Gestione della dispnea nei pazienti terminali: ossigenoterapia e trattamenti non farmacologici
Abstract
L’origine della dispnea coinvolge l’attivazione di numerosi meccanismi che sono anche mediati e percepiti in base alle nostre precedenti esperienze, ai nostri valori, alle nostre emozioni ed alle nostre credenze religiose. In alcune circostanze la mancanza di respiro diventa insostenibile, soprattutto nei pazienti terminali affetti da una patologia respiratoria, cardiaca o neoplastica, a causa di un evento acuto, della fase finale di una malattia cronica, o di entrambe le situazioni. Sfortunatamente, il trattamento palliativo della dispnea ha ricevuto una scarsa attenzione nella pratica clinica e nella letteratura scientifica. Ciò si dimostra particolarmente vero anche quando la fatica respiratoria si associa ad una insufficienza respiratoria acuta, in quanto la maggior parte degli studi incentrati sui trattamenti farmacologici e sui metodi non farmacologici esclude questa categoria di pazienti. L’analisi della qualità del fine vita fra i pazienti che muoiono in una terapia intensiva mostra sistematicamente che solo una minoranza dei soggetti “respira in modo confortevole” durante gli ultimi giorni di vita. Lo scopo di questo articolo è quello di riassumere le principali evidenze cliniche sull’utilizzo di ossigenoterapia, ventilazione meccanica non invasiva ed altre tecniche, come l’agopuntura/agopressione e il ventaglio, e fornire una guida per la selezione dei pazienti da trattare con le terapie disponibili.
Introduzione
Così come molti termini medici, la parola “dispnea” deriva dal greco δύσπνοια tradotto successivamente in latino “dispnea” e significa “respirazione difficoltosa” o “respiro non confortevole”. Come evidenziato dal position paper dell’American Thoracic Society 1 sui meccanismi della dispnea nei pazienti con Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), la fisiologia è complessa. Essa coinvolge infatti l’attivazione di una serie di meccanismi che determinano un aumento del lavoro respiratorio, la stimolazione dei recettori delle vie aeree, del parenchima polmonare e della parete toracica, ed una eccessiva stimolazione del centro del respiro da parte dei chemocettori centrali o periferici.
Anche la sensazione dispnoica è complessa, e dinamicamente mediata e percepita in base alle nostre precedenti esperienze, ai nostri valori, alle nostre emozioni ed alle nostre credenze religiose. Come dimostrato da alcune immagini ottenute tramite tomografia ad emissione di positroni (PET), il sollievo dalla dispnea coinvolge un’area di attivazione cerebrale specifica e distintiva rispetto a quella deputata alla percezione della dispnea 2.
Tutti noi abbiamo sperimentato la sensazione dispnoica, ad esempio durante l’esercizio fisico, ma in alcune situazioni essa diventa insostenibile (es. distress respiratorio). Non deve pertanto sorprendere il fatto che gli strumenti più utilizzati per la misurazione della dispnea (es. scala della dispnea del Medical Research Council) definiscano il più alto grado della dispnea come “mancanza di fiato tale da non riuscire ad uscire di casa, a vestirsi o a svestirsi” 3. Ciò è di rilevante importanza nei pazienti terminali. Di conseguenza, i medici dovrebbero avvertire un senso di obbligo nell’assicurare ai pazienti la speranza di una morte dignitosa in caso di fallimento nel curare la patologia di base.
Sfortunatamente, il trattamento palliativo della dispnea ha ricevuto una scarsa attenzione nella pratica clinica e nella letteratura scientifica, in particolare se consideriamo l’enfasi posta sul problema del dolore, anche fra il pubblico generale. Ciò si dimostra particolarmente vero anche quando la fatica respiratoria si associa ad una insufficienza respiratoria acuta, in quanto la maggior parte degli studi incentrati sui trattamenti farmacologici e non farmacologici esclude questa categoria di pazienti. Non deve quindi sorprendere che in uno studio sulla qualità dell’esperienza del fine vita fra i pazienti in terapia intensiva (Intensive Care Unit, ICU), i familiari abbiano ritenuto che solo il 3% dei pazienti sperimentasse un “respiro confortevole” durante gli ultimi giorni di vita 4.
Infatti, uno studio condotto sui pazienti terminali ha dimostrato che la dispnea aumenta in modo significativo 10 e 3 giorni prima del decesso per poi rimanere costante, sebbene a livelli sensibilmente più alti rispetto ai pazienti senza una diagnosi di patologia neoplastica 5. Nonostante tali dati, le evidenze mostrano che il team di Cure Palliative (PCT) è raramente coinvolto nella gestione dei pazienti terminali in ICU o dei pazienti affetti da disordini respiratori. Ad esempio, solo il 5% degli interventi del PCT si svolge in questo contesto, nonostante la dispnea sia presente nell’80% dei pazienti. Inoltre, quando visitato dal PCT, il 76% dei pazienti dispnoici sperimenta un miglioramento della sintomatologia 6.
In questa revisione valuteremo i trattamenti non farmacologici della dispnea, ponendo una particolare enfasi sui pazienti che sperimentano distress respiratorio o insufficienza respiratoria acuta durante le fasi terminali della loro patologia di base. Identificheremo inoltre le lacune in tale ambito, ed esamineremo le modalità per migliorare la gestione della dispnea nei pazienti terminali.
Ossigenoterapia
L’ossigeno supplementare è frequentemente utilizzato come trattamento palliativo nei pazienti terminali, in quanto pazienti, familiari e caregiver lo percepiscono come uno strumento in grado di offrire un’ampia gamma di benefici.
Esamineremo le evidenze a favore di questa pratica da due differenti punti di vista: l’utilizzo di ossigenoterapia standard attraverso cannule nasali, maschere di Venturi (o non-rebreathing) e, in secondo luogo, la terapia ad alto flusso per via nasale (HFNT), che corrisponde ad una mistura di gas (FiO2 regolabile da 0,2L a 1,0L) riscaldata ed umidificata, somministrata ad un flusso massimo di 60 L/min attraverso delle specifiche cannule nasali, morbide e non aderenti.
Ossigenoterapia standard
È noto come l’ossigenoterapia a lungo termine migliori la sopravvivenza nei pazienti affetti da BPCO stabili ed ipossiemici 7; al contrario, il suo ruolo nella riduzione della dispnea è tuttora controverso. Come dimostrato da una recente meta-analisi 8 basata sui dati raccolti in 33 studi randomizzati controllati (901 pazienti), l’ossigenoterapia in continuo durante uno sforzo fisico migliora la dispnea in pazienti con BPCO che non incontrano i criteri per l’ossigenoterapia domiciliare a causa di una ipossiemia lieve o assente.
In più, il ruolo dell’ossigenoterapia standard nell’alleviare la dispnea associata alle neoplasie è stato analizzato in un’altra meta-analisi 9, comprendente 6 studi per un totale di 179 pazienti. Tutti gli studi esaminati erano randomizzati e in doppio cieco (ossigeno vs cilindri contenenti aria, ed in uno studio ossigeno vs aria medica o aria arricchita di elio). La durata della somministrazione dell’ossigeno era solitamente breve (circa 1 ora), e l’ossigenoterapia non era in grado di migliorare la dispnea. Nonostante il trial randomizzato controllato di Abernathy et al. 10 avesse un follow-up di maggiore durata (sette giorni), non è stata rilevata alcuna differenza statisticamente significativa fra l’effetto dell’ossigeno e quello dell’aria sulla dispnea refrattaria. È degno di nota il fatto che solo tre di tutti gli studi sopra citati siano stati condotti in pazienti ipossiemici, ma siano stati esclusi i pazienti affetti da BPCO.
Campbell et al. 11 hanno somministrato casualmente a 32 pazienti terminali con insufficienza respiratoria (Palliative Performance Scale [PPS] ≤ 30%) aria medicale, ossigeno a basso flusso e nessun flusso attraverso cannule nasali, con un periodo di washout fra i vari trattamenti di 10 minuti. I partecipanti allo studio erano stati sottoposti ad un consulto palliativo, ed erano affetti da scompenso cardiaco (25%), BPCO (34%), polmonite (41%) o neoplasia polmonare (9%). La maggior parte (91%) dei pazienti ha tollerato il protocollo, ma non ha riportato alcun cambiamento nel comfort respiratorio durante le differenti condizioni di trattamento. Ripetute analisi della varianza non hanno dimostrato alcuna differenza nel Respiratory Distress Observation Scale, e gli Autori hanno concluso che “l’ossigeno non è vantaggioso nella maggior parte dei pazienti in prossimità della morte”.
In uno studio 12 14 pazienti con dispnea ipossiemica dovuta ad una neoplasia avanzata sono stati randomizzati a ricevere ossigeno o aria ambientale. Dopo 5 minuti dalla stabilizzazione della saturazione d’ossigeno, i pazienti hanno ricevuto l’altro trattamento. Il crossover è stato ripetuto due volte. I punteggi ottenuti con un analogo della scala visuale per la dispnea erano significativamente migliori durante il trattamento con ossigeno, e in un questionario di valutazione globale i pazienti hanno riferito un beneficio minimo o assente durante le fasi di trattamento con aria, ma un beneficio moderato o elevato durante la fase di trattamento con ossigeno.
In un altro studio in doppio cieco e crossover sull’effetto dell’ossigeno per via nasale vs l’aria ambientale sul sollievo della dispnea in pazienti con neoplasia avanzata, Philip et al. 13 hanno dimostrato l’assenza di differenze significative fra l’aria ambientale e l’ossigeno in un sottogruppo di 17 pazienti in ipossia acuta, nonostante il miglioramento della saturazione in ossigeno avvenuto in corrispondenza della somministrazione di ossigenoterapia.
Lo studio randomizzato controllato di maggiori dimensioni, condotto su pazienti neoplastici terminali con insufficienza respiratoria acuta, confrontava l’ossigenoterapia con la ventilazione non invasiva (Non-Invasive Ventilation, NIV) e sarà discusso più dettagliatamente in seguito 14. Nonostante l’inferiorità dell’ossigeno, rispetto alla NIV, nel miglioramento della dispnea, il primo si associa ad un miglioramento statisticamente significativo della dispnea rispetto al basale.
Gli studi sopra citati differiscono significativamente sia per la tipologia di pazienti arruolati che per i metodi utilizzati per valutare gli effetti dell’ossigenoterapia, ed hanno generato dei risultati conflittuali. Perciò, le evidenze a supporto dell’utilizzo dell’ossigeno nei pazienti neoplastici terminali non sono convincenti. È sufficiente tentare la somministrazione di ossigeno supplementare in tali pazienti, soprattutto se ipossiemici, ma se i pazienti sono intolleranti al trattamento o non traggono alcun beneficio sintomatico non vi è alcuna ragione per persistere.
Ossigenoterapia ad alto flusso con cannule nasali (HFNT)
La HFNT (High Flow Nasal Therapy) garantisce una serie di effetti positivi, come la possibilità di mantenere l’integrità della funzione muco-ciliare tramite la fornitura di un gas riscaldato ed umidificato 15. Ciò previene la disidratazione delle vie aeree, rende più facile la mobilizzazione delle secrezioni e riduce il lavoro imposto ai muscoli respiratori per eseguire l’espettorazione 16 17. Un altro vantaggio è il ridotto ingresso di aria ambiente dovuto all’elevato flusso della HFNT, rispetto ai sistemi di erogazione di ossigeno standard. Ciò permette di avvicinarsi o di superare il picco di flusso inspiratorio del paziente nella maggior parte dei casi, anche gli elevati flussi inspiratori che si incontrano nei pazienti in condizioni di distress respiratorio, e di fornire adeguatamente la FiO2 desiderata 18 19. I pazienti in distress respiratorio possono anche giovarsi del washout dell’anidride carbonica dallo spazio morto anatomico, che è tanto maggiore tanto più aumentano i flussi 20. L’eliminazione del gas esalato, che ha una FiO2 minore, dalle vie aeree superiori è un altro meccanismo per assicurare la fornitura di una FiO2 adeguata, e la rimozione della CO2 dallo spazio morto anatomico migliora l’efficienza della ventilazione 21. La HFNT determina anche un aumento della pressione di fine espirazione (approssimativamente 1 cmH2O per ogni 10 L/min di flusso aereo a bocca chiusa), e riduce significativamente la frequenza respiratoria 22 23. In conseguenza dell’esistenza di questo meccanismo, recenti studi fisiologici hanno osservato come la HFNT possa ridurre il lavoro respiratorio in affetti da BPCO sia ipossiemici 24 che ipercapnici 25.
Altri studi hanno dimostrato che la HFNT si associa ad un maggior comfort, una maggior tolleranza, una minor secchezza delle vie aeree superiori ed una minor dispnea rispetto alle convenzionali maschere facciali 26-28.
Ad esclusione di uno studio randomizzato controllato di confronto fra la NIV e la HFNT 29, solo due studi osservazionali hanno valutato l’utilizzo della HFNT in pazienti con distress respiratorio, sia con un ordine di non intubazione (DNI) che con obiettivo esclusivamente palliativo. Peters et al. 30 hanno dimostrato che la HFNT aumenta l’ossigenazione e riduce drasticamente la frequenza respiratoria in 50 pazienti terminali con insufficienza respiratoria acuta severa, la maggior parte dei quali affetti da una sottostante malattia respiratoria, a fronte di un tasso di intolleranza inferiore al 20%. Utilizzando le cartelle ospedaliere, Epstein 31 ha selezionato in modo casuale 183 pazienti con distress respiratorio e principalmente affetti da insufficienza respiratoria acuta secondaria a neoplasia avanzata. I pazienti erano affetti da una ampia gamma di neoplasie, fra cui neoplasie ematologiche (29%), polmonari (17%), gastrointestinali (15%), sarcomi (6%), tumori del distretto testa-collo e del sistema nervoso centrale (SNC) (5%), neoplasie mammarie (4%) ed altri tumori (24%). Il 78% dei pazienti arruolati è deceduto durante il ricovero ospedaliero. Durante il trattamento con HFNT, seguito per un tempo medio di 3 giorni, la maggior parte dei pazienti ha riferito un miglioramento (41%) o una stabilità (44%) del comfort e della dispnea, mentre solo nel 15% dei pazienti si è verificato un peggioramento dei sintomi.
Questi studi preliminari sull’utilizzo della HFNT per la palliazione della dispnea nei pazienti in condizioni terminali suggeriscono che, in virtù dei suoi vantaggi in termini fisiologici e soggettivi rispetto all’ossigenoterapia standard, la HFNT potrebbe fornire risultati evidenti nel migliorare il comfort e nel ridurre la dispnea, ma per confermare questa possibilità sono necessari altri trial controllati. Sono parimenti necessari degli studi per confrontare la HFNT con la NIV. La Tabella I mostra come applicare gli alti flussi in un contesto di palliazione.
Ventilazione Meccanica Non Invasiva
La Society of Critical Care Medicine ha istituito una Task Force per elaborare delle linee guida sull’utilizzo della NIV in un contesto di palliazione 32. Gli Autori hanno identificato obiettivi differenti nel trattamento palliativo dei pazienti:
- uno scenario in cui il paziente ha deciso di rifiutare l’intubazione, ma desidera sottoporsi al trattamento di salvataggio con NIV con l’obiettivo di essere dimesso dall’ambiente ospedaliero;
- un secondo scenario in cui i pazienti ricercano la palliazione dei sintomi, prevalentemente della dispnea, ed in cui la sopravvivenza non è un obiettivo (Tabella II). La maggior parte dei pazienti, e delle loro famiglie, che rientra nel secondo scenario è preoccupato di garantire il maggior comfort possibile durante il fine vita, ma alcuni possono anche essere interessati a prolungare la propria sopravvivenza per alcune ore mantenendo la lucidità e la capacità di comunicare, in attesa ad esempio dell’arrivo di familiari lontani o per sistemare le ultime volontà. In questo contesto, la NIV è considerata efficace solo se migliora la dispnea ed il distress respiratorio senza però provocare conseguenze problematiche, come il discomfort associato alla maschera o un prolungamento non desiderato della sopravvivenza.
Nel primo scenario, un ampio studio osservazionale 33 ha suggerito che, nei pazienti in cui la NIV rappresentava il “tetto terapeutico”, questa abbia la stessa efficacia che nei pazienti senza limitazioni terapeutiche, considerando la sopravvivenza al ricovero ospedaliero.
Per quanto riguarda il secondo scenario (NIV con l’obiettivo principale di ridurre la dispnea), uno studio pilota 34 condotto in pazienti con neoplasia solida ed insufficienza respiratoria ha dimostrato come l’uso della NIV sia praticabile ed efficace nel migliorare rapidamente (nell’arco di un’ora) la dispnea, perlomeno nella maggioranza (62%) dei pazienti. In uno studio simile 35 condotto presso un dipartimento di emergenza, più della metà dei pazienti del “gruppo palliativo” non ha ottenuto sollievo dalla dispnea, e ciò ha portato alla sospensione della NIV. Un successivo ampio studio multicentrico 14 ha mostrato una significativa e maggiore riduzione della dispnea con l’utilizzo della NIV rispetto all’ossigenoterapia standard, soprattutto nei pazienti appartenenti al sottogruppo ipercapnico.
Curiosamente, questo studio ha anche dimostrato come l’uso della NIV potrebbe permettere di ridurre la dose di morfina necessaria per alleviare la dispnea e di mantenere così una miglior funzione cognitiva. Il tasso complessivo di reclutamento dei pazienti idonei per il protocollo è stato dell’8,5%, con un tasso di abbandono dell’11% vs 0% nel gruppo di pazienti trattati con ossigeno. Vale la pena sottolineare che, nonostante nei pazienti trattati con NIV il punteggio della dispnea (scala Borg) migliorasse significativamente rispetto ai pazienti trattati con ossigenoterapia standard, esso rimaneva comunque abbastanza alto (4, 2), anche dopo 48 ore dall’arruolamento, a dimostrazione di un controllo non ottimale del sintomo dispnoico.
In una popolazione di pazienti simili, ma senza insufficienza respiratoria, Hui et al. 29 hanno registrato un analogo tasso di miglioramento nei punteggi della dispnea e nella frequenza respiratoria fra i pazienti trattati con NIV e quelli trattati con ossigenoterapia standard, mentre la NIV ha ricevuto valutazioni simili rispetto all’ossigenoterapia sull’impatto sui sintomi da parte dei pazienti (circa 60%).
L’applicazione di un supporto sia inspiratorio che espiratorio è fondamentale per ridurre il carico inspiratorio in un contesto di acuzie, in quanto la sensazione dispnoica correla fortemente con il lavoro inspiratorio. Pertanto, la NIV potrebbe anche essere utile per ridurre la sensazione dispnoica nei pazienti terminali ed in grave distress respiratorio. Infatti la NIV, siccome migliora gli scambi gassosi più rapidamente dell’ossigenoterapia, potrebbe determinare un aumento della perfusione sia periferica che centrale, così come il metabolismo muscolare e la lucidità mentale. Nell’applicare tali risultati in un contesto differente si dovrebbe utilizzare accortezza, in quanto gli studi sono stati condotti in unità operative molto preparate sull’utilizzo della NIV e, di conseguenza, i risultati possono essere estesi solo ad unità operative ugualmente esperte, come lo sono le Unità di Cure Palliative.
In considerazione dei risultati sopra riportati, del limitato numero di studi e dell’eterogeneità nel disegno dei trial, la recente Task Force ERS/ATS sulla NIV 36 non raccomanda l’utilizzo della NIV come strumento palliativo sistematico. La Task Force enfatizza inoltre la necessità di selezionare adeguatamente i pazienti e di formare il personale, soprattutto in quei dipartimenti in cui l’uso della NIV non sia comune, così come la necessità di condurre ulteriori studi, soprattutto di confronto fra la NIV e la HFNT nel contesto palliativo. Nella Tabella II suggeriamo i criteri per iniziare ed interrompere la NIV nel contesto di una acuzie 37.
Trattamenti non farmacologici
In una revisione della Cochrane del 2008 38 venivano valutati i seguenti trattamenti non farmacologici per la gestione della dispnea: intervento su un singolo componente con sottocategorie di assistenza alla deambulazione, stimoli uditivi distraenti, vibrazioni applicate alla gabbia toracica, agopuntura/agopressione, tecniche di rilassamento, stimolazione muscolare neuroelettrica, ventaglio, ed interventi su multiple componenti. È degno di nota il fatto che gli studi condotti su tale miscellanea di trattamenti abbiano coinvolto molti più pazienti (> 2.500) rispetto agli studi precedentemente analizzati e aventi come oggetto di interesse l’ossigeno e gli altri device respiratori.
Ovviamente alcuni di questi approcci, come l’assistenza alla deambulazione ed il Tai Chi, non possono essere applicati ai pazienti in condizioni di distress respiratorio; inoltre, la maggior parte degli studi è stata condotta fra pazienti affetti da BPCO. È improbabile che gli esercizi respiratori così come sono attualmente utilizzati possano essere d’aiuto ai pazienti terminali, siccome essi devono essere eseguiti nel corso di settimane o di mesi, non esercitano effetti significativi sulla dispnea, e possono anche determinare un aumento del lavoro respiratorio.
Una recente revisione 39 di 16 studi sull’utilizzo dell’agopuntura nel trattamento della dispnea in pazienti stabili ha evidenziato un importante miglioramento clinico. Gli stimoli uditivi distraenti, come la musica, rappresentano un approccio interessante e in grado di ridurre la dispnea durante lo sforzo fisico nei pazienti con BPCO. Uno studio coinvolgente 53 pazienti 40 affetti da neoplasia ha dimostrato che l’immaginazione guidata con musica theta costituiva un intervento utile nei pazienti con dispnea in un contesto di palliazione.
La musica theta è in grado di generare un ritmo theta, un pattern neurale oscillatorio rilevato dall’elettroencefalografia capace di indurre un profondo rilassamento e di influenzare la sensazione dispnoica.
Un ventaglio manuale che generi un flusso d’aria diretto verso il volto potrebbe rappresentare un metodo alternativo e semplice per migliorare la dispnea. Ciò dipende da una risposta neurale complessa che coinvolge meccanismi non ben identificati fra cui anche il riflesso di annegamento, il quale consente ai mammiferi di restare immersi in acqua per periodi di tempo prolungati, grazie alla stimolazione di alcuni recettori facciali e nasofaringei 41. Questo meccanismo potrebbe fornirci la possibilità di capire perché molti pazienti riportano la necessità di sedersi o di posizionarsi dinnanzi ad una finestra aperta per ridurre la sensazione dispnoica.
Tre trial randomizzati controllati 42-44, di cui uno condotto fra pazienti prossimi al decesso, hanno dimostrato la capacità del ventaglio di ridurre la dispnea e la frequenza respiratoria.
Conclusioni
Diciamo solo che ho tossito, respirato, trattenuto il fiato, secondo le indicazioni di Ermogene, allarmato suo malgrado per la rapidità dei progressi del male…
È difficile rimanere imperatore in presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana: l’occhio del medico non vede in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue. E per la prima volta, stamane, m’è venuto in mente che il mio corpo, compagno fedele, amico sicuro e a me noto più dell’anima, è solo un mostro subdolo che finirà per divorare il padrone…
Ma, ormai, non credo più, come finge ancora Ermogene, nelle virtù prodigiose delle piante, nella dosatura precisa di quei sali minerali che è andato a procurarsi in Oriente. È un uomo fine; eppure, m’ha propinato formule vaghe di conforto, troppo ovvie per poterci credere; sa bene quanto detesto questo genere d’imposture, ma non si esercita impunemente più di trent’anni la medicina…
Perdono a questo mio fedele il suo tentativo di nascondermi la mia morte. Ma nessuno può oltrepassare i limiti prescritti dalla natura; le gambe gonfie non mi sostengono più nelle lunghe cerimonie di Roma; mi sento soffocare; e ho sessant’anni.
Figure e tabelle
• Spiegare al paziente la procedura (se le funzioni cognitive del paziente non sono compromesse) |
• Scegliere la cannula nasale corretta (piccola, media, grande) |
• Impostare la temperatura in base alla tolleranza del paziente (in genere fra 34°C e 37°C) |
• Impostare la velocità di flusso (solitamente il flusso si imposta inizialmente a 25-30 L/min, ma può essere gradualmente aumentato fino a 60 L/min in base al livello di comfort del paziente) |
• Impostare la FiO2 richiesta (da 21% a 100%) |
• Monitorare il comfort, la frequenza respiratoria, la dispnea e la risposta del paziente. Fornire supporto ed eseguire gli aggiustamenti necessari alle cannule nasali e alle impostazioni del device |
Quando iniziare |
• Tachipnea (con frequenza respiratoria > 25 atti/min) |
• Utilizzo della muscolatura accessoria o movimenti addominali paradossi |
• Aumento della dispnea – da moderata a severa (Borg > 4) |
• Ortopnea durante il sonno |
• Completa comprensione del razionale e del significato della NIV in questo contesto da parte del paziente e dei familiari |
• Sensazione di “fame d’aria” |
• Rifiuto da parte del paziente di ricorrere a qualsiasi trattamento farmacologico per la dispnea |
Quando interrompere |
• Rifiuto da parte del pazienti di proseguire |
• Intolleranza all’interfaccia o alla ventilazione |
• Alterazione dello stato mentale (Kelly > 3) |
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