) e il nostro Sergio Cavaliere (Brescia) che ha portato il laser in Italia e che è stato Maestro di tutti gli Pneumologi italiani che successivamente si sono dedicati a questa tecnica. Non va dimenticato inoltre che la diffusione della broncoscopia terapeutica laser-assistita e le indicazioni pratiche scaturite dal suo utilizzo hanno favorito anche la riscoperta, il riutilizzo e la rivalorizzazione di metodiche disostruenti già note, ma scarsamento impiegate, come l’elettrocauterio e la crioterapia.

Gli anni ’80 devono essere ricordati anche per un’altra innovazione tecnologica che ha notevolmente migliorato la qualità delle immagini broncoscopiche: l’avvento del videobroncoscopio. Nel 1987 lo stesso Shigeto Ikeda, padre del broncofibroscopio flessibile, e Ryosuke Ono mettono a punto uno strumento flessibile in cui le fibre ottiche sono sostituite da un sensore video (CCD: Charge-Couple Device) posto sulla punta dello strumento. Questa innovazione non solo ha migliorato enormemente la qualità e la definizione delle immagini broncoscopiche, ma ha anche consentito di sfruttare i vantaggi della tecnologia video per la registrazione di immagini e filmati a fini didattici e di archiviazione.

Anni ’90

Gli anni ’90 (dominati in campo politico dalla grave crisi Jugoslava con la guerra che coinvolge Serbia, Croazia ed Erzegovina e in campo tecnologico dalla esplosione della telefonia cellulare), nella storia della broncoscopia vedono, nel loro inizio, ancora protagonista Jean Francois Dumon che nel 1990 introdusse nella pratica clinica un modello di protesi tracheobronchiale al silicone che, grazie alla sua flessibilità e tolleranza, sarebbe divenuta la più utilizzata al mondo e che a tutt’oggi costituisce il gold standard degli stent delle vie aeree 20. In precedenza, nei casi in cui la stenosi tracheobronchiale era sostenuta da compressione estrinseca, da infiltrazione della parete o da perdita del supporto cartilagineo, erano usati presidi protesici in metallo con incidenza di complicanze notevolmente elevata.

Negli anni ’90 ricompare prepotentemente nella nostra storia la toracoscopia. L’avevamo lasciata nel periodo bellico e postbellico come metodica di grande utilità, ma il cui utilizzo era limitato ad alcuni centri prevalentemente europei. Nel 1995 Christian Boutin (Marsiglia) (Figura 4A), conia il termine di “Toracoscopia Medica” e, standardizzandone la tecnica, definendone le indicazioni, le possibilità e i limiti, rilancia la metodica come strumento essenziale del bagaglio di competenze dello Pneumologo. Grazie alla pubblicazione di molteplici lavori, di libri di testo (Figura 4B) e alla organizzazione di numerosi corsi teorico-pratici a Marsiglia, Boutin dà origine ad una Scuola internazionale che ha avuto il merito di diffondere la toracoscopia in tutto il mondo. Tra i suoi allievi più illustri, per ricordare come la Pneumologia Interventistica italiana si sia sempre distinta a livello internazionale, dobbiamo menzionare Gianfranco Tassi (Brescia) che si è dedicato con passione allo studio della pleura e che, organizzando numerosi Corsi prima ad Esine e poi a Brescia, è divenuto il Maestro e il punto di riferimento di tutti gli Pneumologi italiani che hanno iniziato a praticare la toracoscopia.

Ma gli anni ’90 non hanno finito di stupirci. Nella storia della broncoscopia compaiono infatti gli ultrasuoni, altra innovazione tecnologica destinata a rivoluzionare il mondo della Pneumologia Interventistica. Nel 1996 Heinrich Becker (Heidelberg) (Figura 4C) pubblica il primo lavoro sull’uso dell’ecografia transbronchiale e viene introdotto l’acronimo di EBUS (EndoBronchial UltraSound).

Si tratta di una sonda ecografica radiale ruotante (Figura 4D) che, posizionata all’interno di un palloncino ripieno di acqua onde eliminare gli artefatti dovuti all’aria presente nelle vie aeree, consente la visualizzazione a 360° della parete tracheobronchiale e delle strutture circostanti. È il primo passo verso l’avvento dell’ecobroncoscopio che sarà prodotto alcuni anni dopo. Sebbene siano stati fatti tentativi di prelievo con agoaspirato dei linfonodi mediastinici sulla guida delle informazioni ecografiche fornite da questa sonda 24, l’EBUS radiale non consente la visualizzazione dell’ago in tempo reale. Il suo utilizzo, oggi limitato dalla successiva introduzione dell’ecobroncoscopio, può avere un valore prevalentemente stadiativo, consentendo di definire la profondità dell’invasione neoplastica nella parete e quindi valutare se un carcinoma è in situ o assume caratteri invasivi (lo stesso Becker descrive la struttura ecografica della parete bronchiale normale in 7 strati) 25 oppure di stabilire l’eventuale interessamento infiltrativo di strutture vascolari.

Sempre negli anni ’90 fa la comparsa nella nostra storia la broncoscopia ad autofluorescenza. Un ricercatore della British Columbia University di Vancouver (Canada), Stephen Lam, basandosi sul principio che la fluorescenza (capacità di un oggetto di assorbire luce incidente ed emettere luce di diversa lunghezza d’onda) del tessuto neoplastico è diversa da quella del tessuto normale, propose nel 1993 una tecnologia in grado di illuminare la superficie delle vie aeree con una luce blu (442 nm) prodotta da un laser ad elio-cadmio e a rilevare, grazie a processi di trasformazione matematica e amplificazione, la luce riflessa nel campo del rosso e del verde, differente nel tessuto patologico e in quello normale. Nel primo lavoro Lam riportò una capacità della broncoscopia ad autofluorescenza nell’identificazione della displasia severa e del carcinoma in situ superiore del 50% rispetto alla broncoscopia tradizionale a luce bianca 26 27. Sulla base di questi dati preliminari si accese un grande entusiasmo: la possibilità per la broncoscopia di effettuare la diagnosi del cancro in fase preinvasiva e quindi potenzialmente curabile portò diverse importanti aziende del settore a produrre, seppur con diverse tecnologie, broncoscopi ad autofluorescenza (Pentax, Olympus, Storz, Wolf) e stimolò numerosi lavori che confermarono la maggior sensibilità di questa tecnica nella individuazione del cancro in situ e delle lesioni precancerose, ma evidenziarono altresì uno dei limiti principali dell’autofluorescenza che è la bassa specificità (una colorazione patologica si osservava anche in lesioni infiammatorie, in aree iperemiche, in zone fibrotiche). Questo limite, assieme alle modificazioni epidemiologiche che hanno visto negli ultimi anni un aumento di incidenza dell’adenocarcinoma, divenuto l’istotipo più frequente del cancro del polmone (i lavori sull’autofluorescenza erano basati sull’identificazione di forme precoci del carcinoma squamocellulare), e nel contempo al progresso della qualità della broncoscopia a luce bianca (videoscopi, broncoscopi ad alta risoluzione) ha ridimensionato il valore della broncoscopia ad autofluorescenza, che è divenuta oggi metodica pressoché abbandonata nella pratica clinica.

Dal 2000 ai giorni d’oggi

Gli inizi degli anni 2000 vedono eventi drammatici (uno tra tutti l’attentato alle Torri Gemelle a New York a cui farà seguito una serie tremenda di attentati in diverse Nazioni), ma anche uno straordinario balzo in avanti della tecnologia che cambierà in modo radicale il nostro modo di vivere e lavorare: la diffusione domiciliare di Internet e la presentazione da parte di Apple del primo iPhone (2007), che aprirà la strada al mondo degli smartphone.

Nella nostra storia gli anni 2000 non iniziano con una innovazione tecnologica, bensì con una novità lessicale che assumerà un rilievo straordinario per la Pneumologia. Luis Seijo (Madrid) pubblica sul New England Journal of Medicine un articolo di revisione dal titolo Interventional Pulmonology 28, introducendo una definizione che sarà subito recepita ed acquisita da tutte le Società pneumologiche internazionali.

La European Respiratory Society cambia il nome del suo gruppo di studio “Endoscopy and biopsy techniques” in “Interventional Pulmonology”, la World Association for Bronchology e la European Association for Bronchology cambiano la loro denominazione rispettivamente in World Association for Bronchology and Interventional Pulmonology (WABIP) e European Association for Bronchology and Interventional Pulmonology (EABIP). Anche la nostra AIPO si allinea modificando il nome del gruppo di studio “Endoscopia Toracica” in “Pneumologia Interventistica”. Le più prestigiose Società Scientifiche Pneumologiche pubblicheranno negli anni immediatamente seguenti documenti e linee guida sulle procedure di Pneumologia Interventistica 29 30, definita come “l’arte e la scienza della medicina correlata all’esecuzione di procedure diagnostiche e terapeutiche invasive che richiedono una formazione ed un’esperienza aggiuntive rispetto a quelle normalmente previste da un programma educazionale standard in Pneumologia” 30. La principale motivazione che rende importante questa nuova terminologia è che la definizione di Pneumologia Interventistica evidenzia la competenza pneumologica che deve essere alla base delle procedure, sottolinea il ruolo dello Pneumologo come figura specialistica alla cui capacità è demandata la effettuazione delle stesse ed enfatizza la piena appartenenza di questo settore di competenza alla specialità pneumologica. Quest’ultimo concetto appare fondamentale nel ribadire come non si possa condurre una endoscopia ottimale senza che la procedura sia integrata in una valutazione globale del paziente e inserita nell’appropriato contesto clinico che solo una preparazione specialistica pneumologica può definire 31. Il passaggio dall’endoscopia toracica alla Pneumologia Interventistica si è realizzato!

Gli anni 2000 sono però forieri anche di una nuova tecnologia che, tra tutte le innovazioni introdotte in ambito broncoscopico, può essere ritenuta senza dubbio quella che ha maggiormente cambiato il nostro approccio all’endoscopia delle vie aeree: l’ecobroncoscopia.

La strada aperta da Becker con l’introduzione delle sonde ecografiche 23 si è incontrata con la TBNA di Wang 16 per dare origine ad uno strumento che unisse la possibilità di effettuare agoaspirati transbronchiali di lesioni situate al di fuori delle vie aeree sotto controllo ultrasonografico in tempo reale. Nel 2003 Mark Krasnik (Danimarca) (Figura 5A) pubblica su Thorax la prima esperienza con questo nuovo strumento broncoscopico, dotato in punta di una sonda ecografica lineare in grado di visualizzare nel contempo le strutture ilomediastiniche adiacenti alle vie aeree e l’ago che, inserito nel canale di lavoro dell’ecobroncoscopio, attraversa la parete tracheobronchiale e penetra nella lesione target. Nasceva l’EBUS-TBNA, metodica che già nei primi lavori degli anni seguenti prodotti da Kazimiro Yasufuku (Montreal) (Figura 5B) e Felix Herth (Heidelberg) (Figura 5C) 33 34 dimostrava le sue enormi potenzialità diagnostiche raggiungendo valori di sensibilità superiori al 90%, comparabili a quelli delle metodiche chirurgiche, indipendentemente dalla ubicazione e dalle dimensioni dei linfonodi campionati. L’enorme mole di lavori che si sono susseguiti (una ricerca su PubMed fatta nell’agosto 2019 digitando EBUS-TBNA ha dato esito a 1.002 risultati!) ha confermato l’insostituibile ruolo dell’EBUS-TBNA che si è ubiquitariamente diffusa ed è ormai raccomandata, in tutte le linee guida sul cancro del polmone, come metodica di primo impiego nella stadiazione del parametro N. Ma l’uso dell’EBUS-TBNA non si limita alla sola diagnosi dei linfonodi adiacenti all’albero tracheobronchiale. Nel 2009 Bin Hwangbo (Seul, Corea del Sud) dimostra che è possibile introdurre l’ecobroncoscopio in esofago per il campionamento di linfonodi non adiacenti alle vie aeree (stazioni 8 e 9) 35 36, aumentando ulteriormente la resa diagnostico-stadiativa della metodica. Nasce quella che oggi è definita con l’acronimo EUS-B-FNA (Endobronchial Ultrasound Fine Needle Aspiration con l’uso di un ecobroncoscopio) e agli Pneumologi si apre una nuova strada per lo studio della patologia toracica: l'esofago. Ma non finisce qui, perché l’ecoendoscopio può essere impiegato per la diagnosi di processi espansivi del polmone adiacenti alle vie aeree o all’esofago e, più recentemente, l’EUS-B-FNA si è rivelata metodica in grado di visualizzare e campionare anche metastasi epatiche e del surrene sinistro: la broncoscopia spinge le sue frontiere al di fuori del torace 37. Non bisogna infine dimenticare un altro impiego degli ultrasuoni, introdotto all’inizio degli anni 2000, con la realizzazione di minisonde ecografiche in grado di essere spinte nella periferia del polmone ed identificare lesioni del parenchima polmonare anche di piccole dimensioni 38. Tale tecnica costituisce una valida alternativa alla guida fluoroscopica per l’approccio bioptico transbronchiale ai noduli polmonari.

Gli anni 2000 sono anche caratterizzati dalla diffusione dei navigatori satellitari. Una tecnologia militare acquisita ed impiegata dalla società civile, tant’è che oggi circa il 50% delle autovetture nuove viene venduto con un navigatore installato e tutti gli smartphone ne sono dotati. Anche nella storia della broncoscopia nel 2006 fa la sua comparsa la navigazione. Non è satellitare, ma il concetto è analogo. Si basa sulla creazione attorno al paziente di un campo elettromagnetico grazie al quale è possibile localizzare una sonda inserita nelle vie aeree, attraverso il canale di lavoro del broncoscopio. Parimenti al navigatore satellitare, che una volta individuata la posizione dell’auto la proietta su una cartina stradale memorizzata su un CD, la localizzazione della sonda elettromagnetica viene proiettata sulla mappa fornita dalla TC del torace consentendo la navigazione endobronchiale guidata fino a lesioni periferiche identificate come target nella tomografia computerizzata. L’Autore del primo studio pilota 39 è Yehuda Schwarz, israeliano, ma il lavoro è stato condotto in collaborazione con Autori tedeschi e statunitensi. La broncoscopia con navigazione elettromagnetica sarà poi distribuita commercialmente e numerosi trial ne dimostreranno l’utilità non solo nella diagnosi delle lesioni polmonari periferiche, ma anche nel collocamento di marker fiduciari per la radioterapia e nella colorazione di noduli periferici, per facilitarne la localizzazione in previsione di interventi chirurgici ablativi.

Più recentemente la navigazione elettromagnetica si è arricchita di una innovazione ancora più sofisticata con l’avvento di una sistema (Spin System) in grado di guidare, con la stessa tecnologia, anche aghi per prelievi percutanei 40. Tale strumentazione consentirebbe di realizzare nello stesso tempo diagnostico e senza muovere il paziente dalla sala endoscopica l’integrazione tra l’approccio transbronchiale e quello percutaneo alle lesioni polmonari periferiche, integrazione da noi già auspicata fin dal 1995 41 42.

Nel 2009 fa la comparsa un’altra affascinante tecnologia prodotta da un’azienda francese, la microscopia confocale applicata alla broncoscopia. La metodica si basa su una sonda sottile con un fascio di fibre ottiche che può raggiungere il distretto alveolare e che conduce una luce laser (488 o 660 nm) la quale effettua scansioni eccitando l’autofluorescenza dell’elastina che compone le pareti alveolari e dei pigmenti all’interno dei macrofagi. L’immagine viene poi raccolta con un sistema di filtri e amplificatori e trasmessa su monitor, consentendo una risoluzione fino a 3 micron ed un campo di visione di 600 micron. I primi studi pilota su questa tecnica si devono a Luc Thieberville, dell’Università di Rouen 43. La microscopia confocale (anche detta “alveoloscopia”) deve ancora trovare una sua collocazione nella pratica clinica, ma interessanti studi sono in corso nella valutazione delle pneumopatie infiltrative diffuse, delle lesioni precancerose e nel rimodellamento delle vie aeree nelle broncopneumopatie croniche ostruttive.

Al pari della microscopia confocale, negli anni 2000 fa il suo ingresso nella nostra storia un’altra tecnologia che utilizza il broncoscopio per ottenere in vivo un ingrandimento a livello microscopico delle vie aeree: la tomografia a coerenza ottica (OCT) 44 45. L’OCT, analogamente all’ecografia, si basa sull’analisi degli echi riflessi dal tessuto ma anziché utilizzare onde sonore impiega onde luminose nel campo della luce infrarossa, consentendo di ottenere immagini con un range di risoluzione dai 5 ai 15 micron. Anche l’OCT deve ancora trovare una validazione e una diffusione nella pratica clinica, ma interessanti risultati in studi sperimentali si sono ottenuti ad esempio nella valutazione delle dimensioni delle vie aeree sia centrali che periferiche 46.

Nel campo della broncoscopia terapeutica, il principale argomento che ha pervaso e ha acceso gli entusiasmi della Pneumologia Interventistica nel decennio 2000-2010 e che ancora rimane tema di grande attualità è legato alle diverse proposte innovative per il trattamento broncoscopico dell’enfisema e per la terapia dell’asma. Fino ad alcuni decenni or sono l’enfisema severo e l’asma erano considerati come condizioni cliniche in cui la broncoscopia poteva costituire indagine ad alto rischio, mentre oggi le metodiche broncoscopiche sono addirittura menzionate dalle linee guida GOLD e GINA come possibili interventi terapeutici in pazienti selezionati.

Per quanto riguarda l’enfisema il concetto da cui hanno avuto origine le proposte di trattamento broncoscopico è quello della riduzione volumetrica, già negli anni ’90 proposto con metodiche chirurgiche. Una delle principali cause di dispnea nel paziente enfisematoso è l’iperinflazione polmonare che altera sfavorevolmente la dinamica respiratoria e appiattisce il diaframma riducendone la motilità. Lo studio NETT (National Emphysema Treatment Trial) 47 aveva dimostrato che, in soggetti con enfisema disomogeneo prevalente ai lobi superiori e bassa capacità di esercizio, la riduzione di volume chirurgica poteva portare a risultati favorevoli in termini di miglioramento funzionale e perfino di sopravvivenza. Le metodiche broncoscopiche nascono con il fine di cercare di ottenere gli stessi risultati della chirurgia riducendone i rischi ed i tempi di ospedalizzazione. Sulla base di studi pilota con valvole unidirezionali di prima generazione 48 sono fiorite una serie di tecniche (valvole unidirezionali, molle o coils, by-pass delle vie aeree, collanti, termoablazione con vapore) 49-53 la cui analisi dettagliata esula dagli scopi di questa revisione. Si può però affermare che, soprattutto per quanto riguarda le valvole unidirezionali, le evidenze scientifiche prodotte negli ultimi anni sono numerose e supportate da studi controllati e randomizzati che confermano la validità del trattamento broncoscopico in pazienti con cospicua iperinflazione polmonare (volume residuo > 170/180% del teorico).

Per quanto concerne invece la terapia dell’asma va menzionato l’avvento, nel 2006, della termoplastica bronchiale 54. Il principio alla base della termoplastica è quello di utilizzare, per via broncoscopica, un elettrodo a radiofrequenze che, erogando calore alla temperatura di 65°C, distrugge selettivamente le fibrocellule muscolari liscie, effettrici del broncospasmo, non arrecando danni alle strutture epiteliali della mucosa. Studi randomizzati e controllati 55 56 hanno validato la metodica, in grado di ridurre le riacutizzazioni, di ridurre gli accessi al Pronto Soccorso, l’utilizzo di medicazioni all’occorrenza, i giorni persi dal lavoro e quindi migliorando la qualità di vita dei pazienti affetti da asma persistente moderata/severa, non controllata con la terapia medica. Studi più recenti sulla termoplastica hanno evidenziato come l’effetto della metodica non sia limitato alle fibrocellule muscolari liscie, ma agisca anche tramite inferenze sulle terminazioni nervose e sui mediatori dell’infiammazione 57 58.

Siamo quasi arrivati alla fine della nostra storia, ma le innovazioni non sono finite.

Nel 2009 Jurgen Hetzel (Tubingen, Germania) (Figura 6A) ha una straordinaria intuizione: inserendo attraverso il broncoscopio nella periferia del polmone una criosonda (la crioterapia era già tra le tecniche terapeutiche in uso per la disostruzione bronchiale), l’effetto di congelamento creato fa aderire il tessuto polmonare alla sonda stessa che, se retratta, porta con sé un frammento bioptico di dimensioni notevolmente superiori (0,5-1 cm) a quelle ottenibili con una normale pinza bioptica (Figura 6B). Nasce la criobiopsia 59 con il vantaggio non solo di ottenere maggiore quantità di tessuto, ma anche di evitare artefatti da schiacciamento e di superare il principale limite della biopsia tradizionale che era quello di campionare solo l’area centrolobulare.

L’interesse ed il dibattito scientifico che si accende su questa metodica nel campo della diagnostica delle pneumopatie infiltrative diffuse è enorme. A ulteriore testimonianza della validità della Pneumologia Interventistica italiana nel panorama internazionale, bisogna ricordare i numerosi lavori scientifici ed un recentissimo libro di testo prodotti dal Presidente AIPO, Venerino Poletti e dal suo gruppo di lavoro, a testimoniare l’importante ruolo che la criobiopsia può assumere in questo campo di patologia 60-62. Al fine di standardizzare la tecnica di esecuzione della criobiopsia, che sebbene metodica sicura se non correttamente eseguita ed in mani non esperte può essere causa di severe complicanze, è stato recentemente pubblicato da parte di un gruppo di esperti un documento con raccomandazioni ed indicazioni per ottimizzare la resa diagnostica e la sicurezza della procedura 63.

Per concludere il panorama delle novità che caratterizzano la nostra storia non voglio tralasciare di menzionare come, nell’ultimo decennio, le tecniche di prelievo broncoscopiche siano state influenzate in maniera rilevante dai progressi della terapia oncologica che ha visto modificare il trattamento medico del cancro del polmone sulla base sia di una corretta definizione di istotipo (l’approccio chemioterapico cambia tra forme squamose e non squamose) 64 che di una valutazione molecolare di eventuali driver mutazionali presenti nelle cellule tumorali. Si è partiti nei primi anni del 2000 con la messa a punto di terapie target per le neoplasie con mutazione del recettore per le EGFR (Epidermal Growht Factor Receptor) 65 per poi dar seguito alla identificazione di una serie di caratteristiche mutazionali molecolari (traslocazione ALK, ROS, PD-L1) che hanno rilevanti ripercussioni sulle modalità di trattamento. Questo ha implicato la necessità di prelevare tessuto in quantità adeguata, affinché il patologo possa essere in grado di applicare tutte le metodiche indispensabili per una completa tipizzazione istologica e molecolare della neoplasia. Tale necessità ha comportato una vera rivoluzione nel modo di fare broncoscopia: mentre prima di queste conoscenze poche cellule in grado di diagnosticare genericamente un carcinoma non a piccole cellule potevano essere sufficienti per impostare un programma terapeutico, oggi la necessità di avere campioni bioptici adeguati per qualità e quantità è divenuta imperativa. Una nuova categoria di prelievi, il diagnostico inadeguato (materiale sufficiente a fare la diagnosi di cancro, ma non per tipizzare la neoplasia dal punto di vista istologico e molecolare) è divenuta l’incubo dello Pneumologo, che deve quindi porre al centro della sua attenzione non solo le più idonee modalità di prelievo, ma anche le necessarie competenze per un trattamento corretto dei campioni cito-istologici. In questo percorso viene rivalorizzato il ruolo della valutazione citologica estemporanea (ROSE, Rapid On-Site Evaluation). Tale metodica, già in uso in alcuni centri da molti anni 41 non è mai riuscita ad avere una larga diffusione soprattutto per la carenza di citopatologi disponibili ad essere presenti in sala endoscopica.

Il nostro gruppo di lavoro ha dimostrato che una valutazione estemporanea di adeguatezza del campione può anche essere effettuata da uno Pneumologo e che le competenze di base di citopatologia devono entrare nel bagaglio di competenze della nostra specialità 66, fornendo un ulteriore stimolo per l’arricchimento culturale dello Pneumologo e aprendo una nuova strada per l’ottimizzazione delle procedure broncoscopiche.

Il futuro

La storia della Pneumologia Interventistica ovviamente non si può ritenere conclusa e già si affacciano all’orizzonte innovazioni e tecnologie che arricchiranno ulteriormente le possibilità diagnostiche e terapeutiche di chi nei prossimi anni si dedicherà a questa affascinante disciplina.

Sono già iniziate esperienze di utilizzo della cone-beam CT in broncoscopia 67.

La cone-beam CT è una tomografia computerizzata in cui l’imaging viene realizzato con fasci di raggi X a forma di cono in cui la sorgente ruota intorno al paziente raccogliendo scansioni bidimensionali nelle diverse proiezioni che poi saranno elaborate e forniranno immagini tridimensionali in tempo reale con tutte le possibilità di elaborazione che la tecnologia digitale consente (sottrazione di immagini, ricostruzioni in ogni prospettiva spaziale dell’albero bronchiale, del parenchima polmonare e delle lesioni). Si potrà quindi avere un sistema di guida tridimensionale con l’accuratezza delle immagini TC che permetterà di visualizzare in tempo reale la posizione del broncoscopio, fornendo all’operatore la certezza circa i rapporti dei propri strumenti di prelievo con le strutture anatomiche toraciche e apportando quindi indubbi e straordinari progressi all’approccio transbronchiale alle lesioni polmonari periferiche. Tale sistema è già largamente in uso in diversi settori della medicina (odontostomatologia, radiologia interventistica, chirurgia vascolare, cardiologia interventistica). L’elevato costo attuale della strumentazione non deve essere un deterrente per gli Pneumologi che devono iniziare a sensibilizzare le amministrazioni sull’importanza della diagnostica pneumologica e sul fatto che identificare e centrare un tumore polmonare quando ancora sia di piccole dimensioni e potenzialmente curabile è obiettivo di estrema rilevanza per la sanità pubblica.

La possibilità di centrare piccoli noduli periferici sarà poi elemento trainante per lo sviluppo di un settore che nei prossimi anni catalizzerà l’attenzione della comunità scientifica pneumologica: il trattamento per via broncoscopica delle neoplasie periferiche del polmone. Studi preliminari con diverse metodiche in grado di distruggere per via transbronchiale noduli neoplastici primitivi o secondari ubicati nel parenchima polmonare (microonde, radiofrequenze, termoablazione con vapore, laser) sono già iniziati o in procinto di partire 68. Se queste metodiche dimostreranno la loro validità, si avvererà uno dei sogni dello Pneumologo: diagnosticare e trattare una neoplasia polmonare periferica nella stessa seduta broncoscopica. Si può immaginare, senza ricorrere troppo alla fantasia, ma con il supporto di tecnologie già pronte all’uso, uno scenario probabilmente realizzabile tra pochi anni in cui il paziente, riscontrato affetto da un nodulo periferico, giunga in sala broncoscopica e si sottoponga con l’ausilio delle metodiche di guida di cui abbiamo parlato (cone-beam CT, fluoroscopia, minisonde ecografiche) ad un approccio diagnostico. La ROSE ci consentirà di avere in pochi minuti conferma circa la natura neoplastica del nodulo e, senza muovere il paziente dal lettino broncoscopico, si potrà subito dopo distruggere il nodulo stesso. La profezia di Killian, riportata all’inizio di questa revisione (“Io spero che… la broncoscopia possa in futuro essere utile anche per la diagnosi e la terapia delle malattie del polmone), si sta avverando.

Interessanti novità si stanno realizzando anche nel campo delle protesi tracheobronchiali. La ricerca di nuovi materiali (protesi biodegradabili) 69, di protesi veicolo di farmaci (protesi medicate) e, soprattutto, di protesi realizzate su misura con l’ausilio delle stampanti tridimensionali sono ormai realtà 70. La possibilità di confezionare protesi personalizzate, costruite sull’anatomia del paziente elaborata dalla TC, e realizzate con stampanti 3D potrebbe ovviare agli inconvenienti che le protesi tradizionali ancora a volte presentano (rischio di dislocamento, granulomi).

E per concludere una menzione ad una straordinaria innovazione che potrebbe veramente cambiare il modo di fare broncoscopia nel futuro: la broncoscopia robotica 71. Un broncoscopio guidato con un joystick (gioia per i giovani di oggi che fin da bambini sono addestrati all’uso dei dispositivi per videogame), con una maggiore capacità di flessione e rotazione della punta, con un più preciso controllo nei movimenti e nella direzionalità, con la possibilità di progredire nelle vie aeree più periferiche (uno dei modelli proposti ha un diametro esterno di 4,2 mm) e, non da ultimo, con la possibilità di un controllo a distanza. Le prime esperienze di questo sistema in associazione alla navigazione elettromagnetica e alle minisonde ecografiche fanno intravedere interessanti prospettive nel centraggio delle lesioni polmonari periferiche 66, ma probabilmente non tutte le potenzialità di questa affascinante tecnologia sono state al momento evidenziate.

Conclusioni

In questa revisione ho cercato di riassumere per sommi capi le principali tappe che hanno portato allo sviluppo, alla crescita e all’arricchimento della Pneumologia Interventistica, divenuta oggi una parte essenziale e portante della nostra specialità pneumologica. La Figura 7 riassume le date e le realizzazioni fondamentali di questo excursus storico. Ho sicuramente dimenticato qualche momento rilevante e me ne scuso con i colleghi che leggeranno questo lavoro, ma le realizzazioni che hanno contribuito a formare la moderna Pneumologia Interventistica nella sua complessità diagnostica e terapeutica sono veramente molteplici. Il fantastico sviluppo tecnologico che ha caratterizzato il 1900 ed i primi anni del 2000 ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale in questa storia, ma la tecnologia non avrebbe trovato espressione senza l’intuito, la genialità e l’intraprendenza dei vari colleghi che di tale storia si sono resi protagonisti. Dietro ad ogni realizzazione ci sono lunghi periodi di lavoro, di impegno e di sacrificio. Si è partiti da esperienze artigianali, dettate dall’inventiva, dallo spirito di sacrificio e dalla abilità manuale di singoli pionieri, da esperienze pilota a volte di colleghi ritenuti visionari, fino ad arrivare ai giorni d’oggi a studi multicentrici controllati e randomizzati che hanno consacrato la validità di molte metodiche interventistiche anche dal punto di vista scientifico. In tutte queste fasi si evince una passione straordinaria che avvolge ogni momento del percorso raccontato. Questa passione deve costituire un esempio per le nuove generazioni di Pneumologi e deve essere percepita e raccolta dai colleghi più giovani che vorranno dedicarsi alla Pneumologia Interventistica, affinché questa affascinante avventura continui e si raggiungano sempre più ambiziosi obiettivi, a beneficio di tutti coloro che avranno necessità di diagnosi, cura o palliazione per patologie dell’apparato respiratorio.

Figure e tabelle

Figura 1.Le origini della endoscopia toracica. A) Gustav Killian (1860-1921), padre della broncoscopia; B) Hans Christian Jacobaeus (1879-1937), padre della toracoscopia; C) l’Atlas Thoracoscopicon di Felice Cova ed una delle 50 immagini riportate in tricromia.

Figura 2.A) Shigeto Ikeda (1925-2001), il padre della broncoscopia flessibile ed il fondatore della WAB (World Association for Bronchology), poi divenuta WABIP (World Association for Bronchology and Interventional Pulmonology); B) la tomba di Shigeto Ikeda sulla cui lapide si vede scolpito il simbolo della WAB e in basso, racchiuso in una cripta, un broncoscopio; C) Ko-Pen Wang, della Hopkins University di Baltimora, padre della TBNA.

Figura 3.A) Jean Francois Dumon (Marsiglia): maestro della broncoscopia terapeutica; B) la protesi al silicone di Dumon, a tutt'oggi la più utilizzata al mondo.

Figura 4.A) Christian Boutin (1933-2015) il padre della moderna toracoscopia medica; B) uno dei suoi libri sulla toracoscopia; C) Heinrich Becker (Heidelberg), pioniere dell’ecografia bronchiale; D) la sonda ecografica radiale, all’interno di un palloncino ripieno d’acqua, ed un’immagine ecografica delle strutture circostanti un bronco.

Figura 5.A) Mark Krasnik (Danimarca), B) Kazimiro Yasufuku (Toronto), C) e Felix Herth (Heidelberg), pionieri dell’EBUS-TBNA.

Figura 6.A) Jurgen Hetzel (Tubingen, Germania): il padre della criobiopsia; B) tre frammenti bioptici delle dimensioni di circa un centimetro, ottenuti con criobiopsia.

Figura 7.Le tappe fondamentali della storia della Pneumologia Interventistica.

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Affiliazioni

Stefano Gasparini

Malattie dell’Apparato Respiratorio, Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica, Università Politecnica delle Marche, SOD Pneumologia, Azienda Ospedali Riuniti, Ancona

Copyright

© AIPO – Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri , 2019

Come citare

Gasparini, S. (2019). Dall’endoscopia toracica alla pneumologia interventistica: la storia di un’affascinante avventura. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 34(5-6), 168-180. Recuperato da https://www.aiporassegna.it/article/view/13
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