Commentario
Pubblicato: 2018-04-15

I corticosteroidi nelle polmoniti severe acquisite in comunità, a che punto siamo?

S.C. Pneumologia, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste, Ospedale di Cattinara, Trieste
Polmoniti acquisite in comunità Polmoniti severe Corticosteroidi Metilprednisolone Idrocortisone

Abstract

L’utilizzo dei corticosteroidi nelle polmoniti severe è sempre stato molto dibattuto e nelle linee guida NICE (National Institute for Health and Care Excellence) del 2014 ne viene sconsigliato l’uso. In questo articolo si vuole porre in evidenza l’uso dei corticosteroidi nel sottogruppo delle polmoniti severe acquisite in comunità, ove sono sempre più crescenti gli studi clinici che prendono in considerazione il loro utilizzo.

 

Articolo

L’utilizzo dei corticosteroidi (CS) nelle polmoniti è sempre stato dibattuto, soprattutto per il rischio di immunosoppressione che questi possono determinare, risultando quindi una minor efficacia nel processo di risoluzione della polmonite stessa.

Infatti, nelle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) del 2014 1 (la cui revisione è prevista per il 2018), poi confermate nei commenti delle linee guida della British Thoracic Society (BTS) del 2015 2, si sconsiglia di utilizzare tali farmaci di routine nelle CAP (Community-Acquired Pneumonia), salvo che questi siano indicati per altre condizioni cliniche. Queste linee guida, però, sono generalizzate a tutte le CAP e non prendono in considerazione il sottogruppo delle CAP severe (secondo i criteri di Lionel et al. 3) (Tabella I), ove solo per questa categoria di polmoniti sono sempre più crescenti gli studi clinici che dimostrano l’efficacia dei CS.

Come è stato descritto da Annane 4, Meduri 5 ed Endeman 6 nella sepsi, e per traslazione anche nelle polmoniti severe, vi è una intensificazione della produzione a livello del midollo osseo dei leucociti che vengono rilasciati nel sangue come cellule appena differenziate o immature, e profondi cambiamenti sia a livello intracellulare mediante un’alterata regolazione del fattore nucleare-κB, sia a livello recettoriale della superficie cellulare ed extracellulare con un aumentato rilascio di citochine infiammatorie (IL8, IL10, IL6, TNF, IL1β, IL1 receptor antagonist, Interferon β), con conseguente aumento della produzione dell’elastasi sia a livello plasmatico che a livello alveolare. Si osservano, inoltre, aumentate concentrazioni di cortisolo circolante causa, questa, di resistenza glucocorticoide associata all’infiammazione sistemica. I meccanismi cellulari e intracellulari sopra citati nell’insieme determinerebbero conseguentemente danni e disfunzioni sia a livello polmonare che sistemico.

A supporto di tali studi, Martinez et al. 7 e Kellum et al. 8 hanno dimostrato che l’aumento di queste citochine infiammatorie, in particolare di IL6 e IL8 correla con una maggiore mortalità.

Il razionale terapeutico dell’utilizzo dei CS nelle CAP severe si basa, quindi, sulla modulazione dell’eccessiva risposta immunitaria dell’organismo nelle fasi acute del processo flogistico, invertendo la resistenza glucocorticoide associata all’infiammazione sistemica mediante la supplementazione di glucocorticoidi e riducendo in tal modo l’iperespressione delle interleuchine sopra citate al fine di evitare i danni che queste possono cagionare sia a livello polmonare che sistemico.

Questa categoria di farmaci, però, non si limita esclusivamente alla modulazione del sistema immunitario, ma agisce a livello sistemico anche sul metabolismo dei carboidrati, catabolismo proteico ed equilibrio elettrolitico, e nella regolazione di fattori di stress oltre a variare notevolmente la risposta in base al tipo di corticosteroide, agli schemi di somministrazione, alle dosi e alla variabilità di risposta individuale al farmaco. Ciò rende particolarmente difficile standardizzare l’approccio terapeutico, soprattutto in questa patologia in cui l’agente eziologico microbiologico della polmonite può essere notevolmente diverso e spesso non è nemmeno caratterizzato al momento della diagnosi, oltre al fatto, che la risposta dell’organismo all’infezione non è sempre prevedibile 9.

Nel 2015 Siemieniuk et al. 10 hanno eseguito una metanalisi in cui si evidenziava che i CS riducevano in maniera statisticamente significativa la mortalità nelle CAP severe, mentre l’articolo di Wan et al. poco dopo pubblicato su Chest nel 2016 11 dimostrava che i CS non avevano un effetto statisticamente significativo sulla mortalità, anche se il trattamento a breve termine a basso dosaggio si dimostrava sicuro e poteva ridurre il rischio di sviluppare ARDS, oltre a ridurre la durata della malattia.

Sempre nel 2016, Jirui Bi et al. hanno effettuato un’ulteriore metanalisi pubblicata su PLoS One 12 per valutare l’efficacia e la sicurezza della terapia con i CS nella CAP severa. Hanno quindi selezionato dai database di PubMed, EMBASE e Cochrane Library fino a dicembre 2015 un totale di 1.679 articoli che trattavano questo argomento, prendendo in considerazione alla fine 8 trial randomizzati controllati per un totale di 528 pazienti ospedalizzati con CAP severa trattati con CS.

Dai risultati è emerso che l’utilizzo dei CS ha ridotto la mortalità nella CAP severa, anche se la tipologia della terapia con CS non era completamente chiara. Da una sottoanalisi è emerso che l’uso prolungato dei CS (> 5 giorni) è comunque determinante, in quanto solo questo gruppo ha beneficiato di una riduzione della mortalità, rispetto a quello che aveva un periodo ridotto di trattamento (< 5 giorni) in cui non è stata evidenziata alcuna significativa riduzione della mortalità. Inoltre nell’endpoint secondario è emerso che l’uso prolungato della terapia con CS (> 5 giorni) ha portato ad una riduzione dell’ospedalizzazione e della necessità di intubazione.

Per quanto riguarda la sicurezza, in questa metanalisi si è evidenziato unicamente un aumento del rischio di iperglicemia (ma la differenza non era statisticamente significativa), senza però poter analizzare l’associazione tra l’uso dei CS e il rischio di ipernatremia o sovrainfezione, in quanto non si potevano estrarre informazioni sufficienti dalle pubblicazioni analizzate. Bisogna, però, prendere in considerazione i limiti di questa metanalisi: sono stati inclusi pochi studi e campioni relativamente piccoli, fattori che hanno influenzato l’affidabilità dei risultati. Inoltre, la definizione di CAP severa non era sempre ben chiara, come non era chiara la definizione di elevata risposta infiammatoria, oltre al fatto che i dosaggi, la durata di trattamento, la tipologia di corticosteroidi utilizzati, le terapie antibiotiche utilizzate, spesso, non erano stati riportati.

A supporto dell’articolo di Bi et al. vi è anche lo studio di Meduri et al. 13 pubblicato su Intensive Care Medicine a ottobre 2015 in cui vengono revisionati i dati dei singoli pazienti raccolti da quattro studi randomizzati inerenti il trattamento prolungato con glucocorticoidi nei pazienti con ARDS, e in cui gli Autori giungono, comunque, alle stesse conclusioni.

Negli studi finora analizzati, la diversità dei dosaggi e della durata dei trattamenti dei corticosteroidi nelle CAP severe è stata una delle cause della difformità dei risultati; infatti, il dosaggio, il tipo e la durata della terapia con i corticosteroidi possono determinare effetti molto variabili.

Nello studio multicentrico randomizzato a doppio cieco controllato di Confalonieri et al. 14-16, anche se limitato a 48 pazienti, si è evidenziato che la somministrazione di 200 mg di idrocortisone in bolo, seguita dall’infusione continua di 240 mg di idrocortisone in 500 cc di SF al 0,9% alla velocità di 10 mg/ora per 7 giorni dimostrava una riduzione statisticamente significativa della mortalità, del tempo di degenza, della durata della necessità di ventilazione nelle CAP severe.

A contrapposizione dello studio di Confalonieri et al. vi è quello di Snijders et al. 17 che sostanzialmente non rileva sostanziali differenze tra CS e placebo (non confermate dalla recente metanalisi di Briel et al. 18), ma bisogna considerare che in questo trial randomizzato a doppio cieco venivano arruolati tutti i pazienti con CAP e non solo le forme severe. Gli stessi Autori, infatti, non escludevano un beneficio nelle forme più gravi. Viene evidenziato, inoltre, che l’interruzione brusca della terapia con glucocorticoidi è associata ad un’infiammazione sistemica di rimbalzo che compensa alcuni dei benefici iniziali del trattamento, mentre la riduzione graduale dei CS previene la ricaduta dell’infiammazione sistemica 14-19.

A conferma della necessità di standardizzazione del trattamento con CS nelle CAP severe, vi è anche lo studio di Takaki et al. 20, dove sono stati comparati CS ad alte dosi vs CS a basse dosi. In questo studio si evidenzia che un eccessivo uso di corticosteroidi ad alte dosi rischia di aumentare la dipendenza dal ventilatore e quindi aggravare la prognosi dei pazienti con ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome). Infatti su 190 pazienti arruolati, 21 erano stati trattati con metilprednisolone ad elevato dosaggio (metilprednisolone alla dose di 1.000 mg/die per i primi 3 giorni e dal 4° giorno 2 mg/kg/die gradualmente diminuita per un periodo totale di 1,5-2,0 mesi) e 165 a basso dosaggio (metilprednisolone di 0,5-1,0 mg/kg/die a scalare poi gradualmente nel corso di 1,5-2,0 mesi). Non veniva, invece, riportato alcun outcome sui 4 pazienti non trattati con CS.

L’utilizzo del cortisone nel sottogruppo specifico delle CAP severe, quindi, pur essendoci dati contrastanti sulla riduzione della mortalità, sembrerebbe efficace nel ridurre il tempo di degenza, il rischio di sviluppare ARDS e la necessità di intubazione. Bisogna però porre particolare attenzione sul dosaggio, oltre che sulla durata del trattamento, in quanto dosaggi troppo elevati o terapie troppo brevi possono essere inefficaci se non addirittura dannosi 10-20.

Sarebbe, inoltre, interessante valutare l’effetto dell’idrocortisone in associazione con la vitamina C e la tiamina (vitamina B1) nelle polmoniti severe, visto che tale associazione nella sepsi sembra avere effetti sinergici nell’invertire lo shock vasoplegico, oltre che avere un effetto protettivo nel prevenire l’insufficienza renale acuta e la disfunzione multiorgano come dimostrato dallo studio retrospettico di Marik pubblicato recentemente su Chest 21, anche se questo studio è stato effettuato su una popolazione molto ristretta.

Subito dopo la conclusione dello studio pubblicato dal nostro centro nel 2005 14, in cui abbiamo avuto l’evidenza di una marcata efficacia degli steroidi a basse dosi prolungati nelle CAP severe, ci siamo chiesti come gestirle nella nostra pratica clinica. Pragmaticamente, da allora fino ad oggi, stiamo usando steroidi per la CAP severa stabilita o in corso, secondo i criteri ATS con particolare attenzione alla PaO2: FiO2 ≤ 250 e proteina C-reattiva (CRP) > 80mg/dL. Tenendo presente il ruolo chiave dell’infiammazione e dei risultati di Annane 22 e Meduri 23, rispettivamente su sepsi e ARDS, usiamo metilprednisolone a impulsi, 20 mg iv ogni 8 ore per almeno 7 giorni per poi assottigliare le dosi in base ai livelli di CRP.

Facendo un’analisi della letteratura sull’uso dei corticosteroidi nelle CAP severe emerge che il limite principale di questi studi rimane la mancanza di indicazioni su quando, come e perché usare i corticosteroidi. Molti di questi studi riportano un modo diverso di somministrare i corticosteroidi in termini di via, dose, durata e scelta dell’agente oltre al fatto che i criteri di severità per la CAP non sono uniformi. Visti i risultati promettenti di alcuni studi e contrastanti di altri, per poter chiarire in maniera definitiva l’utilità di questi farmaci in questo sottogruppo di polmoniti, bisognerebbe effettuare uno studio prospettico randomizzato multicentrico con adeguata popolazione, eliminando tutti i bias che si sono evidenziati negli studi precedenti, definendo in maniera sistematica la tipologia di CS, la durata del trattamento, gli antibiotici utilizzati, l’agente eziologico, la descrizione di tutti i parametri di inserimento per la diagnosi di CAP severa, comorbilità dei pazienti, con una adeguata numerosità campionaria.

Figure e tabelle

Criteri minoria
• Frequenza respiratoriab ≥ 30 atti/min
• Rapporto PaO2/FiO2b ≤ 250
• Infiltrati multilobulari
• Confusione/disorientamento
• Uremia (BUN ≥ 20 mg/dL)
• Leucopeniac(conta globuli bianchi < 4.000 cell/mm3)
• Trombocitopenia (conta piastrinica < 100.000 cell/mm3)
• Ipotermia (temperatura interna < 36°C)
• Ipotensione che richiede una reintegrazione aggressiva dei liquidi
Criteri maggiori
• Ventilazione meccanica invasiva
• Shock settico con necessità di vasopressori
Tabella I.Criteri per diagnosi di CAP severa: 1 maggiore o 3 minori 3.

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Affiliazioni

Marco Biolo

S.C. Pneumologia, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste, Ospedale di Cattinara, Trieste

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2018

Come citare

Biolo, M. (2018). I corticosteroidi nelle polmoniti severe acquisite in comunità, a che punto siamo?. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 33(2), 65-68. https://doi.org/10.36166/2531-4920-2018-33-14
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