Oncologia Toracica
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Lo studio AURA 3 è un RCT (Randomized Controlled Trial) che ha confrontato l’efficacia dell’osimertinib e della chemioterapia in 279 e 140 pazienti con adenocarcinoma polmonare e mutazione di resistenza T790M, comparsa dopo trattamento con inibitori delle tirosin chinasi (TKI) di I-II generazione 1.
Le mutazioni attivanti del gene per il dominio tirosino-chinasico dell’EGFR sono responsabili del 12-15% degli adenocarcinomi nei Paesi Occidentali. Questi tumori possono essere trattati con successo (70% dei casi) con i TKI ma, dopo 9-13 mesi, sviluppano resistenza al farmaco, il paziente va incontro a progressione di malattia e si rende necessario iniziare una chemioterapia.
Nella metà dei casi la mutazione di resistenza è T790M, che modifica nuovamente la conformazione della tasca per l’ATP del dominio TK, impedendo il legame dei TKI.
L’osimertinib è un TKI di terza generazione in grado di legarsi alla molecola di EGFR portatrice della doppia mutazione, impedendo il legame con l’ATP e la trasmissione intracellulare del segnale oncogeno.
Nello studio AURA 3 l’osimertinib ha dimostrato un notevole vantaggio in sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla chemioterapia (11 mesi vs 4,2, HR 0,28; 95%CI 0,20-0,38) in tutti i sottogruppi esaminati, in particolare in quello dei pazienti con metastasi cerebrali, a conferma della sua capacità di attraversare la barriera emato-encefalica. Come osservato per gli altri TKI, il tasso di risposta era più che doppio nei pazienti trattati con osimertinib (71% vs 31%) e il profilo di tossicità caratterizzato da un’alta percentuale di effetti collaterali lievi (diarrea, rash, secchezza cutanea e paronichia), con conseguente vantaggio in qualità della vita.
Gli effetti collaterali più gravi erano quelli polmonari, raggruppati con il termine “interstitial lung disease-like events” (10 pazienti, 4%), che in un caso risultavano fatali.
L’importanza dello studio sta nel dimostrare la capacità del farmaco di prolungare di circa un altro anno la PFS di pazienti con adenocarcinoma polmonare metastatico. Se ricordiamo che, poco più di 10 anni fa, la durata della vita di questi malati non superava 10-11 mesi, possiamo realizzare come le nuove molecole commercializzate in questi anni stiano ritagliando periodi di vita sempre più lunghi e di migliore qualità a questi pazienti.
Anche l’immunoterapia si sta affermando come un’importante strategia terapeutica per il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC). È noto che la cellula tumorale maligna induce un’inibizione dell’immunità cellulo-mediata (e quindi di un’adeguata reazione anti-tumorale), stimolando alcuni recettori linfocitari (come PD1 o CTLA-4), che fisiologicamente vengono attivati per spegnere reazioni immunitarie troppo vivaci.
Gli immunoterapici impediscono il blocco dei linfociti operato dalla cellula tumorale e fanno ormai parte del trattamento standard del NSCLC metastatico. Lo studio PACIFIC è un RCT 2 che confronta un immunoterapico con il placebo come terapia di consolidamento dopo chemio-radioterapia concomitante nel NSCLC localmente avanzato inoperabile.
La sua base razionale sta nel fatto che la radioterapia aumenta l’immunogenicità tumorale potenziando l’efficacia dell’immunoterapico attraverso vari meccanismi, come l’induzione della morte delle cellule tumorali nel campo di irradiazione, la sovraregolazione del MHC-I e l’aumentata espressione di PD-L1 nel microambiente tumorale.
Nello studio PACIFIC, 709 pazienti venivano randomizzati ad assumere durvalumab (473) o placebo (236) per via endovenosa ogni 2 settimane. Quella pubblicata è ancora una “interim analysis”, in quanto i risultati della sopravvivenza collettiva non sono ancora disponibili, ma la PFS mediana è risultata più che doppia tra i pazienti trattati con il durvalumab rispetto a quelli trattati con il placebo (16,8 mesi vs 5,6; HR: 0,52; 95% CI 0,42-0,65).
Anche i dati della PFS a 12 e 18 mesi mostravano un beneficio analogo: erano liberi da progressione 55,9% vs 35,3% e 44,2% vs 27% dei pazienti, rispettivamente. Anche il tasso di risposta radiologica, la durata della risposta e il tempo intercorso fino alla comparsa di nuove metastasi, erano migliori nel braccio sperimentale. Gli eventi avversi gravi si verificavano con frequenza simile tra i due gruppi (29,9% vs 26,1%) e il più comune era la polmonite immuno-mediata (4,4%).
Gli eventi avversi responsabili più spesso dell’interruzione del farmaco erano, ancora una volta, la polmonite immuno-mediata o la polmonite attinica (6,3% vs 4,3%) e la broncopolmonite (1,1% vs 1,3%).
Questo studio indica come l’aggiunta di un’immunoterapico al trattamento standard del NSCLC localmente avanzato possa migliorare la PFS senza aggravare significativamente gli effetti collaterali.
Tuttavia, la tossicità polmonare derivante da una combinazione tra polmonite attinica e immuno-mediata potrebbe essere un’importante limitazione dell’associazione tra CT-RT e immunoterapia quando verrà somministrata su larga scala.
Sarà quindi importante conoscere i dati della sopravvivenza complessiva e studiare quali marcatori possano identificare i pazienti destinati a rispondere meglio a questo nuovo tipo di trattamento integrato.
L’ultimo studio analizza una delle vie biochimiche che regolano la crescita e l’eterogeneità del microcitoma polmonare (SCLC).
Notch è una proteina coinvolta nel controllo del destino cellulare durante la crescita e l’omeostasi dei tessuti, in particolare, è un regolatore delle cellule neuroendocrine (da cui il microcitoma deriva).
Il ruolo di Notch nei tumori è stato fino ad oggi molto controverso: in alcuni studi è stato implicato nella crescita, in altri nella soppressione tumorale.
In un importante studio pubblicato su Nature 3, Lim et al. hanno dimostrato che le cellule SCLC neuroendocrine, ad alto potenziale mitotico, inducano, attraverso la produzione di Notch, le cellule SCLC non-neuroendocrine ad esprimere i recettori per Notch, imponendo così loro un programma di sviluppo.
In questo modo, si formerebbe una popolazione di cellule a lenta crescita (quindi poco sensibili alla chemioterapia), che, all’occorrenza, attraverso la produzione di un ligando dei recettori Notch, è in grado di promuovere la formazione di nuove cellule neuroendocrine. Il ruolo del sistema Notch sarebbe quindi duplice: con effetti sia proliferativi che inibitori sulle diverse popolazioni di cellule tumorali.
Queste osservazioni hanno un corrispettivo nell’omeostasi delle vie aeree sane, in cui le cellule staminali inviano (attraverso Notch) segnali alle cellule che da loro discendono per determinarne il destino.
Diretta conseguenza di questo studio sarà la revisione delle strategie terapeutiche del SCLC attualmente in fase di sviluppo, come la combinazione tra chemioterapia e inibitori di Notch, che, fino ad oggi, aveva dato risultati fallimentari.
Riferimenti bibliografici
- Mok TS, Wu Y-L, Ahn M-J, AURA3 Investigators. Osimertinib or platinum-pemetrexed in EGFR T790M-positive lung cancer. N Engl J Med. 2017; 376:629-40.
- Antonia SJ, Villegas A, Daniel D, PACIFIC Investigators. Durvalumab after chemoradiotherapy in stage III non-small-cell lung cancer. N Engl J Med. 2017; 377:1919-29.
- Lim JS, Ibaseta A, Fischer MM. Intratumoural heterogeneity generated by Notch signalling promotes small-cell lung cancer. Nature. 2017; 545:360-4.
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