Pneumopatie Infiltrative Diffuse e Patologia del Circolo Polmonare
La rilevante mole di lavori pubblicata nell’ultimo decennio nel settore delle Pneumopatie Infiltrative Diffuse (PID) e delle Patologie del Circolo Polmonare testimonia la continua evoluzione delle nostre conoscenze in merito a tali malattie, rendendone la gestione tanto affascinante quanto complessa. Anche nel corso del 2017, infatti, innumerevoli sono gli spunti che nel panorama internazionale hanno contribuito ad arricchire ed ampliare le nostre prospettive. In particolare, gli sforzi si sono incentrati sulla sperimentazione di nuove molecole, sull’evoluzione della medicina di precisione mediante riconoscimento di specifici “endotipi” indipendentemente dalla categorizzazione clinico/morfologica e di potenziali biomarcatori, e sulla valutazione del ruolo diagnostico e prognostico di innovative tecniche di imaging e di campionamento (criobiopsia transbronchiale). Nonostante la selezione dei tre articoli che di seguito verranno commentati sia stata, quindi, piuttosto complessa, il razionale della scelta è stato quello di presentare lavori con un significativo impatto di tipo pratico nel prossimo futuro.
L’importanza del ragionamento clinico e del fattore tempo: il White Paper della Fleischner Society
Il “libro bianco” della Fleischner Society, pubblicato nel novembre 2017 1, si configura come il più importante documento condiviso tra esperti di diverse discipline in merito all’approccio diagnostico per la fibrosi polmonare idiopatica (IPF) dell’ultimo quinquiennio. Un panel internazionale composto da 17 membri della Fleischner Society, indiscusse autorità nel settore (8 pneumologi, 6 radiologi e 3 anatomopatologi), coadiuvati da un esperto in metodologia della ricerca bibliografica, ha redatto una revisione dei criteri diagnostici per l’IPF sviluppata con l’obiettivo di rispondere ad una lista di key question ancora aperte riguardanti punti cruciali del work-up diagnostico di tale patologia. Ovviamente, data la ricchezza dei contenuti, non potremo analizzare ogni aspetto di questo lavoro, ma ci soffermeremo sugli elementi di maggior impatto per la pratica clinica. La prima grande novità riguarda la rivisitazione delle categorizzazioni radiologica ed istologica proposte dalle linee guida ATS/ERS del 2011. La nuova classificazione dei possibili quadri TC prevede 4 pattern in cui vengono distinti distribuzione ed elementi patologici (“features”): “typical UIP CT pattern”, “probable UIP CT pattern”, “CT pattern indeterminate for UIP” e “CT features most consistent with non-IPF diagnosis”. In termini di “features”, le prime due categorie risultano sostanzialmente sovrapponibili rispettivamente al pattern “definite UIP” e “possible UIP”, ma in termini di distribuzione si specifica come, seppur prevalentemente a localizzazione basale e subpleurica, in alcuni casi questa possa essere eterogenea ed occasionalmente diffusa. Nel pattern “CT features most consistent with non-IPF diagnosis” confluiscono, invece, quei quadri caratterizzati da elementi altamente suggestivi per patologie alternative (consolidazioni, diffuse aree di vetro smerigliato “puro”, diffuse attenuazioni a mosaico con intrappolamento aereo, nodulazioni e cisti) con prevalente distribuzione alle porzioni superiori o medie del polmone e localizzazione peribroncovascolare con risparmio subpleurico. Infine, i quadri non classificabili in nessuna delle suddette categorie ricadono nel pattern “CT pattern indeterminate for UIP”. Ovviamente, il grado di concordanza tra radiologi più o meno esperti in merito a tale classificazione, ed il relativo significato prognostico, saranno da analizzare in ampie casistiche.
Di particolare rilievo è che le implicazioni pratiche di questa nuova categorizzazione nel successivo iter diagnostico del paziente sono imprescindibili dalla valutazione del quadro clinico, se tipico o meno per IPF. Infatti, un altro rilevante elemento introdotto nel libro bianco è l’attribuzione di un ruolo dirimente al contesto clinico nel porre l’indicazione o meno ad approfondimento istologico. È ormai noto in letteratura come la probabilità di essere affetti da IPF sia notevolmente incrementata in soggetti maschi, con storia di esposizione al fumo di sigaretta ed età superiore a 60 anni, e pertanto, in presenza di questi elementi e di un quadro radiologico “probable” gli Autori concludono che la diagnosi di IPF può essere formulata con ragionevole certezza senza ricorrere all’acquisizione di tessuto polmonare. La presenza, invece, di un contesto clinico atipico può rendere indicato l’approfondimento istologico indipendentemente dal quadro TC. Per casi in cui non sia possibile ottenere materiale istologico o combinare i diversi aspetti (clinici, radiologici ed istologici) per formulare una diagnosi di certezza al momento dell’osservazione iniziale, gli Autori introducono il concetto della working diagnosis di IPF nel quale il fattore tempo assume un ruolo rilevante e si interseca nel processo diagnostico. Tale diagnosi può essere ridiscussa in fasi successive, alla luce di elementi rilevanti come l’evolutività della patologia, la risposta ad eventuali trattamenti, l’identificazione di trigger non precedentemente noti, e la slatentizzazione di patologie autoimmuni. Infine, per la prima volta, viene menzionato il ruolo promettente della criobiopsia transbronchiale nell’iter diagnostico, seppur si sottolinea come ci siano ancora da chiarire alcuni aspetti relativi al confronto del profilo rischio/beneficio con la biopsia chirurgica.
Questo documento, del quale consiglio a tutti un’approfondita lettura, si configura, quindi, come un importante passo avanti verso la stesura di raccomandazioni che possano essere di reale aiuto nel fronteggiare quotidianamente le principali criticità del processo diagnostico e nelle quali siano ristabiliti l’indiscutibile ruolo del ragionamento clinico, contesto clinico ed andamento di malattia.
Esperienza individuale e discussione multidisciplinare sistematica fanno davvero la differenza? Le prime evidenze
È noto come esista una sostanziale eterogeneità di risorse, organizzazione, competenze ed esperienza tra i diversi centri nei quali affluiscono pazienti affetti da pneumopatie infiltrative diffuse. Seppure livello di esperienza e partecipazione sistematica ad incontri multidisciplinari siano ritenuti molto importanti per il raggiungimento di una buona accuratezza diagnostica, l’effettivo peso di questi aspetti non era stato ancora valutato prospetticamente e mediante un’appropriata analisi dedicata. Il lavoro di Walsh et al. si configura quindi come il primo studio in questo contesto, disegnato per rispondere allo specifico quesito riguardante il ruolo di esperienza, partecipazione sistematica a discussione multidisciplinare ed appartenenza ad istituzioni accademiche nel work-up diagnostico dell’IPF 2. In particolare, 404 pneumologi ed un panel di 34 esperti del settore sono stati chiamati a valutare 60 casi afferiti per l’inquadramento diagnostico di una pneumopatia infiltrativa diffusa al Royal Brompton Hospital di Londra nel 2010, e ne è stata analizzata la performance diagnostica, il grado di concordanza e l’accuratezza prognostica. Complessivamente è emerso come il livello di concordanza diagnostica fosse maggiore tra esperti, pneumologi appartenenti ad istituzioni accademiche e pneumologi che partecipavano settimanalmente al team multidisciplinare. La discriminazione prognostica tra IPF e pneumopatie fibrosanti non-IPF non risultava significativamente differente tra pneumologi appartenenti ad istituzioni accademiche con più di 20 anni di esperienza e pneumologi non universitari con più di 20 anni di esperienza e partecipazione settimanale al team, e panel di esperti. Pertanto, si evince come un’esperienza almeno ventennale e la partecipazione sistematica al team multidisciplinare rivestano un significativo ruolo nel raggiungimento di un’affidabile distinzione diagnostica con implicazioni prognostiche in ambito di IPF.
Il primo agonista selettivo del recettore prostanoide in formulazione orale nel trattamento dell’ipertensione arteriosa polmonare associata a connettivopatie
L’ipertensione arteriosa polmonare (PAH) è una malattia rara a carattere progressivo e caratterizzata da un punto di vista emodinamico da un incremento della pressione polmonare media (PAPm) di almeno 25 mmHg e delle resistenze vascolari polmonari di 3 Unità Wood valutata con il cateterismo cardiaco destro. La PAH rappresenta il primo gruppo della classificazione dell’ipertensione polmonare e include, oltre alle forme idiopatiche, anche quelle secondarie ad alcune patologie, tra cui anche malattie autoimmuni, molte delle quali si associano anche ad un coinvolgimento parenchimale polmonare. Negli ultimi anni, sono stati fatti innumerevoli progressi in ambito terapeutico, grazie all’introduzione di farmaci con un meccanismo di azione specificatamente mirato alla correzione del danno endoteliale, considerato un elemento patogenetico centrale nell’insorgenza e progressione della patologia, con conseguente miglioramento di qualità di vita e prognosi dei pazienti affetti. Antagonisti recettoriali dell’endotelina, inibitori della fosfodiesterasi-5 e prostanoidi, singolarmente o in combinazione, rappresentano ad oggi il gold standard terapeutico della PAH. Fino a qualche tempo fa, i prostanoidi erano disponibili esclusivamente in somministrazione endovenosa, a causa della breve emivita degli analoghi della prostaciclina.
Recentemente è stato sviluppato il primo agonista selettivo del recettore prostanoide IP in formulazione orale (emivita pari a 13 ore circa), il selexipag, la cui efficacia e sicurezza sono state testate nel più ampio studio mai condotto in questo contesto, denominato GRIPHON. In tale studio internazionale multicentrico randomizzato di fase III, condotto su 1.156 pazienti in 181 Centri di 39 nazioni, il selexipag è stato somministrato in pazienti affetti da PAH, sia in monoterapia (20%) sia in combinazione con antagonisti dei recettori dell’endotelina e/o inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (80%), dimostrando di ridurre del 39% (p < 0,0001) il rischio di morbilità e mortalità rispetto al placebo, con un profilo di tollerabilità equiparabile a quello della terapia con prostaciclina infusiva. L’efficacia di tale terapia nello specifico sottogruppo di 334 pazienti con PAH associata a connettivopatie (170 con sclerosi sistemica, 82 con lupus eritematoso sistemico e 37 con connettivite mista) è stata oggetto di un’analisi dedicata, l’esito della quale è stato pubblicato nell’European Respiratory Journal nell’agosto del 2017 3. Il farmaco ha dimostrato di ridurre significativamente il rischio di morbilità e mortalità (HR 0,59; 96% CI 0,41-0,85) rispetto al placebo indipendentemente dal sottotipo di patologia autoimmunitaria (test di interazione p = 0,89).
L’introduzione del selexipag nella pratica clinica, da poco in commercio, renderà possibile per la prima volta la somministrazione di una triplice combinazione orale di farmaci per il trattamento della PAH, anche quando associata a connettivopatie, garantendo una miglior prognosi e qualità di vita a questi pazienti.
Riferimenti bibliografici
- Lynch DA, Sverzellati N, Travis WD. Diagnostic criteria for idiopathic pulmonary fibrosis: a Fleischner Society White Paper. Lancet Respir Med. 2018; 6:138-15.
- Walsh SLF, Maher TM, Kolb M. Diagnostic accuracy of a clinical diagnosis of idiopathic pulmonary fibrosis: an international case-cohort study. Eur Respir J. 2017; 50:pii:1700936.
- Gaine S, Chin K, Coghlan G. Selexipag for the treatment of connective tissue disease-associated pulmonary arterial hypertension. Eur Respir J. 2017; 50:pii:1602493.
Affiliazioni
Licenza
Questo lavoro è fornito con la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Copyright
© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2018
Come citare
- Abstract visualizzazioni - 149 volte
- PDF downloaded - 66 volte